I CARNESECCHI di BADI

 

Badi non e' geograficamente in Toscana bensi in Emilia

Le fonti vanno cercate all'archivio di Bologna

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

Uno studioso che esprime molte idee interessanti

 

Alfeo Giacomelli


Scientific and didactic profile

Professional curriculum
Faculty: Letters and Philosophy
Subject: The Modern History Researcher
Degree Course: Modern History and Letters

Academic titles
Research group on religious orders and their economy.

Bibliography
Main works:


Il catasto Boncompagni e le trasformazioni del paesaggio e della società rurale bolognese .., in Fonti per lo studio del paesaggio agrario, Lucca 1981, pp. 291-309;

Carlo Grassi e le riforme bolognesi del Settecento. 1- L'età lambertiniana; 2- Lo sviluppo del riformismo lambertiniano e la contestazione dell'ordine antico, in "Quaderni culturali bolognesi", III (1979), no. 10, pp. 87; no. 11, pp. 128;

L'età delle riforme, in Storia illustrata di Bologna, Milan vol. II, pp. 281-300;

Economia e riforme a Bologna nell'età di Benedetto XIV, in "Atti del convegno… su Benedetto XIV", Bologna, 1981, vol. 2, pp. 872-913;

La dinamica della nobiltà bolognese nel secolo XVIII, in "Famiglie senatorie e istituzioni", Bologna 1980, pp. 55-112;

La Bologna tardo illuministica e prerivoluzionaria di Giuseppe Compagnoni, in Giuseppe Compagnoni. "Un intellettuale tra giacobinismo e restaurazione", Bologna 1993, pp. 33-83;

Famiglie nobiliari e potere nella Bologna settecentesca, In "I giacobini nelle legazion", Bologna, 1999, T. I, pp. 11-185;

Giovanni e Marco Fantuzzi, in "Dizionario Biografico degli Italiani", XLIV (1994), pp. 716-723 and 726-73;

Bologna, i Grabinski e le legioni polacche, in "Wlochy a Polska. Wzajemne spojrzenia", J. Okon (ed.), Lòdz 1998, pp. 143-194

Le aree chiave della bonifica bolognese, in "Problemi d'acque a Bologna", Bologna 1983, pp. 123-172;

Appunti per una rilettura storico - politica delle vicende idrauliche del Primaro e del Reno e della bonifica nell'età del governo pontificio, in "La pianura e le acque tra Bologna e Ferrara", Cento1983, pp. 101-254;

Un evento rivoluzionario nella Bologna lambertiniana: la carta della pianura bolognese di Andrea Chiesa, Bologna, 1992, pp. 6-11;

Per un'analisi comparata delle bonifiche dello Stato Pontificio nel secondo Settecento: la bonifica delle tre legazioni e la bonifica pontina, in "Pio VI, le Paludi Pontine, Terracina", Terracina 1995, pp. 83-272;

Carta delle vocazioni agrarie della pianura bolognese desunta dal catasto Boncompagni (1780-1786), Bologna 1987, pp. 182;

Il maresciallo Gianluca Pallavicini e il tentato rilancio della navigazione in Primaro-Volano nel secondo Settecento (1756-1774), in "Padania", IV (1990), no. 8, pp. 73-108;

Proprietari, affittuari, agronomi a Bologna..., in "Fra studio, politica ed economia: la Società Agraria", Bologna 1992, pp. 43-116;

Popolazione e società in un'area dell'alto Appennino, in "Popolazione ed economia dei territori bolognesi durante il Settecento!, Bologna 1985, pp. 155-278;

La demografia della legazione bolognese in età moderna. Variazioni della popolazione e fattori ambientali e socio-economici, in S.I.DE.S., La popolazione delle campagne italiane in età moderna, Bologna 1993, pp. 201-236;

Monghidoro e il Monghidorese…, in "Mons Gothorum", Bologna 1988, pp. 84-138;

Per una storia del territorio e delle strutture del comune di S. Lazzaro, in "S. Lazzaro di Savena", Bologna 1993, pp. 69-159 e pp. 511-514;

La comunità di Capugnano e le chiese di S. Michele di Capugnano e S. Maria di Castelluccio, Porretta 1993, pp. 9-158;

La cronaca contadina (1447-1630) di Desiderio Zanini da Capugnano, Bologna 1994;

Le partecipanze emiliane tra mito, evoluzione storica e produttività agraria, in "Cheiron", VIII (1990-1991), no. 14-15, pp. 33-100;

L'equilibrio della terra e delle acque. Territorio e agricoltura in Cento, in Storia di Cento, 1994, vol. II,1, pp. 205-269;

Il volto della città. Il catasto urbano del 1752, ibidem, pp. 385-405;

Ambienti naturali e società umane lungo il corso del Reno. Quadri originari ed evoluzione storica, Bologna 1997, pp. 71;

Premesse di lungo periodo dell'agricoltura capitalistica bolognese. La formazione delle tenute Bentivoglio Manzoli-Odorici e Bentivoglio a Bagnarola e a Mezzolara, in "Mezzolara. Una tenuta e una comunità", Bologna 1998, pp. 119-195;

Articles:
Per una storia del banditismo montano.(1989-1997) appearing in the journals "il Carrobbio", "Nueter", "la Musola, "Gente di Gaggio", L'età moderna (dal XVI al XVIII secolo), in "L'Università di Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo", Milan 1988, pp. 13-28;

Le bolle pontificie relative all'università di Bologna dal 1450 al 1800…, in "Ateneo e chiesa di Bologna", Bologna, 1992, pp. 265-356;

Il carnevale di Bologna ovvero il trionfo della scienza galileiana sulla scienza cavalleresca, in "Sapere e/è potere. Il caso bolognese a confronto", Bologna, vol. III, 1990, pp. 369-401

Il santuario di Montovolo: verso il restauro storiografico, in "La montagna sacra. Tutela e conservazione del patrimonio culturale nel comune di Grizzana", Bologna 1983, pp. 93-137;

La leggenda medievale di S. Acazio di Montovolo: un probabile caso di propaganda ideologica antifedericiana nella Bologna del Duecento, in "Eclissi di luna", no. 3 (1993), pp. 16-31; no. 4, pp. 19-29; no. 5 (1994), pp. 20-35

Conservazione e innovazione nell'assistenza bolognese del Settecento, in "Forme e soggetti dell'intervento assistenziale in una città di antico regime", Bologna 1986, pp. 163-302;

Corporazioni d'arte e famiglie cittadine in relazione con la basilica di S. Petronio, in "Una basilica per una città". Bologna 1994, pp. 101-135;

Ordini monastici e regolari in età moderna, in "Storia della chiesa di Bologna dalle origini al XX secolo", Bologna - Bergamo 1997, vol. II, pp. 501-544;

Presentazione a L. RINIERI, Memorie del convento dell’Osservanza di Bologna (1712-1784), Bologna 1999, pp. XI-XLV;

Monasteri bolognesi, in "Twelfth International Economic History Congress", Madrid 24-28 August 1998, Session C 8. Accumulation and dissolution of large estates of the regular clergy in early modern Europe, Rimini,, 1999, pp. 281-328

Recent publications
Il "Naviglio" di cresta di Poggiolforato in "Archeologia d’acque", III, no. 5 (2001) pp.41-58;

L’evoluzione socio – patrimoniale di una famiglia centese nel ‘500 – ‘600. Un ramo della famiglia Fabbri…, in "Le famiglie centesi", Cento 2002, pp. 83-157;

La chiesa bolognese e l’Europa durante l’arcivescovado del cardinal Vincenzo Malvezzi, in "La chiesa di Bologna e la cultura europea", Bologna, 2002, pp. 107-170;

Abbozzo di una riflessione critica su Giorgio Filippi e la Mùsola, in "Tralumescuro....", Lizzano in Belvedere 2002, no. 13, pp. 63-143 ;

"Ut iucunda sic foecunda". Lorenzo Magnani, gli affreschi dei Carracci delle storie di Roma e la fissazione del patrimonio e della tradizione familiare, in "Magnani. Storia genealogia e iconografia", Bologna, 2002, pp. 265-413;

Problemi economici, questua e impegno sociale, in "I cappuccni in Emilia – Romagna: Storia di una presenza", Bologna 2002, pp. 216-249

Scientific profile

The central point of the research is the modern history of Bologna, in all its aspects, following the criteria of "totality" and "integrated plurality of sources", with a particular interest in experimenting the sources themselves and the new possibilities of inquiry connected to their interrelationships. A more specific nucleus of research is given over to the history of the enlightenment and its reforms. Bolognese history used to been seen in the early half of the 1900s as one of a provincial city of the Pontiff State in decline and fundamentally agricultural, but is now recognised as being more exactly a great city at the centre of intense and continuous European exchanges, not only for its university, but its industries, banks and trade, and for its political, social and diplomatic relationships. This has also been demonstrated for the 1700s, which, despite being in a context of economic decline in the sectors of industry and commerce, was very productive in debate on reform, born as a result of the city’s proximity to Europe, and reflections on its past and specific nature. The person of Benedetto XIV in particular, was an important political and religious innovator and, alongside the Pontiff, his reforms were of a contemporary nature, and at times ahead of his time, when compared to events in Lombardy and Tuscany. Analysis has also centred on the important Pontiff figure of Marshal Pallavicini in Bologna, previously ignored as were other important personages. Bologna society has been analysed in all its concrete aspects: social, political, cultural, religious, in its groupings, internal tensions and conflictuality. In this context, particular attention has been paid to the question of land reclamation, from a scientific viewpoint, and a land management viewpoint and the conflict of interest. Of particular importance is the comparison between the Padana experience and the Pontina experience. Here, using the same criteria, the important breadth of past speculative interests - which had not previously been adequately identified - has been proved. The analysis from within the forces active in society and the land reclamation has allowed research to attain new results as to agrarian innovations, the extent of land rent and the number of entrepreneurs also coming from the working class. Constant and particular attention has been given to the territory and peasant society, analysed through community events, detailed analyses of deeds and reconstructions of families, religious life etc., and put forward not as being subordinate to the urban scene but linked to it within a great culture whose relationships represented dynamic exchange. On occasion certain "founding" legends of Bologna society have been traced and alnaysed, such as St. Acazio and the 11,000 crucifixes of Montovolo and his central role in the anti-feudal and anti-federician struggle. An analogous significance has come about through the study, breaking with stereotypical interpretations, and which is now nearing completion, on the evolution of the Marconi family and the education of young Guglielmo.

 

 

 

Un intervento del dr Alfeo Giacomelli sulla famiglia Carnesecchi di Badi

 

 

 

Il dr Alfeo Giacomelli e' un ricercatore ed uno storico dell'area bolognese di vasta esperienza ed e' studioso di solidissima cultura

Oltre a cio' e' anche uno dei piu' profondi conoscitori dell'area intorno a Capugnano e Granaglione : conoscenze profonde ed articolate di un territorio estremamente interessante e per certi versi sorprendente

Dai colloqui con lui e dai suoi studi sulle famiglie di Badi e' emersa l'esistenza di un vasto gruppo parentale che nei primi anni del millecinquecento inizia ad identificarsi nel cognome Carnesecchi

Senza i dati da lui fornitimi la ricerca su questi Carnesecchi sarebbe priva di corpo

 

 

 

 

…..Le allego i primi risultati sulla famiglia di Badi, il cui centro originario è la frazione di Massovrana e che probabilmente ha origini comuni con le locali famiglie dei Giusti e dei Baschiera e forse con altre. Dagli estimi finora esaminati (ma non ho ancora visto quello fondamentale del 1451 e quelli antecedenti) non emerge alcun elemento per giustificare il cognome Carnesecchi (origine toscana, soprannome) comunque assunto nel 1563 da tutti i membri della ormai frazionata famiglia discendenti da Bartolomeo di Franco, presente nell'estimo del 1475 e padre di don Franco……………..

 

Per tornare ai Carnesecchi o Carne Sechi di Badi, ho, per ora esaminati gli estimi del 1520, del 1540 e del 1563; presto esaminerò quelli del 1696-1700, 1655-73, 1725-50, del 1775 per risalire poi a quelli del tardo Trecento e del Quattrocento. Ieri, mercoledi, sono riuscito a vedere anche gli estimi del 1475 e del 1491, visibili solo in microfilm

Neppure da questi estimi è venuta alcuna indicazione sull’origine dei Carnesecchi di Badi poiché il cognome non vi figura ancora e non vi è alcuna indicazione di origine esterna o di origine da un soprannome, come, viceversa risulta per altri casati. Spero che qualche dato possa emergere dall’estimo del 1451, non ancora consultato, anche perché in genere molto più preciso dei successivi. In prima approssimazione però sembrerebbe che (per l’identità del patronimico e per la prossimità nell’ordine dell’estimo e dei possessi) si possa ipotizzare una comune origine con coloro che in seguito si fisseranno come i Giusti di Badi, clan molto numeroso, e dai quali, agli inizi del ‘500, si diramerà anche l’altro casato dei Baschiera o Baschieri.

 

…"…….Ho visto in archivio l'estimo del 1451 ma purtroppo non fornisce alcun dato nuovo circa il motivo per cui i discendenti di Bartolomeo Franchi nel 1563 assunsero tutti il cognome Carne sechi o Carnesecchi,………………"

 

  

P.S. "Fumanti" sono gli abitanti del contado iscritti agli estimi, che avevano un "fuoco" (residenza e famiglia, ma in realtà la casa non sempre c'era) che pagavano le tasse sui beni. A Bologna, abbastanza presto, essi furono i soli a pagare le tasse sui beni, mentre tutti i cittadini (sia nobili, che borghesi ed artigiani) non le pagavano, col pretesto che pagavano i dazi di introduzione sui generi e le merci. Naturalmente anche i fumanti col tempo elaborarono forme di evasione, prima fra tutte l'assegnazione di parte consistente dei beni ad un beneficio ecclesiastico o come patrimonio ecclesiastico per un membro della famiglia. Ma di questo in seguito. 

 

 

 

Gentile sig. Carnesecchi

 

Ieri sono riuscito a passare un po’ di tempo nell’archivio di stato di Bologna ed ho dato una prima occhiata agli estimi di Badi, poi ieri sera ho dato una prima rapida occhiata al sito Carnesecchi e, ancora più rapida, alla parte iniziale del suo abbozzo di ricostruzione di storia della famiglia. Troppo poco e troppo presto per darle dei giudizi di merito, per i quali del resto non sono molto qualificato. Ma, in linea generale, mi congratulo con lei per il lavoro che ha abbozzato e per le motivazioni che la ispirano.

Anch’io credo che non siamo semplici individui isolati, ma il prodotto concreto e condizionato di una precisa famiglia, di un preciso contesto storico, di un ambiente, di una cultura e che sia necessario fare i conti, nel bene e nel male, con questa eredità e con questi condizionamenti. Tanto più in tempi come questi in cui la perdita della memoria, l’ignoranza (spesso intenzionalmente perseguita) e la più becera speculazione rischiano di portare allo sfascio del paesaggio e dell’ambiente, ma più in generale specificamente anche della scuola e dell’università, della società e dei più elementari valori civili.

Ieri ero in archivio di stato per cercare notizie su una villa di Sasso Marconi e la famiglia che la aveva posseduta. Ricordavo la mia infanzia e adolescenza nell’immediato dopoguerra, rurale e estremamente povera ma splendida per libertà e possibilità di osservazioni socio – antropologiche di ogni tipo, incantata per la bellezza del paesaggio che mi circondava tra pianura e colline. Con mio cugino spesso facevamo escursioni di venti – trenta chilometri lungo la via per Bazzano – Vignola o nella prima valle del Reno, tra Casalecchio e Marzabotto. Credo che fosse uno dei paesaggi più belli del mondo, in cui la bellezza della natura si fondeva con una sedimentazione millenaria di lavoro, arte e cultura, di investimenti di capitali e di intelligenza anche se allora me ne rendevo conto solo in parte. Le ville dialogavano tra loro e col fiume, circondate da parchi più o meno vasti e le stesse case coloniche avevano una bellezza ed una dignità assolute, il paesaggio era intatto, estremamente curato e le stesse fabbriche vi si inserivano perfettamente, collegate in genere a canalizzazioni spesso plurisecolari. Persino i borghetti bracciantili partecipavano di questa bellezza e dignità. Oggi potrei dedicare a ciascuna di quelle ville e tenute o a ciascuno di quei paesi un volume di migliaia di pagine, poiché anche la più apparentemente anonima trasuda di storia, di arte e cultura, di personaggi e vicende illustri. E si capisce anche il perché della eccezionale bellezza di quel paesaggio, oggi purtroppo in gran parte distrutto. In un documento esaminato ieri (il testamento del 1715 di un giurista tra borghesia funzionarile e piccola nobiltà, proprietario solo di pochi e piccoli poderi), il sistematore di una di queste ville dava precise e vincolanti disposizioni (pena la decadenza e pesanti multe a favore dei controllori, tra cui la locale chiesa) per la loro conservazione e soprattutto per il mantenimento del parco (divieto assoluto di taglio di alberi se non – dopo quattro anni che fossero seccati – con la loro sostituzione), così come, da altri documenti e dai patti colonici risulta chiaramente come e con quanta cura lo stesso pae4saggio agricolo fosse stato costruito. Oggi è quasi tutto (fortunatamente non questa villa un po’ alta) irriconoscibile e imbastardito dall’incoscienza e dalla speculazione: ammassi di orribili case civili frammiste ai più svariati edifici industriali e commerciali, nel caos più totale che tende a rendere irriconoscibili ed a degradare gli stessi complessi monumentali più rilevanti, a rendere illeggibile il passato ed a non permettere di capirlo.

Ho, tra l’altro, praticamente concluso un importante lavoro su Gugliemo Marconi e l’invenzione della radio, avvenuta, non casualmente, in questo contesto. I Marconi erano una famiglia originaria della montagna, da Granaglione, e, da due secoli erano inseriti nella mia Capugnano: a differenza di molte altre famiglie montane quasi non avevano storia (appena qualche sacerdote locale), ma già il nonno di Guglielmo, ancora da Capugnano, partendo dalle tradizionali attività montane ed in particolare dall’artigianato canapino, tra l’età napoleonica ed il 1848 era stato in grado di organizzare un discreto commercio tra Ancona – Senigallia e Livorno, costituire una piccola proprietà locale, anche un abbozzo di piccola banca rurale e intorno al 1830, partendo dalle tradizionali attività dei carbonai – boscaioli nelle maremme, poteva, ad esempio, gestire due imprese di circa 150 dipendenti ciascuna (taglialegna, vetturali, addetti alla trasformazione, ecc.) che non producevano più carbone ma potassio, commerciato attraverso Livorno verso l’Europa e specificamente verso l’Inghilterra. Già intorno al 1825-30, ancora dal suo borghetto capugnanese, egli era in grado di effettuare grossi prestiti a nobili e industriali cittadini e, su quella base, avviare la formazione della grande tenuta di Pontecchio – Montechiaro che i tre figli avrebbero ulteriormente potenziato. Secondo la tradizione delle famiglie montane tutti e tre i figli studiarono in seminario, ma il primo divenne avvocato e si perfezionò in Roma, il secondo (Giuseppe, padre di Guglielmo) proseguì più specificamente le attività mercantili – bancarie, il terzo, sacerdote senza vocazione, fu pure esperto possidente, appassionato di musica e concubinario, e poi, nonostante i divieti pontifici, dopo l’unità, impegnato amministratore del comune del Sasso particolarmente addetto alle opere pubbliche, fino al drammatico assassinio nel 1865. Ancora indivisi, negli anni ’50, i tre fratelli Marconi, sviluppando ulteriormente le attività del padre, furono verosimilmente tra i principali fornitori di traversine per la costruzione della ferrovia porrettana, ciò che li consolidò tra i principali azionisti della stessa e dette loro precisi collegamenti sia con la direzione tecnica della stessa sia con le principali personalità politiche e specificamente col Minghetti, il grande politico e tecnico bolognese che sarebbe succeduto a Cavour in particolare negli anni di Firenze capitale. Il padre di Guglielmo, che in prime nozze aveva sposato la figlia del principale banchiere bolognese, con un cognato livornese fu tra l’altro uno dei principali fornitori di legnami pregiati per i nascenti grandi cantieri navali genovesi, ecc. ecc. Ben lungi dall’essere una famiglia di "contadini arricchiti" di collocazione "papalina" (opinione della stessa figlia di primo letto dello scienziato, Degna) i Marconi erano pervenuti presto non solo alla grande proprietà fondiaria, ma alla banca, alle imprese industriali, alle opere pubbliche ed alla finanza (ed erano particolarmente interessati proprio al settore delle comunicazioni), avevano antichi e precisi collegamenti con gli ambienti inglesi ed ebraici di Livorno e la loro collocazione non era affatto "papalina" ma liberale (specificamente la destra "spiritualista" minghettiana), con diretti rapporti con i più alti ambienti politici e, altrettanto, con gli ambienti dell’alta cultura accademica e artistica (docenti universitari e musicisti di fama internazionale). Guglielmo ebbe studi irregolari e apparentemente attardati, ma in realtà ha succhiato l’elettricità col latte, tra Bologna, Firenze, Livorno e l’Inghilterra si mosse costantemente a livelli scientifici ed artistici (oltre che politici ed economici) di prim’ordine e, lungi dall’essere un fortunato autodidatta giunto quasi per caso all’invenzione, i suoi studi furono aggiornati e consapevolmente finanziati dal padre. L'invenzione non fu affatto occasionale ma il prodotto quasi necessario da un lato di una specifica, millenaria, sedimentazione del sistema economico – commerciale – culturale che saldava Bologna e la valle del Reno alla Toscana (e specificamente a Lucca – Livorno – Genova) e, dall’altro della recente evoluzione di una specifica famiglia, del suo ricco contesto di relazioni economiche – politiche – intellettuali come risultò proprio subito dopo la scoperta, che in un’altra situazione avrebbe potuto passare quasi inosservata, e invece si sviluppò immediatamente in un impero scientifico – industriale e finanziario di grande portata internazionale (basti pensare, fin dai primi anni, allo scontro vittorioso con un potentato quale la Anglo American Company che vantava il monopolio delle comunicazioni internazionali coi cavi sottomarini) e di cui i Marconi mantennero costantemente il controllo (almeno fino alla seconda guerra mondiale). Analogamente, se le origini e gli interessi, portavano Guglielmo a mantenere una stretta collocazione liberale di destra e nazionalista (era già senatore nel 1912, tra i rappresentanti italiani alla pace di Versailles) e poi ad aderire all’impresa fiumana ed al fascismo (presidente tra l’altro dell’Accademoa d’Italia e membro del Gran Consiglio) e ad essere anche probabilmente uno dei grandi mediatori dei patti lateranensi del 1929, vero è che, se non fosse morto agli inizi del 1937 (qualcuno mi ha contattato asserendo un suo avvelenamento su mandato dell’amicissimo Mussolini), tra Marconi ed il Duce una frattura sarebbe stata inevitabile poiché tutta la tradizione marconiana era antitedesca, da sempre strettissimi erano anche i rapporti dei Marconi con gli ambienti ebraici e tutti gli interessi marconiani erano strettamente saldati al sistema anglo – americano.

Questa lunga digressione solo per confermarle che credo nella microstoria, in una storia minuta e documentata, e specificamente anche in una circostanziata storia delle famiglie. Senza le grandi sintesi storiche la microstoria è insignificante, ma, viceversa, le grandi sintesi spesso rischiano le più grossolane approssimazioni e gli abbagli delle ideologie e la microstoria (anche la storia delle famiglie) può far emergere tutta una trama minuta di relazioni significanti ed insospettate, rompere luoghi comuni sedimentati, far emergere in particolare la complessità e la costante circolarità tra strati sociali, tra mondo urbano e mondo rurale, tra cultura accademica e cultura popolare come tra gerarchia e accentramento ecclesiastico e pietà popolare. Perciò (indipendentemente da ogni specifica valutazione, che ora non sono in grado di dare) le rinnovo il mio compiacimento per la sua ricerca ed anche per la sua "non professionalità accademica". Nonostante la crisi dell’istruzione e dell’università, l’università rimane certamente il luogo privilegiato della ricerca più aggiornata e spesso fuori di essa la ricerca rivela caratteri di improvvisazione e dilettantismo, ma, contemporaneamente non è difficile constatare che anche la ricerca accademica è spesso irretita da preconcetti e pregiudizi consolidati, da autoritarismo, da un’erudizione spesso fine a se stessa e da un eccesso anche servile di citazioni (citare per essere citati) a scapito dell’originalità e della diretta ricerca documentaria, di quella capacità di intuizione e comprensione che spesso deriva immediata da una diretta conoscenza di ambienti, cose e persone, da cui, ad esempio, l’importanza anche di uscire dagli archivi e dagli studi, di andare direttamente sui luoghi per una "storia camminata". Buon lavoro dunque.

 

Dunque ieri sono stato in archivio di stato ed ho fatto primi sondaggi sui Carnesecchi di Badi. In realtà, per me, i Carnesecchi restano secondari o, quanto meno, mi interessa cogliere l’occasione per allargare i miei studi ad un nuovo contesto geografico e comunitario, a nuovi sistemi di famiglie e a nuovi sistemi economico – culturali, affini a quelli già studiati ma, sicuramente anche profondamente diversi: credo che proprio lo studio delle varianti diventi particolarmente significante.

Come le avevo già detto, da un primo sondaggio in archivio arcivescovile, risultava che i Carnesecchi erano ancora presenti a Badi in maniera significante alla metà del Settecento. Con le osservazioni di ieri ho avviato una prima ricostruzione genealogica di questo ramo bolognese e montano della famiglia, senza, per ora, poter dire alcunché circa una sua possibile origine toscana. Nel tardo medioevo e nel primo Rinascimento la mobilità tra i diversi stati e le diverse aree era ancora rilevante ed ho potuto attestare che in effetti non poche famiglie montane erano di origine toscana e che anzi, non di rado, l’origine toscana fu sentita come possibile indizio di antichità e di "nobiltà" (ma anche per non poche famiglie montanare e contadine è possibile ipotizzare un’origine "nobile" da arimanni longobardi, cattani e piccoli signori locali). Anche il mondo e le famiglie contadine (anche di Badi), anche prima e senza ricevere una eventuale cittadinanza, anche per l’età moderna erano in grado di inalberare stemmi e talora genealogie (talora anche molto accurate se non più accurate di quelle nobiliari cittadine) e il sistema dei "valori" fu in genere non molto dissimile a livello nobiliare – cittadino e popolare e variò nel tempo, nell’uno e nell’alto contesto, con notevole tempestività e contemporaneità. La circolazione delle risorse, ma anche della cultura e dei valori era più ampia di quanto solitamente non si pensi: ogni sentiero someggiato era una strada e molti paesi, borghi e casolari erano meno isolati di quanto non lo siano oggi: i paesi dell’alta montagna erano paesi di passo e le grandi comunità confinarie, in particolare, giocavano un ruolo anche strategico – militare di notevole importanza su scala interregionale, da cui appunto alleanze e rivalità estese su scala interregionale, il non infrequente fuoriuscitismo e banditismo, la diramazione di rami della stessa famiglia. La mia specifica famiglia, ad esempio, i Giacomelli, era considerata " antica ed originaria" di Capugnano ed ebbe un ruolo importante nella fondazione e nello sviluppo di Porretta. Tuttavia si sapeva che proveniva da Viecave – Monteforte nel Frignano modenese da cui era passata prima nella zona di Bombiana – Castiglione, poi di Gaggio (dove la trovo negli estimi del primo Quattrocento e coinvolta in lotte intestine alla comunità) per trasferirsi poi in Capugnano (nell’area alta del Castellaro fondendosi con una precedente famiglia locale). Probabilmente l’abbandono del Frignano fu dovuto all’adesione alla fazione filobolognese – antiestense dei Montegarello e il cognome della famiglia capugnanese porrettana (ancora molto mobile nel corso del Cinquecento per cui alcuni rami vengono detti Pedretti, Serni, ecc.) sembrerebbe essere stato riassunto e generalizzato alla fine del Cinquecento anche in rapporto ad alcune "riuscite" romane, sulla base di un Giacomo – Giacomello "capostipite" della prima metà del Quattrocento. Tuttavia, proprio sulla base dei precedenti estimi gaggesi e di altri dati, tale nome sembrerebbe già ricorrente nella famiglia il che lascia aperto il problema di un’origine comune coi Giacomelli del Frignano, ancora abbastanza numerosi e qualificati in età moderna e in parte persistenti. Fino a prova contraria io non ritengo che ci sia un’origine comune con numerosi altri Giacomelli sparsi in varie parti d’Italia (dal Veneto alla Lombardia, alle Marche). Significativamente ritengo ad esempio, fino a prova contraria, che non ci sia alcuna origine comune proprio con un’altra importante famiglia Giacomelli del Bolognese, consigliare dell’importante comunità di pianura e partecipante di Medicina, caratterizzata da discreti possessi, notai e sacerdoti qualificati, in particolare anche da due generali seicenteschi dell’ordine carmelitano: lo stemma di questa famiglia (una mano benedicente) era totalmente diverso e risulta estinta nel corso del Settecento (con eredità lasciata ad opere pie), senza che mi risulti la persistenza di qualche ramo secondario e popolare. In molti casi l’articolazione complessa di una famiglia di origini contadine e popolari è facilmente dimostrabile: i Tanari (da Tanaro evidente contrazione di Montanaro) di Gaggio Montano, in pochissimi decenni, già nella seconda metà del Quattrocento divennero articolatissimi e dettero presto origine a due rami cittadini e nobili (di cui uno poi patrizio e marchionale) con persistenti possessi anche locali, ma a lungo sussistettero anche rami soltanto locali e fumanti, in parte discretamente possidenti e con connotazioni ecclesiastico notarili, in parte poveri e quasi proletarizzati. L’origine comune dei ricchi e potenti aristocratici cittadini e dei rami contadini e poveri era perfettamente nota. La famiglia patrizia (che ancora dopo l’unità d’Italia dava un ministro dell’agricoltura) potrebbe ancora sussistere (tra i due secoli c’era ancora un ingegnere a Milano), di certo sussistono, numerosi, i rami popolari nella stessa Gaggio. Processi di decadenza sono attestati con qualche frequenza: i potentissimi conti Panico, derivati dai conti di Bologna, finirono per inurbarsi e decadere a piccola nobiltà – borghesia per poi in gran parte estinguersi e il ramo più rilevante sembra si estinguesse in età moderna migrato a Padova, ma sicuramente altri esponenti decaddero in loco al grado di contadini e fumanti e la mia impressione è che, come per gli Stagnesi, in parte potessero anche decadere ed imparentarsi con famiglie fumanti dell’alta montagna.

Almeno nel caso bolognese, però, sarebbe profondamente errato desumere dalla persistenza, anche frequente, di molti cognomi nobili e patrizi, la persistenza di rami popolari o decaduti di uno stesso casato. A Bologna l’adozione e la sostituzione di famiglie era frequente ma frequentissimo era il caso che i contadini di una tenuta o di un podere nobiliari finissero per essere designati col cognome dei proprietari illustri e che questo si fissasse sostituendo eventualmente diversi cognomi originari: per alcune famiglie questo non sembra essersi verificato, ma per altre è avvenuto in maniera rilevante, specie per Legnani, Lambertini, Magnani, Fantuzzi, ecc. per non parlare degli innumerevoli casi dei cognomi originati da professioni. A Bologna la tendenza alla "sostituzione" di famiglie antiche con altre recenti, in origine caratterizzate da altri cognomi, era così diffusa che in parte venne accettata ed avallata dalle stesse famiglie antiche, mentre in altri casi fu lo stesso potere politico aristocratico a favorirla. Tra Sei e Settecento, ad esempio, un oste suburbano Mittarelli, arricchito, divenne noto come Marescotti in quanto oste "alla Marescotta", osteria collegata in origine ad una tenuta della famiglia patrizia. Il cognome passò al figlio dottore e da lui al nipote Jacopo, lettore dello studio e grande idraulico, particolarmente benemerito per aver difeso gli interessi bolognesi e favorito l’avvio della grande bonifica settecentesca. Gran parte della sua rilevante ricchezza derivava però dalle speculazioni mercantili e dagli appalti del suocero Berselli, specificamente attraverso Civitavecchia, che intorno al 1768-70 vennero convertite in notevoli investimenti immobiliari. Fu lo stesso senato aristocratico a promuoverne d’ufficio la nobilitazione (a cui si aggiunse un marchesato estero) con l’avvallo del cognome Marescotti, sebbene la famiglia patrizia, in decadenza ed a rischio d’estinzione, sedesse ancora in senato. Le proteste di questa non vennero accolte e dettero origine solo ad un compromesso: i nuovi ma ricchi nobili si chiamarono Marescotti Berselli e conseguirono immediatamente parentadi di rango patrizio, mentre gli antichi patrizi declinavano verso rango e parentele borghesi. Del resto le grandi famiglie patrizie erano le prime a fare, da molto tempo, impressionanti falsi genealogici nei quali esse stesse non credevano: a Bologna, ad esempio, i Grassi rivendicavano la continuità coi Grassi "Clarissimi" già illustri e caratterizzati da vescovi nel XII sec.; alterarono probabilmente ancora le loro più specifiche genealogie per nascondere la discendenza illegittima da cardinali e cortigiane e, a loro volta, finirono per riconoscere l’improbabile derivazione di famiglie fiamminghe o dei Grassi del palazzo veneziano, nobilitati da recenti e popolane origini chioggiotte.

Tuttavia in certi casi l’identità delle origini tra famiglie nobili e famiglie popolari potrebbe anche non essere esclusa, perché, per altre famiglie anche importanti, molte diramazioni su vasta scala sono ampiamente documentate per motivi politici, economici (ad esempio filiali mercantili ma talora anche di semplici contadini) o per "servizio" (così, ad esempio, documento esponenti di famiglie capugnanesi in importanti collocazioni a Venezia – Vicenza tra Cinque e Seicento). Sono, ad esempio, praticamente certo che i Giacomelli di Cutigliano, che ebbero un certo ruolo nella fazione cancelliera e nella resistenza repubblicana ai Medici almeno fino a Montemurlo (1537) erano strettamente collegati coi Giacomelli di Capugnano – Porretta: Cutigliano era il primo centro che si incontrava da Capugnano – Porretta verso Pistoia – Lucca superato il passo di Porta Franca; anche i Giacomelli di Capugnano – Porretta (come la prevalenza delle famiglie della zona, ed anche di Granaglione e Badi) erano fieramente antimedicei; altrettanto vale per gli interessi economico commerciali e anche altre famiglie di Cutigliano presentano gli stessi cognomi di famiglie capugnanesi. Ritengo pertanto che ci siano buone possibilità di un’origine comune per i Giacomelli del Frignano, di Capugnano – Porretta, di Cutigliano – Pistoia e di qualche altra area toscana. Del resto, dopo queste tensioni quattro – cinquecentesche i rapporti tra i principali rami dei Giacomelli di Capugnano – Porretta e il Granducato tornarono buoni. Nel Cinque – Seicento il principale ramo porrettano della famiglia, mercantile, aveva un ruolo centrale nella commercializzazione del ferro elbano – piombinese ulteriormente lavorato nelle ferriere dell’alto pistoiese, verso Bologna e la pianura padana da cui una certa presenza nei documenti fiorentini. Vicini ai conti Ranuzzi nel ‘600, questi rami più importanti ruppero con essi quando agli inizi del ‘700 i conti tentarono una decisa svolta assolutistico – baronale, spingendosi fino alle fronde aperte, al contrabbando ed al banditismo politico – economico, sicuramente con basi nel Granducato oltre che con l’appoggio del senato bolognese, mentre il principale ramo si era inurbato in Bologna con attività mercantili – bancarie ed anche con qualche parentela in famiglie patrizie decadute. Questo ramo cittadino ancora nel tardo Settecento dava un importante giurista – banchiere imparentato con la famiglia bancaria del beato Bartolomeo Dal Monte, fondatore dei padri delle missioni, ed avrebbe originato un importante ramo borghese cittadino di giuristi (lettori dello studio, politici), tuttora presente con tale collocazione e da cui sono usciti anche un discreto pittore e un importante studioso di aereonautica (mentre, che io sappia, non c’è alcuna relazione con un attuale importante fisico dell’università bolognese, di origine marchigiana).

Ma le sorprese che emergono da una storia delle famiglie, anche a non perseguirla intenzionalmente, sono davvero molteplici e spesso impensate: nella mia infanzia, sulla base della mia esperienza immediata, io pensavo alla mia famiglia come ad una povera famiglia di artigiani canapini (settore entrato in crisi) e contadini – operai quasi al limite della sussistenza, in parte costretti alla migrazione americana, ma il quadro era in parte accentuato dai disastri e dalle morti della guerra del ‘15-18, in parte restava più sfumato di quanto non sapessi, comunque, ad esempio, a testimoniare una storia notevolmente più complessa stava, ad esempio, nello stesso Porrettano – Capugnanese il passato giuspatronato di due importanti altari, connotati da opere di notevole rilievo, come un S. Benedetto del Brizio ed un Crocefisso, identico e dello stesso autore di quello di S. Damiano di Assisi e perciò, come quello, fin dalle origini ritenuto "miracoloso" e centrale nella pietà locale, altari che d’altra parte rivelavano una grande ed ininterrotta tradizione ecclesiastica (di sacerdoti e minori osservanti, con i connessi risvolti anche di tipo culturale), almeno fino alla soppressione rivoluzionaria dei benefici stessi. Anche senza svolgere particolari ricerche, in rapporto alla mia stessa professione, non mi è stato difficile su di ciò acquisire gradatamente altri importanti notizie, in particolare l’esistenza tra Quattro e Cinquecento di una relativamente importante famiglia romana (la cui precisa origine mi è ignota) che dette ben due archiatri pontifici e un importante monsignore (Giacomo), contemporaneo di Pietro Carnesecchi e, dato, per me, non molto piacevole, diretto portavoce di Paolo III Farnese al Concilio di Trento e specificamente durante la sua fase bolognese, e portavoce delle tendenze conservatrici della curia. L’ipotesi che questi archiatri e questo monsignore potessero avere un’origine comune con la famiglia porrettano – capugnanese potrebbe essere avvalorata dalla fama raggiunta nel periodo dalle terme porrettane (all’epoca controllate dalle comunità di Capugnano – Granaglione), attestata anche dalla contemporanea notevole fioritura economico - culturale della zona (le Porrettane di Sabatino degli Arienti i cui notevoli risvolti politici non sono stati ancora studiati; Cola Montano o Capponi (dubbia ma non impossibile relazione con la famiglia toscana), intellettuale – agente segreto dei Riario – della Rovere giustiziato a Firenze per la congiura dei Pazzi; Gerolamo da Casio, ecc.). In studi non pubblicati io ho stabilito precise ampie saldature tra le vicende della zona e tutta la grande politica italiana, specificamente anche la corte e la curia pontificia e, naturalmente, anzitutto in rapporto alle tensioni toscane. Comunque, checché ne sia delle origini della famiglia romana, sembra che una saldatura tra essa e la famiglia porrettano – capugnanese presto si stabilisse, almeno nel senso di una affiliazione – riconoscimento: in questo senso vi sono numerosi indizi. Nel 1528, anno successivo al sacco di Roma ed al ripristino della repubblica di Firenze, oltre a conseguire il rettorato di s. Michele di Capugnano (in un momento di gravi tensioni ed anche di delitti – faide familiari strettamente connesse anche alle vicende pistoiesi – fiorentine [due sacerdoti capugnanesi – fiorentini della affine famiglia Zanini, pure filorepubblicana, furono assassinati], don Antonio Giacomelli di Capugnano, conseguì, per nomina della curia romana (chiaramente la fazione ostile a Clemente VII) il rettorato dell’ospedale di S. Giacomo di Fanano che, con quello collegato di S. Giacomo di Lizzano Tosco, controllava il passo di Croce Arcana e quindi i collegamenti tra Modena – Pistoia, il Frignano, la Garfagnana e Lucca, zona "caldissima" e al centro delle guerre e degli equilibri europei. Non riuscì a conseguirne il concreto controllo, che rimase abbastanza saldamente in mano ai Brunozzi di Lizzano Tosco – Pistoia, saldamente panciatichi e filomedicei e tale controllo rientrò in quegli equilibri che poco più tardi avrebbero portato agli accordi ed all’incoronazione di Bologna, all’assedio di Firenze ed alla battaglia di Gavinana, alla quale anche le famiglie della montagna bolognese parteciparono accanitamente, dall’una e dall’altra parte. La crisi della repubblica rese di nuovo precaria la stessa situazione porrettano capugnanese, d’altra parte la morte di Clemente VII e l’avvento di Paolo III Farnese avrebbe creato le premesse per l’uccisione del duca Alessandro, la rivolta del card. Salviati e degli Strozzi, le nuove lotte armate fino all’avvento di Cosimo, alle quali i Giacomelli di Capugnano – Cutigliano parteciparono ancora attivamente. Col favore di Paolo III Capugnano restò saldamente in mano alla fazione savonaroliano – repubblicana, don Antonio cedette la parrocchia al cugino don Martino Zanini e divenne confessore del potente cardinal nipote Alessandro Farnese (lo stesso Paolo III fu ripetutamente di passaggio in questi anni da Porretta e Bologna). Con ciò si apriva la strada ad un prolungato successo romano della famiglia porrettano – capugnanese e, verosimilmente, al suo riconoscimento da parte della omonima famiglia romana. Certo è che mons. Giacomo, nei suoi soggiorni bolognesi, fece largamente riferimento alla accademia di Achille Bocchi, alla quale erano collegati nei loro studi – soggiorni bolognesi anche esponenti dei Giacomelli e degli Zanini. Don Antonio, che probabilmente seguì il cardinal Alessandro anche nelle sue missioni estere, sia pure da posizioni secondarie, partecipò largamente del potere del cardinale, perdurante ben oltre la vita di Paolo III, ed aprì la strada al successo romano di altri ecclesiastici della famiglia, che troviamo poi costantemente far capo alla chiesa farnesiana di S. Lorenzo in Damaso nella Cancelleria ed al quartiere di Palazzo Farnese, mentre, di riflesso, anche il potere capugnanese porrettano della famiglia raggiungeva il suo apice e i rapporti romani le permettevano di mediare nel 1600 la conferma dei privilegi della comunità. In tale periodo il successo romano venne perfezionato con la sovrintendenza del camposanto vaticano, con il rettorato della pieve urbana di S. Eustachio (dove si riunivano i collegi dei dottori della vicina Sapienza e se ne conservavano gli archivi), mentre un altro membro della famiglia diveniva aio e consigliere del card. Odoardo Farnese, poi duca di Parma, con l’acquisizione di una casa romana in via Giulia, nei pressi del palazzo Farnese ed infine, negli anni ’30 del Seicento, con la nomina a provinciale dei francescani osservanti riformati di S. Francesco a Ripa di padre Berardo, che sarebbe stato appunto il committente del crocefisso porrettano identico a quello di S. Damiano. Sulla base di questi rapporti era venuta, nel 1605, a don Pietro ed ai suoi nipoti, anche la concessione della cittadinanza bolognese (e fu lo stesso anno in cui un altro ramo erigeva l’altare di S. Benedetto con la pala del Brizio). Un’indagine approfondita non mancherebbe di far emergere tutta una fitta trama di relazioni economiche, politiche, culturali e religiose tra gli ambienti romani, bolognesi e porrettano – capugnanesi, anche specificamente per il tramite della famiglia: tutta la trama degli intellettuali che ruotava intorno ai Farnese, al loro palazzo ed a S. Lorenzo in Damaso, le numerose imprese artistiche e macenatistiche ed in primo luogo lo stesso palazzo Farnese con Michelangelo e gli affreschi di Annibale Carracci; l’arciconfraternita romana del Crocefisso, l’altra delle Stigmate di S. Francesco alla quale venne affiliata l’omonima confraternita – ospedale porrettana la cui pala centrale fu pure, probabilmente, commissionata dai Giacomelli insieme alla via Crucis che adduceva al monte sovrastante l’abitato, all’epoca di loro possesso; la crescente influenza in Capugnano – Porretta degli osservanti riformati (specificamente anche di quelli di Giaccherino di Pistoia) e la parallela penetrazione della sensibilità oratoriana di S. Filippo Neri, ecc. Significativamente la presenza romana dei Giacomelli venne meno con la crisi dello stesso potere farnesiano ad opera di Urbano VIII Barberini e di Innocenzo X Pamphili e la guerra di Castro, coinvolgente anche Porretta, l’alto Reno, la Toscana e Pistoia e risolta dalla battaglia bolognese di S. Pietro in Casale (1649), anche se immediatamente il ripiegamento da Roma comportò forse un rafforzamento locale: don Pietro diveniva autorevole e dotto pievano di Porretta mentre suo fratello Domenico, mercante banchiere, diveniva fattore ed agente porrettano del conte Ranuzzi e rilanciava le terme dopo la crisi della grane peste. Intorno al 1680 un ecclesiastico della famiglia avrebbe accompagnato il nunzio Angelo nei suoi viaggi europei e ne avrebbe tenuto il diario.

Ovviamente i successi, anche rilevanti di qualche ramo, non comportarono la parallela ascesa di tutta la famiglia larga: accanto a rami consolidati e talora anche notevolmente agiati e colti, fin dalle origini erano sempre esistiti anche rami e famiglie depauperati e quasi proletarizzati, così come d’altra parte proprio alcuni dei rami più cospicui e solidi furono, ancora nella seconda metà del Cinquecento, coinvolti in violenze e faide familiari, con esponenti banditi capitalmente e decapitati (in parte ne ho trattato nei miei studi sul banditismo). Ricchezza e potere non sempre sono garanzia di pietà e giustizia. Infine è molto dubbio che lo stemma della famiglia, attestato sull’altare porrettano, come sigillo personale di diversi parroci ed infine nel Blasonario bolognese del Canetoli possa essere esteso a tutta la famiglia e non sia specifico del solo, più ristretto, ramo porrettano – bolognese: in particolare lo stemma "cittadino" sembra far riferimento alla cittadinanza concessa nel 1605 e trasmissibile, mentre quello "nobiliare" potrebbe essere proprio del solo Francesco, addottorato in utroque, dottore collegiato e banchiere negli ultimi decenni del Settecento e in età napoleonica. Anche se le roselline ed i colori sembrerebbero attestare relativa antichità il giglio che li sovrasta sembra attestare un omaggio alla famiglia protettrice dei Farnese. La storia delle famiglie e degli esponenti umili, delle occasionali loro ascese e dei declini, dei "vinti" non è del resto meno interessante di quella dei rami e dei personaggi emergenti, anche nel XIX secolo ed in anni recenti.

Per tornare ai Carnesecchi o Carne Sechi di Badi, ho, per ora esaminati gli estimi del 1520, del 1540 e del 1563; presto esaminerò quelli del 1696-1700, 1655-73, 1725-50, del 1775 per risalire poi a quelli del tardo Trecento e del Quattrocento. Ieri, mercoledi, sono riuscito a vedere anche gli estimi del 1475 e del 1491, purtroppo con qualche difficoltà perché visibili solo in microfilm e la mia vista non è ottima per tale strumentazione un po’ incerta. Neppure da questi estimi è venuta alcuna indicazione sull’origine dei Carnesecchi di Badi poiché il cognome non vi figura ancora e non vi è alcuna indicazione di origine esterna o di origine da un soprannome, come, viceversa risulta per altri casati. Spero che qualche dato possa emergere dall’estimo del 1451, non ancora consultato, anche perché in genere molto più preciso dei successivi. In prima approssimazione però sembrerebbe che (per l’identità del patronimico e per la prossimità nell’ordine dell’estimo e dei possessi) si possa ipotizzare una comune origine con coloro che in seguito si fisseranno come i Giusti di Badi, clan molto numeroso, e dai quali, agli inizi del ‘500, si diramerà anche l’altro casato dei Baschiera o Baschieri. Nell’estimo del 1475 Badi (parrocchia di S. Prospero) e Suviana (in origine Sivigliana, parrocchia di S. Giusto) risultano già unite. S. Giusto incide in maniera molto rilevante nell’onomastica (e poi nei cognomi) mentre S. Prospero non sembra aver lasciato traccia. I fumanti individuati (molto sommariamente perché vi è indicato un solo individuo e non l’intero nucleo) risultano i seguenti (indico tra parentesi i futuri cognomi, talora derivati da questi capostipiti, talora da loro discendenti):

 

Fumanti non abitanti risultano i seguenti:

 

Come vedremo tra poco Badi e Suviana sembrano stentare a decollare ed a superare la crisi del 1300-1450, già ampiamente superata a Casio ed a Capugnano - Porretta, un po’ meno a Granaglione. Bartolomeo Franchi, il capostipite dei futuri Carnesecchi, ad esempio, possiede a Mansovrana (centro originario della famiglia, con grafia variante Mans soprana, Mons soprana) una casa coperta di tavole (scandelle) e beni per pochissime tornature (la tornatura è circa 1/5 di ettaro) mentre altrove, a questa data, le case qualificate, opera di comacini sono ormai numerose. L’ipotesi che Bartolomeo (capostipite dei CarnesecchI) e Giusto (capostipite dei Giusti e dei Baschiera) fossero fratelli, sembra emergere da sé, mentre più problematico è che anche altri possano essere ricondotti allo stesso nucleo (Tomasino Franchi, Giovanni Franchi), al quale, dalla ricorrenza dei nomi, potrebbero forse risalire anche i Giusti di Suviana (Giusto di Bartolomeo). Gli estimi del 1451 e eventualmente della fine del Trecento permetteranno forse di risolvere il problema. Allo stato attuale, dagli estimi del 1475-1563) non emerge alcuna indicazione del perché, nel 1563, tutti gli eredi di Bartolomeo Franchi assumessero il cognome Carnesecchi.

In prima approssimazione, tra i dati di particolare interesse, è la presenza, tra i possidenti non residenti, di Zanino da Lustrola, di famiglia che si pretendeva originaria di Montecatini e già "dominante" in Castel Martino, un centro forte di Granaglione distrutto dai Panico nel 1305. Sposato ad una Giacomelli di Capugnano egli aveva una numerosa figliolanza e fu il capostipite degli Zanini di Lustrola e delle Capanne – Soccida e di Capugnano, famiglia qualificatissima per numero ed importanza di sacerdoti, notai ed intellettuali, anche di rilievo nazionale, poi coinvolta con diversi clan affini nelle faide famigliari e nelle lotte banditesche del Cinquecento. I sia pur ridotti possessi in Badi potrebbero lasciar ipotizzare qualche parentela – affinità con famiglie di Badi e tale affinità (come il prevalente orientamento filo - repubblicano e filo – savonaroliano delle due comunità ed in genere anche di Capugnano – Porretta) potrebbe spiegare perché don Franco di Bartolomeo Carnesecchi venisse poi eletto parroco di S. Nicolò di Granaglione. Nell’estimo del 1520, oltre agli Zanini, figureranno possidenti in Badi anche i Vivarelli di Granaglione, altra famiglia centrale in quella comunità e spesso titolare della chiesa di S. Nicolò.

Il cognome Carne Sechi compare solo nell’estimo del 1563 ma poiché connota un nucleo famigliare ormai relativamente esteso e sicuramente presente anche nel 1475 e nel e nel 1520 - 40, io sarei propenso a ritenere che tale nucleo fosse da tempo ben individuato e che la tardiva fissazione del "cognome" (i cognomi del resto non erano ancora ben fissati ed erano spesso mutevoli) connotasse un "recupero" di identità collettiva sulla base di un comune capostipite noto (lo stesso Bartolomeo di Franco?), non identificabile in questi estimi, verosimilmente caratterizzato dal soprannome Carne Secca o proveniente dai Carnesecchi toscani. Spero che il problema possa essere risolto attraverso il successivo esame degli estimi tre – quattrocenteschi. Per ora si può comunque, con certezza, abbozzare la seguente genealogia: (vedi allegato)

Comunque alla fine del ‘400 Badi e Suviana restano una comunità confinaria sostanzialmente spopolata e economicamente debole, come ben risulta dal seguente confronto tra gli estimi di quell’anno (tra parentesi inserisco il numero progressivo per incidenza d’imposta):

Capitanato di Casio

10) Badi e Suviana………………………….. £ 7,17,-

7) Bargi, Baigno e Stagno…………………. " 12,16,10

14) Camugnano (parte) e Carpineta ……… " 1, 6, 10

11) Creda……………………………………. " 6,14,-

1) Casio e Casola……………………………" 61, 5, -

Vicariato di Capugnano

2) Capugnano………………………………… " 53, 1, -

4) Granaglione e Soccida…………………….. " 23,16, -

6) Belvedere………………………………….. " 15, 3, -

3) Rocca Pitigliana……………………………. " 34,17, 3

5) Casigno, Roffeno, Musiolo……………….…" 20,17, 7

9) Castelnuovo, Labante e Montecavalloro…… " 11, 3,10

13) Affrico e Pietra Colora……………………. " 4, 8, 6

12) Vigo, Verzuno e Camugnano (parte)……… " 5,15, -

 

In questo contesto risulta di scarso interesse esaminare dettagliatamente le ragioni di tale diverso sviluppo e ricchezza, solo in misura minima dovuta alla diversa ampiezza dei territori ed anche alla loro altitudine. Casio, da dopo la vittoria su Federico II alla Fossalta e il definitivo consolidamento della riconquista bolognese dell’alto Reno, sottratto al dominio pistoiese (1249), si è imposta come borgo nuovo, sede del Capitanato della Montagna (che solo da questi anni comincia a condividere con Vergato nel fondovalle ma ancora priva di parrocchia): è un vero e proprio borgo chiuso e fortificato, con una importante pieve collegata a S. Frediano di Lucca. Il capitano della montagna (un nobile cittadino) ha ancora funzioni militari, giudiziarie, amministrative e ciò, oltre ai suoi funzionari e militi, stimola l’afflusso di forestieri, la presenza di numerosi notai, medici, mercanti e artigiani, sacerdoti. Molte sue famiglie sono ricche e qualificate, inurbate ed hanno ottenuto la cittadinanza, quando non anche la nobilitazione. Dà importanti intellettuali come Sabadino degli Arienti e Girolamo da Casio, importanti clan familiari e politico militari. Capugnano ha conosciuto un importante decollo grazie alla costante alleanza col potere cittadino, specie a partire dalla rivoluzione popolare del 1376 quando è stata elevata a vicariato. Sia pure in tono un po’ minore le ragioni politico – amministrative dette per Casio valgono anche per essa e gode di privilegi ed esenzioni. La più importante strada commerciale per la Toscana passa ormai attraverso di essa (passo di Porta Franca) anche perché più funzionale alla direttrice Lucca – Pisa - Genova, inoltre, nonostante sia stato eretto a contea (1447) di fatto il Bagno della Porretta continua ad essere sia ecclesiasticamente che politicamente e economicamente parte integrante di Capugnano, che possiede (con Granaglione) le terme e gli alberghi, ma più di Granaglione ne ha promosso lo sviluppo e il popolamento. Lo sviluppo di Capugnano – Porretta tende a superare la stessa Casio, in tutti i settori (intellettuale, agricolo, mercantile, ecc.). Rocca Pitigliana è pure stata in passato sede di vicariato e media col Frignano, tende però a decadere. Granaglione conosce un certo sviluppo (in parte legato come per Capugnano al controllo di Porretta e delle terme, dei passi toscani) ma il suo sviluppo è molto più ritardato e lento: la sua importantissima pieve delle Capanne (che controlla anche numerose parrocchie pistoiesI) è di nomina vescovile e, in questo periodo ancora controllata nepotisticamente dai Mellini di Casio (a cui gli Zanini la sottrarranno) e solo la chiesa alta di S. Nicolò di Granaglione è di giuspatronato popolare – comunitario mentre a Capugnano tutte le chiese (compreso la piccola sussidiale porrettana) sono saldamente in mano alla comunità, decisamente orientata (ma non senza lotte intestine) verso l’alleanza repubblicano – savonaroliana. Casigno, Roffeno e Musiolo sono una comunità abbastanza grande confinante col Frignano, da cui sono derivate alcune antiche e persistenti famiglie nobili, anche se la strada che la attraversa, come direttrice per la Toscana, ha avuto soprattutto un’importanza altomedievale ed è ora in decadenza. Lo stesso vale anche per il Belvedere, che tarda a riprendersi ed è in larga parte sotto controllo dei Tanari di Gaggio (filomedicei e filo – Panciatichi) e di altri potentati per il controllo dei suoi importanti boschi e beni comunali, che viceversa a Capugnano e Granaglione sono saldamente sotto controllo comunitario. Ad eccezione di Casio anche tutte le comunità ad est del Reno e lungo la Limentra stentano a decollare. E’ in decadenza la strada per Prato – Firenze (e tanto i Pepoli che i Bardi tendono ad accentuarne l’isolamento per difendere i feudi "imperiali" di Castiglione e Vernio dalle mire delle due città dominanti), solo Bargi ha qualche bene comunitario di qualche consistenza; Badi e Suviana, come le altre comunità stentano a decollare e restano interamente rurali anche per l’attrazione che viceversa esercitano i maggiori centri di Casio e Capugnano – Porretta e la stessa Granaglione si è spinta, oltre il Reno, a controllare la strada che, dalla Madonna del Ponte di Porretta va a Pavana – Sambuca. La strada che da Montovolo, Savignano, Casio, per Badi e per la Moscacchia va in Toscana è in relativa decadenza e occorrerà aspettare il Cinquecento pieno perché la ripresa vertiginosa della demografia e dell’economia torni a coinvolgere anche queste zone, delineando anche in Badi alcuni casati importanti (Nerattini, Lorenzelli, Giusti, Frabetti, Marzocchi, Borri, ecc.).

Circa i Carnesecchi di Badi, la loro evoluzione sembra interamente tipizzabile. Da un unico individuo verso la metà del ‘400 (Bartolomeo di Franco), come sempre, verso il 1520 si è delineata una famiglia patriarcale con 5 figli, poi ulteriormente saliti a 7, che si è ulteriormente diramata e che verso il 1563 conta almeno una quindicina di esponenti maschi.

Nel 1520 la famiglia è già connotata da un sacerdote (don Franco di Bartolomeo), concubinario come quasi tutti i sacerdoti dell’epoca e padre di tre figli (Domenico, Giovanni e Gregorio) a cui in seguito si aggiungerà Gian Giacomo. Don Franco nel 1520 è connotato dal termine Pistoresi, che in genere indica paternità (figlio di Pistorese) ma che qui non appare ben comprensibile dato che il padre risulta chiaramente Bartolomeo. Poteva venirgli dalla madre o da qualche eredità? Pistorese comunque non sembra indicare un’origine locale quanto, come nome proprio, la persistente attrazione economico – culturale di Pistoia, città nella quale non è escluso avesse conseguito gli ordini sacri. Nel 1520 la famiglia risulta così individuata: don Franco Pistoresi, Daniele, Pietro, Aymerico, Giuliano e Sebastiano tutti figli del fu Bartolomeo di Franco di Badi, Domenico, Giovanni e Gregorio figli del detto don Franco; Bartolomeo figlio del detto Pietro. I loro beni non sono particolarmente consistenti e il loro centro resta decisamente Mansovrana, un borghetto a qualche centinaio di metri dalla parrocchiale di S. Prospero:

Franco Giusti) £ 65

- altra casetta coperta di paglia in Mansovrana (via da due lati, beni di S. Prospero a est, altri) " 7

a ovest, altri) " 30

- pezza prativa Pra biretto (via a est, rio a nord, beni comunali a ovest) " 13

- pezza vignata Lo Canevaro (via da due lati est- sud, Bartolomeo Giusti, altri) " 13

- pezza castagneta allaguedo (= il guado? Il greto?) (via pubblica, Carlo Giusti a est, altri) " 30

beni di S. Prospero a est, altri) " 30

£ 178

I beni posti fuori Mansovrana sono detti "nella guardia" ma probabilmente non sono molto distanti.

Anche nel 1540 coloro che si dirameranno nei Carnesecchi costituiscono una famiglia patriarcale ancora unita, così individuata: Mengo e Sebastiano fratelli e figli del fu Bartolomeo di Franco; Marcantonio, Giovan Domenico e Gregorio fratelli e nipoti dei suddetti. Il loro patrimonio è rimasto praticamente invariato rispetto al 1520, anzi sembra essere un po’ diminuito:

- casa murata coperta di lastre con orto in Mansovrana (via a ovest, rio a sud, Lorenzo Cambini a est) £ 44

- pezza arativa Mansovrana (rio) " 20

- pezza arativa prativa Pra biretto " 30

- pezza vignata Mansovrana " 10

- pezza castagneta li lastredi (via, Lorenzo Cambini) " 20

- pezza arativa prativa campo di castagni o panazzo (via, Lorenzo Cambini) " 20

£ 144

 

Nel 1563, quando tutti i discendenti di Bartolomeo Franchi assumono il cognome di Carnesecchi (esattamente Carni sechi, Carne sechi e Carne secchi), i possessi appaiono molto frazionati e poveri: Antonio e Daniele di Sebastiano hanno due piccoli appezzamenti ciascuno, il primo due piccoli castagneti (a rechiare, in gazolaria) per appena 1 tornatura, il secondo un piccolo arativo a Man soprana e un piccolo castagneto (a ghiradazzo) anch’egli per una sola tornatura totale. Fabiano del fu Pirucio possiede la metà di una casa e un po’ di arativo castagneto a soprana, un castagneto alla piastra e un prato con castagneti alla lama, per un totale di 2 tornature. A man soprana ha una casa con prato e castagneti e 5 piedi di mori anche Aymerico di Bartolomeo, con un po’ di lavorativo e di bosco alla fontana bazona, e piccoli castagneti alle pavare e alle lamazze, il tutto per non più di tre tornature. I possesi di Marc’Antonio di Giuliano sono un po’ più consistenti (6 torn. lavorative castagnete a ronco pagano e 2/3 arative prative alle panare). Manca qualsiasi indicazione di valore, ma, fondamentalmente, a Badi, non sembra essersi verificato a questa data alcun decollo economico, altrove già abbastanza imponente. Del resto il successivo sviluppo demografico ed il consolidamento di qualche famiglia (i Pieraccini daranno nel Settecento anche un vescovo e verranno nobilitati in Bologna) non sembra mai aver determinato un comunità troppo forte: ancora nel tardo seicento essa non riuscirà a ricostruire la propria chiesa e ne cederà perciò il giuspatronato ai Ranuzzi, conri di Porretta, che costituiranno anche nella comunità la loro unica e non rilevante tenuta montana, stabilendo comunque sulla comunità stessa un relativo "protettorato".

Naturalmente questi primi dati, sulla base degli estimi tardo quattrocenteschi e cinquecenteschi dovranno essere integrati con gli estimi più antichi e con quelli successivi, coi catasti, poi con i libri parrocchiali e, soprattutto, per fare veramente vivere i personaggi, coi rogiti notarili, la storia della comunità e, ancor più, bellissimi, gli atti giudiziari (bellissimi e rivelatori di usi e costumi, di mentalità soprattutto quelli criminali). Per ora è tutto.

Cordialmente e buon lavoro!

Alfeo Giacomelli

 

 

 

Bartolomeo Franchi

la cui nascita si puo' ipotizzare tra il 1420 ed 1430

 

 Ho visto in archivio l'estimo del 1451 ma purtroppo non fornisce alcun dato nuovo circa il motivo per cui i discendenti di Bartolomeo Franchi nel 1563 assunsero tutti il cognome Carne sechi o Carnesecchi, ma emergono alcuni (pochi) dati nuovi perchè al 1451 Bartolomeo era vivente ed era già titolare di gran parte dei beni che poi perverranno i primi eredi. L'estimo del 1451 è molto importante perché si pone alla fine della lunga depressione del 1300-1450 ed agli inizi della eccezionale ripresa rinascimentale. Coincise anche col definitivo sopravvento dei Bentivoglio e col loro sostanziale riconoscimento da parte dell'autorità pontificia e dei legati, col riconoscimento della sostanziale autonomia bolognese, e con un tentativo di avere un quadro molto dettagliato della situazione (censimento delle persone, abitazioni, possessi, animali, suppellettili, debiti e crediti) quale in seguito non si sarebbe più ripetuto. Tuttavia da comunità a comunità si registrarono differenze e, ad esempio, a Badi non è registrata l'età delle persone come avviene invece in altri casi (ad esempio Capugnano), comunque, anche a Badi risultano nel 1451 registrate anche le donne che in seguito verranno omesse se non titolari dei beni.

Al 1451 la famiglia di Bartolomeo Franchi risulta composta da 5 bocche ed è semplice e completa, probabilmente costituita da non moltissimo tempo, poiché, oltre alla moglie, vi risultano solo tre figli, esattamente 1 figlio e due figlie, mentre in seguito i figli (senza considerare le figlie che non verranno più registrate) risulteranno abbastanza numerosi..

Il quadro è il seguente:

Bartolomeo Franchi = donna Margherita

____________________________________________________

Tommasino ; (Bartolo)Mea ; Margherita

da un punto di vista socio-antropologico sembra meritare qualche considerazione quel d. (domina) premesso al nome della moglie. Normalmente l'estimo riporta solo i nomi, senza alcun attributo (eccetto per gli uomini il ser per i notai, il don per i sacerdoti, il mastro per gli artigiani ma non sistematicamente). Normalmente il termine domina viene accennato solo quando (molto raramente) le donne sono capofamiglia e titolari dei beni. Nel caso del capostipite dei Carnesecchi titolare e capofamiglia è sicuramente lo stesso Bartolomeo. Pertanto l'uso del termine domina, donna è incidentale (un lapsus) o è intenzionale, sottolinea una particolare dignità? E specificamente, potrebbe essere lei una Carnesecchi, di eventuale provenienza esterna, che avrebbe fissato l'identità della famiglia ?? Purtroppo, allo stato attuale delle conoscenze, non si può dire nulla e poiché, dal silenzio delle fonti, sarebbe erroneo passare ad una affermazione positiva, meglio limitarsi a considerare il problema, sperando in futuri rogiti o fonti giudiziarie,

I possessi di Bartolomeo erano i seguenti:

- casa murta, coperta di piagne, con casamento, aia, prato, orto in Mansovrana (confina rio, beni di S. Prospero) ......................................................... £ 30

- pezza vignata, ivi (S. rpspero, rio)..................................................... " 10

- pezza vignata, ivi (via)....................................................................." 10

- pezza arativa cstagneta a bonari (?) (Ghitino Cambini, S. Prospero).........." 15

- pezza castagneta zazobian (?) (s. Michele, Corso da Badi)....................." 10

- pezz querciata a (= il) lagazo (Corso da Badi, via)................................ " 10

- pezza castagneta donegado (S. Prospero, via)....................................." 10

- pezza castagneta redichapori (?) (Zanino da Badi, S. Prospero)..............." 10

- pezza prativa campiano (S. Prospero, Petronio (??))..............................." 10

- pezza castagneta a cariani (beni di S. Giusto di Suviana, beni comunali)...." 10

- pezza prativa al bucedo (Pietro di Matteo, rio)......................................" 10

- pezza arativa al pozo (= il poggio) (rio da due lati, via)..........................." 30

- pezza vignata vigna redonda (via da due lati, Marco).............................." 15

£ 180

supellettili..............................................£ 20

animali: 3 pecore e 50 capre....................." 25 (12)

1 paio di buoi.............................." 20 (10)

debiti verso 3 persone.............................." 40

Totale.....................£ 202

 

A differenza di altre comunità a Badi non viene data la superfice dei terreni, che comunque non dovrebbe essere molto rilevante. Il calcolo non risulta interamente esatto. La proprietà non è eccezionale ma fa comunque di Bartolomeo il terzo possidente della comunità e in particolare egli appare decisamente il più qualificato per possesso di animali ed in particolare per il numero delle capre. Il centro originario della famiglia in Badi si conferma il borghetto di Mansovrana, alto sulla valle della Limentra (oggi sul lago di Suviana), non molto distante dalla parrocchiale di S. Prospero e caratterizzato da un rio e da una discreta sorgente.

Per il momento non sviluppo altre considerazioni.

Cordiali saluti Alfeo Giacomelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ESTIMO DEL 1608

 

Ho esaminato gli estimi del Sei – Settecento. Per il Seicento per Badi, sono attestati estimi del 1608 e del 1630, e, per Suviana del 1608 e del 1634 (le due parrocchie – comunità erano evidentemente tornate separate), ma, nel fondo Estimi, risulta reperibile solo un indice dell’estimo del 1608, interessante, ma, per il momento e per i Carnesecchi assai poco utile. Se si eccettuano pochi individui di alcune famiglie (Neratini, Bori o Borri, Mazocchi, Pieratini, Antonelli) i cognomi sono scomparsi e si è tornati ad una registrazione per nomi e patronimici, difficoltà accentuata dal fatto che i fumanti – possidenti sono molto aumentati, i casi di omonimia frequenti e manca la descrizione dei beni per la sola registrazione dell’imponibile. In seguito, con un lavoro più capillare e utilizzando questi dati congiuntamente ai registri parrocchiali sarà probabilmente possibile agganciare questi nomi alle genealogie cinquecentesche. Per ora ogni tentativo rischierebbe di essere arbitrario e passibile di errori. Come osservazione generale si può osservare che, per Badi, sembra essere il momento di massima espansione demografica ed insieme di massimo frazionamento della proprietà che, in genere, sembra essere minima. Se si esclude il fabbro Bartolomeo Nerattini (£ 8,10), gli eredi di Benedetto di Battista (£ 4,11), Jacomo Pieratini (£ 4,15) e Bernardino Pieratini (£ 3,6) e di due fumanti che si collocano intorno alle £ 2, tutti gli altri fumanti si aggirano intorno alle £ 1 o, decisamente la maggioranza, al di sotto della lira. Gli esponenti dei Carnesecchi (per il momento non facilmente individuabili) si collocano sicuramente in queste fasce inferiori.

 

I Carnesecchi di Badi dunque, non sono "decollati", dato che vedremo confermato anche da tutti i dati successivi. Tale dato sembra confermato anche da un elenco di parrocchiani che pagano decima nel 1699: dei Carnesecchi (che pure dovrebbero aggirarsi ancora introno a 5- 6 capifamiglia) il solo Matteo la paga. 

 

 

Poche note in aggiunta agli estimi inviati.

 

 Come le segnalavo nell’estimo del 1605 in gran parte si abbandonano i cognomi per un ritorno prevalente all’uso del nome e del patronimico. Tuttavia qualche dato ulteriore si può desumere. Due Carnesecchi risultano tra gli assunti deputati alla redazione dell’estimo, che sono: Sabatino q. Battista Mazocchi, Pellegrino Carnesecchi, Ventura del fu Giuliano, Gregorio del fu Lorenzo, Agostino Bagioli e Mariotto Carnesecchi.

In genere, anche se per Badi questa prassi non è mai citata, nella redazione degli estimi si designavano due rappresentanti per i "ricchi", due per i "mezzani" e due per i "poveri" ma non è detto che questo si verificasse anche a Badi, Massaro è Andrea q. Pellegrino Pieraccini e segretario scrivano Giusto Borri.

Quando il cappellano di S. Prospero il 19 maggio 1605 pubblica l’estimo con le solite solennità, Pellegrino fu Sabatino Carnesecchi è citato come teste insieme a Gregorio Lorenzelli, Matteo Cambini e ad un altro Pellegrino.

Risultano ben identificabili come Carnesecchi ben sei "ditte":

 

Maria Catelina di Andrea Carnesecchi che possiede solo mezza tornatura di castagneto a Campo di lupo per un estimo di £ 0,15

Maria Caterina e eredi di Pellegrino Carnesecchi

Bartolomeo di Fabiano Carnesecchi

Pellegrino di Sabatino Carnesecchi

Mariotto di Sabadino

 

 

 

Quasi tutti i Carnesecchi di Mansovrana però non sono facilmente individuabili.

 

 

 

ESTIMI SETTECENTESCHI

 

 

ESTIMO 1700

 

 

Gli estimi settecenteschi sono conservati ed hanno l’impianto tradizionale. I cognomi vi appaiono ormai definitivamente fissati.

Nell’estimo del 1700 compaiono cinque Carnesecchi: Maria di Giuliano, gli eredi di Matteo Carnesecchi (eredi anche di Marco Fabretti di cui probabilmente in seguito assumeranno il cognome); Matteo di Giovanni, Pelegro, gli eredi di Sabatino Carnesecchi. Tutti continuano ad abitare a Mansovrana, ad eccezione degli eredi di Sabatino che abitano in una Casa di Bochio che non saprei localizzare. Maria di Giuliano possiede non più di 3 tornature (una pezza lavorativa e due castagneti, la tornatura è circa 1/5 di ettaro) per totali £ 10 di valore. Matteo di Giovanni 9 appezzamenti (in parte lavorativi, per lo più castagneti) per una decina di tornature (circa 2 ettari) e un valore di £ 17. Pelegro 9 appezzamenti (2 lavorativi, 6 castagneti, una vigna) pure per una decina di tornature, ma per un valore nettamente superiore di £ 34. Gli eredi di Sabatino di casa di Bochio solo una tornatura e mezza di castagneti per £ 4. Come in tutti i precedenti estimi di Badi le case non vengono considerate ai fini del valore e della tassazione, penso per una originaria disposizione interna alla comunità dato che altrove mi risultano sempre considerate. Non risultano Carnesecchi migrati che conservino beni locali e, su un totale di sei sacerdoti locali dotati di patrimonio (don Domenico Lorenzelli risulta anche economo in mancanza del parroco) non risulta alcun Carnesecchi.

 

 

 

ESTIMO 1725

 

Il quadro risulta ulteriormente ridotto nel 1725 in cui risultano solo tre Carnesecchi: Antonio, Prospero (che risultano fratelli) e Lorenzo. Tutti e tre continuano ad abitare in Mansovrana. Antonio ha 9 appezzamenti (un lavorativo di sola mezza tornatura, una vigna di una tornatura, 7 castagneti per 5 ½ tornature) per totali 7 torn. (meno di 1 ettaro e mezzo) e un valore di £ 28. Anche Prospero ha 9 appezzamenti (una vigna di torn. 1 e 8 castagneti per circa 5 torn.) per un totale di circa 7 torn. ma un valore inferiore di £ 18. Lorenzo ha 8 appezzamenti (4 parzialmente lavorativi arborati, 4 castagneti) per circa 6 tornature (poco più di un ettaro) e un valore di £ 15. Continuano a non figurare sacerdoti della famiglia o migrati che conservino beni.

 

 

 

ESTIMO 1750

 

 

Anche nell’estimo del 1750 i Carnesecchi continuano a figurare solo con tre ditte che continuano le precedenti del 1725: gli eredi di Antonio i cui beni sono leggermente calati (un appezzamento in meno) per £ 23; Prospero, che resta totalmente inalterato, gli eredi di Lorenzo che hanno quasi raddoppiato un patrimonio che resta tuttavia relativamente modesto (14 appezzamenti, 13 ½ torn.) per £ 26. Non si nota alcuna variazione socio – culturale, in un contesto in cui almeno un badese (don Francesco Maria Soprani) ha ottenuto la cittadinanza e le relative esenzioni, compare qualche possesso di un ricco mercante – industriale di origine montana ormai prossimo alla nobilitazione (Giovagnoni) e qualche modesta ascesa locale si intravede: il tenente [delle milizie bolognesi] Consalvo Butelli ha acquistato parte della piccola tenuta dei conti Ranuzzi pur rimanendo fumante per un valore di £ 119 che vengono messe a estimo; i Pieracini stanno emergendo attraverso un ecclesiastico che diventerà vescovo.

 

ESTIMO 1775

 

 

Infine l’estimo del 1775. Vi figurano solo quattro ditte Carnesecchi: Domenica per £ 2; Maria del fu Giovanni con 4 pezze e £ 7; Pellegrino del fu Antonio con £ 13; Giovan Battista e i fratelli, figli del fu Lorenzo che, complessivamente, hanno ancora aumentato il loro patrimonio con 19 appezzamenti e 49 ½ torn. per £ 77. Ma si tratterà anche di vedere (sui futuri catasti e censimenti) il numero di questi fratelli e come si frazionerà il patrimonio. Si registra infine, tra i forestieri, una Maria Sabatina Carnesecchi che conserva scarsissimi beni per £ 3. Ancora nessun sacerdote e patrimonio ecclsiastico. Le trascrivo i possessi dell’unico nucleo destinato ad avere un seguito in Badi, quello di Giovan Battista e dei fratelli, figli di Lorenzo:

 

 

IMPOSSIBILITA' DI RICAVARE UN ALBERO GENEALOGICO

 

Dagli estimi settecenteschi (data tra parentesi) non è possibile ricavare una precisa genealogia che dovrà essere ricavata dai registri parrocchiali. Abbozzo comunque quanto si può desumere (le occasionali date di morte sono reperite da un frammento di registro parrocchiale occasionalmente reperito in archivio arcivescovile (Miscellanee Vecchie, S. Prospero di Badi).

 

 

 

GIULIANO SABATINO MATTEO GIOVANNI PELEGRO (1700)

=Maria +23.XII.1715

Maria (1700) eredi di (1700) eredi di (1700) MATTEO (1700) a 63 anni

+ 25.Xi.1719 Casa di Bochio Mansovrana Mansovrana

a 70 anni + 2.X.1719 a Anastasia

66 anni + 17.X.1631

a 60 anni

 

 

Domenica = Giovanni Borri

+ 23.v.1743

a 50 anni

 

 

--------------------------------------------

ANTONIO (estimo 1725) Mansovrana

PROSPERO ( estimi 1725-50) Mansovrana

LORENZO (1725) Mansovrana

 

= Pasqua + 28.X.1736 a 66 anni

eredi (1750)

______________________________

 

Maria , eredi (1750) GIOVAN BATTISTA e fratelli (1775)

+1.III.1749 PELLEGRINO (1775) Mansovrana

a 22 anni

 

 

 

 

GIOVANNI di ???

Maria Lucia Maria (1775)

Domenica + 25.IV.1756

+ 18.XI.1753 a 22 anni a 7 mesi

 

 

 

CONCLUSIONE

 

Sulla base del quadro complessivo degli estimi credo si possa abbozzare la seguente sintesi. I Carnesecchi di Badi derivano da un Bartolomeo di Franco attestato nell’estimo del 1451 in età ancora giovanile e con famiglia ridotta e poi nel 1475 con famiglia notevolmente più consistente. Se il cognome derivasse da lui o dalla moglie (nel 1451 designata col termine di domina) o da qualche soprannome è ora impossibile chiarirlo. Di certo dal Franco suddetto dovettero derivare altre famiglie di Badi, tra cui almeno i numerosi Giusti ed i Baschieri, derivati dai Giusti, ma probabilmente anche altre. Il centro originario della famiglia risulta il borghetto di Mansovrana, posto a circa 500 metri dalla chiesa di S. Prospero e dominante sulla valle della Limentra (oggi sul lago di Suviana), borghetto che rimase poi la costante residenza di tutta la famiglia. Secondo la normale evoluzione demografica ed economico del periodo, la famiglia, ancora nucleare nel 1451 e già tendenzialmente "patriarcale" nel 1475, che nei primi due decenni del ‘500 dava un don Franco, parroco di Granaglione, venne poi diramandosi in diverse famiglie e rami che tutte, nell’estimo del 1563, assunsero il cognome Carnesecchi. Dal punto di vista dell’espansione numerica il massimo sviluppo venne raggiunto tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento, ma senza che a ciò facesse riscontro (come avvenne in altre famiglie) un consistente processo di colonizzazione del territorio e di sviluppo degli insediamenti; il patrimonio rimase sostanzialmente limitato e modesto né, a differenza di altre famiglie montane, dopo don Franco risulta venisse acquisita una più ampia e complessa articolazione socio – culturale pur non infrequente anche in numerose famiglie del contado. In particolare non risulta mai acquisita da alcun esponente della famiglia la cittadinanza bolognese o l’ammissione a consigli artigiani cittadini, non risultano addottorati, notai e neppure sacerdoti con la fissazione di patrimoni ecclesiastici e altari – benefici. In sostanza, dall’inizio alla fine del Settecento la famiglia (almeno dagli estimi e dalle poche fonti finora consultate) non sembra essere uscita da un contesto tutto locale di piccoli contadini liberi e sostanzialmente poveri, anche se è possibile che un certo numero di beni, per matrimoni, andasse a consolidare altre famiglie locali o delle comunità vicine. Sembra difficile che fenomeni migratori si siano verificati verso Bologna ed il Bolognese, più probabile che, eventualmente, si siano diretti verso la Toscana.

A meglio chiarire il quadro può essere utile sviluppare qualche prima considerazione sulle comunità di Badi e Suviana, fusesi nel corso del Quattrocento e tornate distinte verosimilmente sul finire del Cinquecento e agli inizi del Seicento.

Tra le comunità confinarie Badi non fu tra le più grandi e solide, probabilmente anche perché in età moderna le strade che la attraversavano decaddero anche per il declino di Castel di Casio, progressivamente sostituita, a partire dal 1450 circa, da Vergato come sede dei capitani della montagna. Anche i suoi beni comunali non erano di grande consistenza e la chiesa non aveva una rendita eccessiva.

In età romana aveva sicuramente fatto parte del territorio bolognese (da cui l’appartenenza alla diocesi bolognese ed al plebanato di Soccida – Capanne anche di numerose parrocchie toscane) ma dall’invasione longobarda del VI secolo era rientrata nel territorio toscano e specificamente (dalla fine degli Attoni) in una signoria locale imperniata nella vicina Stagno. Nel territorio bolognese era rientrata, come tutto l’alto Reno, agli inizi del ‘200 e, definitivamente, dopo la sconfitta di Federico II e la rifondazione di Castel di Casio come sede dei capitani della montagna. Questo periodo tardomedievale connotò probabilmente il periodo di maggiore importanza per la montagna alla destra del Reno e specificamente anche per Badi ed in particolare sembra avesse avuto una importante rocca (la cui collocazione non è ben nota: ipotesi per Poggio Moriccio, Piamori, Monte della Tosa o presso l’attuale parrocchiale). Il 20 febbraio 1322 la rocca fu presa dai fuoriusciti di Bologna che ne uccisero il guardiano Filippo Tessari con 6 soldati. Ciò determinò l’immediata reazione bolognese che inviò una spedizione abbastanza consistente che però non riuscì nell’assedio e alla fine la rocca dovette essere riacquistata da Bologna col denaro. Verso il 1366 la chiesa di S. Prospero era considerata tra le più cospicue del vasto plebanato delle Capanne (o Soccida) che comprendeva anche numerose parrocchie toscane ed anzi vi era nel territorio di Badi anche una seconda chiesa parrocchiale, quella di S. Ilario al Monte, anch’essa di discreta rendita. Ma il definitivo delinearsi della crisi tre - quattrocentesca e il tendenziale spostarsi del baricentro economico – commerciale verso Porretta – Capugnano vi determinarono consistenti elementi di crisi demografico – economica, d’altra parte ampiamente generalizzati. Ne derivò in particolare l’unione con la comunità di Suviana (o come denominata in origine Sivigliana).

Ho fornito il quadro dell’estimo di Badi e Suviana per il 1451 e più o meno nello stesso periodo le due comunità contribuirono alle nozze di Sante Bentivoglio con 7 capretti. Incidentalmente si trattò di un momento di particolare intensità nelle relazioni tra Bologna e Firenze – Pistoia, sia per il concilio di Ferrara – Firenze, sia per le vicende politiche delle due città e specificamente anche per le difficoltà di affermazione dei Bentivoglio che, dopo l’assassinio di Annibale e data la minore età di Giovanni, rischiarono di trovarsi senza un capo. L’appartenenza di Sante ai Bentivoglio era problematica e comunque era cresciuto in Toscana come addetto ad una figliale mercantile: il suo riconoscimento e la sua elevazione alla "signoria" (informale) di Bologna furono il risultato dei comuni interessi dei Medici e dell’oligarchia "popolare" bolognese. Il che non escluse poi che intorno al 1475 (con Sisto V della Rovere quasi tutte le comunità dell’alto Reno si orientassero verso la fazione Cancelliera e antimedicea).

Forse anche per questo, tornata Bologna alla Chiesa, nel 1513 Leone X infeudava come contea Badi, (con Suviana), Bargi (con Baigno) e Stagno a Ovidio di Astorre Bargellini. Le numerose contee erette in questi anni da Giulio II e Leone X vennero tutte soppresse (per pressione del senato bolognese) nel 1527 – 32 da Clemente VII, ma forse non a caso sembra che la contea di Bargi – Bagno sopravvivesse fino al 1598 circa. Per molte ragioni dunque questo periodo, 1450 – 1600 sembra essere il più interessante per l’area e probabilmente anche per i Carnesecchi di Badi.

La comunità fu sicuramente ancora interessata a grandi eventi internazionali in occasione della guerra di Castro ed in particolare quando, procedendo attraverso Casio, Badi, Treppio l’esercito pontificio del card. Antonio Barberini si portò all’assedio di Pistoia, venendovi sconfitto. Nel secondo ‘600 la comunità di Badi (ormai disgiunta da Suviana) sembra tendenzialmente in declino tanto che, per rinnovare la sua chiesa, deve cedere il giuspatronato ai Ranuzzi, conti della Porretta che, poi, anche per avere costituito una piccola tenuta, eserciteranno sempre sulla comunità una sorta di protettorato. Forse grazie all’influenza dei Ranuzzi e ad un loro parallelo intervento sulla chiesa di Stagno, sembra che questa insieme a quella di S. Marco del Monte degli Scudi divenisse sussidiale di Badi. La chiesa di Stagno tornò parrocchia di collazione arcivescovile nel 1840.

Verso il 1775 la chiesa comunità contava 593 anime. La popolazione era per lo più distribuita in case sparse ma anche in un certo numero di borghetti:

Campissari fam. 4

Collina " 8

Serra " 3 (con oratorio)

Mansovrana " 18

Maccia " 4

Moscaccia " 9 (con oratorio e dogana)

Poggio Moriccio " 8 (con oratorio)

Piano di Pino " 4

Poggio " 8

Piamoro " 3

La chiesa era abbastanza grande (piedi 60 x 25) e decente, con fonte battesimale e con un buon quadro dedicato al patrono S. Prospero, ma, per ricostruirla, sulla fine del ‘600 i parrocchiani avevano dovuto cedere il giuspatronato, in precedenza popolare, ai Ranuzzi conti dei Bagni della Porretta che pure erano venuti costituendo nella comunità una loro piccola tenuta, mentre non avevano quasi beni fondiari nel Porrettano – capugnanese.

Vi erano quattro altari laterali, dedicati a S. Vincenzo Ferreri (statua e processione), a S. Antonio, al Crocefisso e alla B.V. del Rosario; la sacrestia era stata ricostruita nel 1716. La chiesa aveva sotto di sé quattro oratori oratori (S. Ilario nel Monte che in origine era stata parrocchia, S. Gioacchino della Moscaccia, S. Giovanni Battista di Poggio Moreccio dei Lorenzelli e la B.V. della Serra. Nell’ottocento si cita un oratorio dedicato a S. Filippo dei Nerattini. La canonica venne ampiamente ricostruita verso la metà dell’Ottocento dal parroco Lorenzo Magnanelli. Nel Sei – Settecento i sacerdoti badesi con patrimonio sembrano essersi aggirati normalmente intorno ai 6-9 e tra essi, come detto, non risultano Carnesecchi.

L’aria era buona e la mortalità non elevata, ma l’agricoltura era debole: la produzione maggiore era data da marroni e castagne (come risulta anche dai possessi dei Carnesecchi), mentre i coltivi erano pochi e il grano, in particolare, non dava più del 3:1 e i marzatelli (orzo, mais) ancor meno 2:1 ed erano pochissimo coltivati. Poca e cattiva era l’uva e la frutta, poco anche il pascolo e non molto il fieno, poca anche la ghianda per l’allevamento dei maiali e pochissimi i mori per i bachi da seta (produzione da sempre diffusissima nel Bolognese che aveva avuto e in parte manteneva il monopolio del velo). Vi era in prossimità del paese una sorgente abbastanza celebre (il Parìo) ed anche a Mansovrana, oltre ad un rio, vi era una buona sorgente d’acqua. Gli artigiani erano costituiti da 2 fabbri, 6 muratori, 1 falegname, 2 calzolai, 1 mugnaio e vi era una sola relativa specializzazione nel fatto che un certo numero di individui facevano strumenti di legno (e in particolare pettini per tessere) che smerciavano non solo sul Bolognese ma anche in Toscana, nel Ferrarese, nella Marca, nel Veneziano e, occasionalmente anche in aree più ampie. (I più ampi boschi comunali di Capugnano, Granaglione e Belvedere avevano determinato a lungo un più stretto interscambio con la città anche attraverso una prolungata fluitazione medievale – rinascimentale ed anche alla fine del Settecento rimanevano abbastanza importanti perché, ridotti in carbone, determinavano relazioni molto strette con le magone e le ferriere concentrate nell’alto Pistoiese. Questo fenomeno non sembra essersi verificato neanche per Bargi, l’unica comunità alla destra del Reno ad avere boschi comunali di una qualche consistenza). Accanto alla pastorizia transumante (che comunque in Badi non sembra essere stata rilevantissima ed a qualche carbonaio) sembra essere stata questa relativa specializzazione nella piccola falegnameria domestica (utensileria) la maggiore occasione di migrazione stagionale dei badesi su aree abbastanza vaste e forse l’occasione di qualche matrimonio esterno e di qualche trapianto definitivo. 

 

 

 

 

Ho dal dottor ALFEO GIACOMELLI

 

 

I CARNESECCHI NEL CATASTO DEL 1782-6

 

Per il momento non ho consultato, per Badi, il catasto Boncompagni del 1782-6, il primo nel Bolognese impostato sulla totalità della proprietà e su una rigorosa base cartografica, anche perché non dovrebbe presentare sostanziali novità rispetto all’estimo di poco antecedente. Non mancherò di farlo in futuro, ma, per il momento sto lavorando sistematicamente sul catasto dei comuni di Granaglione e Capugnano – Porretta per diversi progetti abbastanza importanti e comunque per mia soddisfazione. Per Granaglione, per ora, ho esaminato solo il territorio di Lustrola e non risultano Carnesecchi. Ho esaminato invece tutto il territorio di Capugnano – Castelluccio e Porretta. Non vi risultano Carnesecchi con proprietà fondiarie, ma una Sabatina Carnesecca risulta in Porretta proprietaria della casa accatastata col n. 11. Si tratta di una casa verosimilmente ancora esistente, posta sulla strada (l‘attuale via Ranuzzi) che dalla chiesa parrocchiale, dopo il voltone del crocifisso, adduce alle fonti del Leone e delle Donzelle. Confinava con case della Compagnia di S. Francesco, di Nicolò David, Giacomo Parietti, TeodoroTeodori.

 

 

I CARNESECCHI DI BADI NEL CENSIMENTO DEL 1847

 

Nel 1848, probabilmente anche in rapporto alla nuova situazione politica "liberale", venne realizzato un censimento estremamente accurato, relativo all’anno precedente 1847, che venne affidato ai parroci ma con criteri piuttosto unitari (nuclei familiari, età, professioni, origine, residenza) anche se, ovviamente, la redazione variò abbastanza in rapporto alla precisione ed alla sensibilità dei parroci. A Badi, nel 1848, era parroco don Lorenzo Magnanelli, originario della vicina Sambuca in Toscana, una personalità piuttosto interessante non aliena dal verseggiare occasionale ed arguto. Questa sua vivacità "popolana" si esprime anche nel censimento, per certi aspetti molto accurato, specie nel tentativo di individuare le professioni e la condizione sociale e in qualche modo interessante per certe annotazioni argute che accompagnano i dati.

Così, ad esempio, notava che a Badi nel 1846 vi erano stati 13 matrimoni, ma che nel 1847, nonostante il dominio di Venere (in evidente riferimento al clima romantico ed alla agitazione prerivoluzionaria che nella vicina Gavinana e nel nome del Ferrucci aveva avuto uno dei massimi centri nazionali, tanto da finire nell’inno di Mameli col centenario dell’insurrezione di Genova ed il Balilla), i matrimoni erano stati solo 2. I nati nel 1847 erano stati 33 (14 maschi, 19 femmine) ed i morti 21 (9 maschi, 12 femmine), "che sicuramente non se ne sarebbero andati" se avessero immaginato che nel 1848 si entrava nel "Nuovo Mondo". In tutto le anime erano 733 più 99 in una sussidiale.

Circa la condizione sociale notava: "ho dato il nome di possidente anche a coloro che non posseggono che la sola casuccia che abitano", anche se di pochi scudi, ma in realtà a Badi non vi era alcun "possidente" che vivesse d’entrata (comunque un Marzocchi risulterà avere alle sue dipendenze due coloni e i coloni complessivamente risulteranno 7). Così tutte le donne attendevano alla rocca, al telaio e ai lavori campestri ma nessuna faceva un lavoro particolare. Quindi pressoché tutti i capifamiglia vengono qualificati come "possidenti agricoltori", ma quasi sempre vengono connotati anche da una (o più) professioni aggiuntive di tipo artigianale che, evidentemente, risultano solo occasionali ed integrative. In proposito la professione più frequente, anzi frequentissima, risulta quella di "pettinaro" e in proposito il Magnanelli annota che i "pettini" (per tessere) sono fatti di canne e spago e che quando ne hanno fatti circa 80 se li caricano sulle spalle e vanno a venderli nello Stato pontificio, nel Modenese e in Toscana e il poco che ricavano lo portano tutto a casa perché in realtà fuori vivono di elemosina e anche al ritorno vivono di carità Eppure sono tutti possidenti, e quindi si può immaginare di quale possidenza. Comunque quella dei pettinari non era la sola attività integrativa diffusa: c’erano 21 canestrari, 14 seggiolai, 9 muratori e 1 scalepellino, 9 calzolai, 2 falegnami, 4 segantini, 5 sarti, 2 fabbri, 3 mugnai e compare una certa specializzazione nel settore degli orologiai – armaioli che aveva una lunga e valida tradizione nella montagna vicina (i celebri Acquafresca, i Comelli che avevano dato un espertissimo costruttore di strumenti scientifici per l’Istituto delle Scienze di Bologna e si erano decisamente imborghesiti ai più alti livelli professionali ): così un Butelli è fabbro falegname orologiaio, un Nerattini è armaiolo orologiaio: Vi sono anche 6 canapini (4 della famiglia Donati, 1 Butelli, 1 Fabretti), professione integrativa da almeno tre secoli molto diffusa nell’hinterland porrettano e specificamente nel capugnanese – granaglionese.

Non mancano professioni integrative più particolari: 1 fabbricante di coltelli di legno di castagno, 1 colono fabbricante di testi per castagnacci, 1 pescatore, 1 merciaia di cordelle e spille, 1 vetturale, 2-3 "trafficanti" (di cui in particolare un Zaccanti cinquantaduenne "trafficante in cipolle"e 1 trafficante di ninnoli), 1 pescatore, 1 pastore. Vi sono diversi servi e serve (una in Bologna di 21 anni) e anche diverse situazioni di totale impotenza (una vecchia di 73 anni, una cieca di 47, una vedova "misera abilissima"). Non manca un oste (un Carnesecca, ma sempre come attività integrativa) e c’è un "impiegato nel governo" (Pietro Ciani di 64 anni) e 1 guardiaboschi. C’è anche un chierico con beneficio (don Alessio Lorenzelli di 41 anni) e, nonostante tutto, vi sono 5 studenti (borri Francesco di 14 anni e Borri Agostino di 17, Giuseppe Butelli di 18, Pieraccini Raffaele e Nanni Domenico di 19) e non mancano tra "possidenti agricoltori" e coloni dieversi suonatori: 1 di chitarra, tre di violino tra cui un Soprani settantunenne (possidente agricoltore pettinaro) "da far cascar le gambe". In questo quadro di poche austere sicurezze e di prevalente precarietà e disagio (ma non senza qualche capacità intellettuale e nache tecnica), di sussistenza agricola integrata da qualche elementare manifattura connessa la legno e ad uno smercio ambulante che confina con la mendicità, i Carnesecchi si connotano per la persistenza di tre famiglie (sicuramente nella tradizionale area di Mansovrana) dalla articolazione piuttosto elementare della famiglia nucleare semplice.

Bartolomeo Carnesecca di 51 anni, possidente agricoltore oste e fabbricante di pettini, è sposato con la toscana Maccioni Giuditta di 41 anni, ha 5 figli (Maddalena a. 21, Maria Domenica 19, Maria Anna 18, Giuseppe 16. Giovanni 4, ed ha una anziana convivente (Panighi Maria Doenica , vedova di 89 anni, forse madre o suocera), in tutto 8 bocche e, ovviamente, bisogna ipotizzare un numero rilevante di figli morti infanti.

Luigi Carnesecca, possidente agricoltore pettinaro di 32 anni, vive con la sola moglie Maddalena Borri di 28 anni ("donna di gran cuore", annota il parroco).

Pellegrino Carnesecca, possidente agricoltore pettinaro di 45 anni, è sposato con Romana Mattei di 41 ed ha sei figli (di cui 4 maschi): Santa di 21, Lorenzo di 19 anni, Sabatino di 17, Giacomo di 14, Francesco di 12, Vincenzo di 9. In tutto 8 bocche.

Risultano solo due donne Carnesecchi accasate nella stessa comunità: Lucia, di 59 anni e zoppa, sposata al più giovane Francesco Bettini di 49 anni possidente agricoltore canestraro, senza figli; Maria Domenica di 45 anni sposata a Domenico Nerattini di 43, possidente agricoltore pettinaro, con 3 figli.

Quindi i Carnesecchi di Badi, nel 1847 sono in tutto 18 individui (compreso tre mogli e una madre-suocera) e hanno due loro donne sposate in altre famiglie. Non hanno particolari articolazioni socio – economiche o culturali.

 

 

 

DA NOTARE CHE E' STATO ABBANDONATO IL COGNOME CARNESECCHI PER IL COGNOME CARNESECCA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

riassumendo

 

 

 

 

 

 

Attuali Carnesecchi ( Carnesecca ) di Badi

 

Notizie da Lidia Dalmazzo e Daniele Donati

 

 

 

Riguardo agli attuali CARNESECCA di BADI, non ricordo di averne "incontrati" molti sfogliando i dati più recenti degli archivi, ma andrebbe fatto un controllo. Sicuramente una famiglia CARNESECCA è attualmente proprietaria di parte di CA’ VECCHIA, una casa grande ed articolata in più strutture che dà nome ad una frazioncina alla periferia di MONTE DI BADI, sulla strada per TREPPIO. Essi sono imparentati con i DONATI e parenti alla lontana con mio marito (vedi appunti genealogici). Ho fatto recentemente una genealogia per i DONATI di CA’ VECCHIA ma, riguardo ai CARNESECCA, che erano comunque collaterali, e mi sono così arenata a alla prima metà ‘800, però credo si possa facilmente risalire oltre. Se ben ricordo il Prof. Giacomelli aveva trovato negli estimi settecenteschi (o in altri precedenti?) una CA’ VECCHIA tra i possedimenti dei CARNESECCA, che comunque risiedevano stabilmente a MASSOVRANA e a CA’ DI BADINO, quindi, con un po’ di fortuna, forse, è possibile ricollegarsi.

CA’ VECCHIA ha una particolarità interessante: un architrave di arenaria scolpita sormonta la porta d’ingresso (cerco di allegare la foto). Si tratta di due rosette cordonate tipo quelle "carolinge" dei MAESTRI COMACINI , ma probabilmente risalenti agli ultimi anni del ‘500, e di una croce cristiana, i simboli sono simili ad alcuni datati 1570 di Granaglione, ed altri del Lizzanese, Pianaccio ecc. Vi è inoltre sulla facciata, a destra e un po’ più in alto dell’architrave scolpita, una pietra incisa con la dicitura : 1864 G.C. F.F. (di questa non ho foto, ma posso procurarla).

Normalmente in questi casi G è l’iniziale del nome, C l’iniziale del cognome, probabilmente carnesecca, che risultano essere, con i Donati, gli attuali proprietari . F.F. " Fece Fare" (si usava anche come significato di fece restaurare). Riguardando la genealogia che ho fatto per CA’ VECCHIA (che magari le allego) ci sono molti DONATI dell’epoca che vi vivevano, e ancora ora vi abita una delle 3 famiglie che risiedono al MONTE DI BADI tutto l’anno, ma a nessuno si adattano le iniziali G.C. che invece potrebbero adattarsi al GIUSEPPE CARNESECCA o al GIACOMO CARNESECCA che, forse, come scrive il prof. GIACOMELLI, all’epoca ivi detenevano delle proprietà.

Ho conosciuto la Sig.ra EDDA CARNESECCA di CA’ VECCHIA, ed il marito PARIS DONATI, ma ormai sono deceduti, avevano un solo figlio vivente, GABRIELE, che non vediamo da anni.

EDDA CARNESECCA ha dei fratelli che ancora hanno proprietà a CA’ VECCHIA, ma non vi risiedono, (vedi appunti genealogici), che però non conosco, ma mi è possibile fare indagini. Questi, per quanto ne so io, sono gli ultimi discendenti dei CARNESECCA di BADI.

Riguardo a quelli dei secoli passati posso dire che nel 6-700 i banditi BUTTELLI erano, al di la della loro pessima fama, tra le famiglie socialmente di maggior rilievo nella piccola comunità di BADI. Uomini "di spada", in rapporti con le nobiltà toscane e bolognesi, sceglievano i loro legami matrimoniali con il discernimento delle famiglie in ascesa. I BORRI ed i LORENZELLI e, se pur in minor tono, anche i DONATI, erano, all’epoca, i loro pari grado all’interno di BADI, con sacerdoti e MASSARI (simili ai sindaci attuali) tra i loro esponenti, chiamati con rispetto DOMINUS nelle iscrizioni archivistiche della chiesa, a capo delle due potenti congregazioni religiose del paese, e tumulati all’interno della chiesa in prossimità degli altari alla loro morte. Nel periodo i CARNESECCA come i BUTTELLI si sono di legati a queste famiglie. Questo mi fa pensare che i CARNESECCA, godessero, nei due secoli citati, di una particolare considerazione, nonostante avessero avuto un solo rappresentante sacerdote, e, comunque, disponevano di un discreto censo, rapportato ad epoca e luogo. In definitiva penso che il matrimonio di DOMINICA con FLORIO non sia un evento casuale, seguito poi da altre unioni "pari grado", e che sia quindi valutabile l’ipotesi che la famiglia possa appartenere a qualche ramo dei CARNESECCHI fiorentini .

Mi permetto di sorridere, presento il matrimonio con un sanguinario bandito antenato nostro come qualcosa di socialmente appetibile, se non addirittura lusinghiero. Mi è parso di capire che così andassero le cose all’epoca (e, purtroppo, non solo all’epoca) ed è uno dei fascini degli studi storici e genealogici, almeno per me, il tentare di far luce su complessità e sfaccettature degli umani comportamenti.

In ultimo: gli archivi della chiesa di Badi sono completi, ma non totalmente. Purtroppo, all’inizio ‘900 la perpetua del parroco decise che gli archivi erano ottima carta per attizzare il fuoco della stufa e così se ne sono andati in fumo i battesimi di qualche decennio del ‘600 e dell’ultima parte dell’’800, quanto basta per i miei consistenti vuoti genealogici. Il Comelli parla di archivi risalenti al ’400, se ben ricordo, ma se c’erano non si sa che fine abbiano fatto.

La montagna non è nuova a alle pire archivistiche: a Bargi, vicino a Badi, abitava la famiglia degli ACQUAFRESCA, che forse conosce, erano dei maestri archibugieri del ‘600 -‘700, le loro armi magistralmente cesellate in argento sono ora nei principali musei mondiali. Avevano come tradizione di famiglia lo scrivere un diario, dove ancora ora (per quel che ci è rimasto) possiamo leggere la storia di tutto il territorio, ed avevano un formidabile archivio: i disegni delle loro armi correlate a geniali invenzioni innovative, i ceselli, i rapporti con i clienti nobili italiani e delle principali corti europee, ma, haimè, l’ultimo degli AQUAFRESCA, dopo essersi ridotto in povertà scialacquando il patrimonio familiare, aveva necessità di buona carta per la stufa e ….. si sono salvati solo alcuni diari.

 

 

 

 DON FRANCO DI BARTOLOMEO

 

 

Nell'articolo di Edoardo Penoncini

 

Il giuspatronato nelle chiese di Santa Maria Assunta del Castelluccio e san Prospero di Badi

Vedi

 

Si legge : ……………………Sacerdoti locali a Granaglione si prese a nominarli dal cinquecento con don Franco Carnesecchi ma a Capugnano gia' dal 1469 venne eletto un esponente della famiglia Zanini di Lustrola ,* Pellegrino , dopo che erano stati rettori don Giacomo Nanni frignanese , Vincenzo de Alemania , e il perugino Alessandro Longari . Diversa la situazione a Badi , dove venne eletto uno stagnese ( ma poco dopo la chiesa di San Michele di Stagno fu unita a quella di San Prospero di Badi ) don Bartolomeo di Stagno nel 1495 , per poi riprendere l'usanza dei parroci forestieri soprattutto toscani fino al 1621 , quando il giuspatronato fu ceduto ad Alessandro Bentivogli con obligo di nomina del badese Andrea Borri

 

*

Fanti Mario

La chiesa di San Niccolo' di Granaglione dal XIII al XX secolo .Vita religiosa e sociale in una parocchia dell'Alto Appennino bolognese

In Il mondo di Granaglione . Storia , arte , tradizione , e ambiente. Bologna 1978

 

 

A Granaglione viene nominato parroco Don Franco Carnesecchi che viene considerato dall'autore un parroco locale

E' un parroco concubinario cioe' ha dei figli

 

 Ho saputo qualcosa di piu' parlando con il dr Mario Fanti della Curia di Bologna

 

Don Franco Carnesecchi era di Badi , paese vicino a Granaglione , il 31 luglio 1511 venne nominato parroco di Granaglione , e confermato nell'incarico il 10 settembre 1511.

Era figlio di Bartolomeo che nel 1511 , era gia morto ( quondam ) ; don Franco muore nel 1521

 

 

 

 

 

 

STAGNO

 

 

………………………….Si estinguono nel Seicento la famiglia Carnesecchi, non localizzata,………………………………………

 

 

 

http://www.alpesappenninae.it/index.php

 

Estratto da

L’archivio parrocchiale di San Michele Arcangelo di Stagno (1639-1885)

Di Ivana Giacomelli

 

L’archivio parrocchiale della chiesa di San Michele Arcangelo di Stagno si presenta sufficientemente fornito di documenti e permette di seguire la storia di questa piccola comunità per quasi tre secoli.

Attualmente, dopo la soppressione della parrocchia, i libri sono conservati nell’archivio arcivescovile di Bologna.

La documentazione comprende

4 libri dei battezzati che abbracciano il periodo dal 1639 al 1881,

3 libri dei morti dal 1646 al 1885, 1 libro dei matrimoni dal 1818 al 1889.

Esiste poi una serie di stati d’anime che vanno dal 1692 al 1875, con interruzioni di maggiore o di minor durata.

Come si vede,si tratta di una documentazione abbastanza ricca e con una sua continuità.

La chiesa di San Michele Arcangelo di Stagno da tempo immemorabile dipendeva dalla pieve di

Succida, oggi Borgo Capanne mentre le vicine chiese di Bargi e di Baigno dipendevano dalla pieve

di Guzzano. Fin dal secolo XV la chiesa, insieme all’altra che sorgeva nel territorio di Stagno, cioè

quella di San Giorgio, era stata unita alla chiesa di San Prospero di Badi, a causa delle scarse rendite della parrocchia.

 

Nell’arco del 1500 sappiamo che la chiesa fu addirittura sprovvista di parroco, era quello di Badi

che veniva a celebrarvi la messa una volta alla settimana. Ma questa situazione sembra in seguito

superata e nel Seicento compare sempre un cappellano, certamente scelto dal parroco di Badi. Nei documenti la chiesa viene sempre definita sussidiale di quella di Badi e tale rimarrà fino al 1840, quando fu elevata a parrocchia.

Famiglie e luoghi di residenza nei secoli XVII e XVIII

I libri parrocchiali più antichi rivelano da parte dei parroci o dei cappellani una scrupolosa attenzione nell’indicare tutti gli elementi ritenuti importanti per la cura delle anime. Risentono dello

spirito della chiesa del tempo, che era quello della controriforma, che si preoccupava a che i parroci tenessero in ordine i libri parrocchiali, amministrassero i sacramenti con sollecitudine, insegnassero la dottrina ai ragazzi, distinguessero le persone se da Comunione o no.

Con gli stati d’anime i parroci ci hanno lasciato un quadro completo e dettagliato della popolazione

suddivisa nei vari borghi, del resto questa accuratezza era richiesta in modo specifico, come si comprende dalle istruzioni che compaiono nella pagina iniziale.

Dovevano indicare se la famiglia viveva in casa propria o di altri, i vari componenti del nucleo familiare e l’età di ognuno, se c’erano servi, famulus, ancilla.

Segnalare con una sigla quelli che avevano ricevuto la Cresima, cioè il sacramento della Confermazione2.

Oltre a questo, ogni parroco aggiungeva delle annotazioni che riteneva rilevanti. Ad esempio

quello del 1696 evidenzia gli assenti: ben 38 persone, tutte di sesso maschile, risultano assenti perché impegnate a lavorare in Maremma. In qualche casa ci sono ulteriori preoccupazioni: a proposito di un giovane di San Giorgio, Domenico Parentelli, si afferma che è nelle Maremme come smarito.

Negli atti di battesimo e di morte antecedenti al primo stato d’anime, vengono rammentate famiglie

con cognomi che poi scompariranno nell’arco del Seicento, tanto che mancano nello stato d’anime

del 1692.

Si estinguono nel Seicento la famiglia Carnesecchi, non localizzata, e la famiglia Bardotti, di cui si fa cenno in un solo documento del 1640. Da questa famiglia deriva il toponimo Ca’ dei Bardotti, indicante un casolare, un seccatoio ancora oggi ben individuabile e non lontano dal fiume Limentra.

In seguito, forse proprio per l’estinguersi della famiglia Bardotti, nello stesso luogo si insediò la

famiglia Bertini, che da poco tempo si era trasferita a Stagno da altra parrocchia, visto che un documento del 1668 la qualifica come nunc habitans in praedicta parrochia S. Michaelis de Stagno, pertantolo spostamento appare recente. Altre famiglie estintesi nel Seicento sono quelle dei Manfredini e dei Pedroni, non localizzate.

Prendiamo ora in considerazione il primo stato d’anime, quello del 1692, che ci permette di localizzare

i singoli cognomi nei vari borghi del paese:

San Giorgio: Parentelli 5, Maestrini 3; Ca’ Bardotti: Daldi 1, Bertini 1; Teria: Pawntelli

3, Marchetti 1; Rio: Marchetti 12, Nesi 1; Stagno: Neri 1, Benamati 1, Marchetti 1,

Michelacci 1, Pedretti 1, Nesi 2, Parentelli 1, Donati 1; Stoppie: Daldi 1; Alla Docce: Donati 3; Case Donati: Donati 1, Battaglioli 1, Marchetti 2; Podere: Marchetti 3, Donati 1;

Posadore: Nesi 5, Sabatini 1.

 

 

 

 

 

 

 

 

dell’alta valle del Reno bolognese

e pistoiese", a. XXVIII, 55 (giugno 2002), pp. 42-50.

© Gruppo di studi alta valle del Reno

Distribuito in digitale da Alpes Appenninae - www.alpesappenninae.it]

 

 

 

 

 

DOMINICA DE CARNESECHIS

 

Notizie da Lidia Dalmazzo e Daniele Donati

 

 

Posso, inoltre, darle qualche ragguaglio sui Carnesecca che ho "incontrato" nella ricerca e che mi sembrano avere una qualche rilevanza nella storia del paese.

La più importante è DOMINICA DE CARNESECHIS (non ho date specifiche) figlia di JACOBUS (1562-1644) che sposa il 9/6/1641 FLORIUS DE BUTTELLIS. La cito perché "notevole" è soprattutto il marito: figlio di SFORZIUS (molti sono gli SFORZIUS tra i BUTTELLI maggiorenti, in onore degli SFORZA, ma questa è altra storia….) FLORIUS è universalmente ritenuto il probabile capostipite di un’importante banda di banditi che per quasi 2 secoli hanno agito nell’appennino Tosco-Emiliano. Provenienti da Treppio. dimoravano principalmente a Badi, i figli maschi di FLORIO e DOMINICA sono stati "uomini di spada" di CORNELIO PEPOLI… se la storia le può interessare le invio anche qualche mio appunto su di essa, appunti ricavati in modo particolare dal libro di GIANBATTISTA COMELLI (1840-1916) "Bargi e la Val Limentra" che, tra l’altro, pubblica alcune genealogie piuttosto interessanti.

Riguardo a DOMINICA, dal 1679 almeno, esercitava la professione di "oxtetrix probata"(vedi archivio chiesa di Badi, citata perché battezzava i neonati che aveva aiutato a nascere ed in pericolo di morte). Una professione a cui erano dedite parecchie signore non più giovani, sposate, ed appartenenti alle famiglie più influenti del paese. Forse, più che una professione, un aiuto prestato senza remunerazione.

I figli di FLORIUS e DOMENICA e dei suoi fratelli ed alcuni nipoti vengono chiamati DOMINUS (abb. DOMO e DOMA) nei registri parrocchiali, appellativo riservato, in due secoli, a pochi nel paese.

Alcuni di loro sposeranno delle "DOMINE" e "DOMINUS" appartenenti a famiglie importanti del paese e di altri paesi.

Una discendente diretta di FLORIUS e DOMINICA, MARIA DORALICE BUTTELLI (1753-1802) sarà la nonna paterna del CARDINALE BENEDETTO LORENZELLI (1853-1915) di Badi (vedi lo stralcio della mia genealogia, dove ho disegnato un cerchio).

Religiosità ed efferatezze s’intrecciano nelle storie dei banditi BUTTELLI. Le cito in breve la storia di DON GIULIANO BUTTELLI i cui nonni erano appunto FLORIO e la nostra DOMENICA CARNESECCA. Egli fu nominato Curato della chiesa di Badi tramite pressioni "porta a porta" e piuttosto "pesanti" del nonno FLORIO, esercitate sui Badesi che ne avevano momentaneamente il giuspatronato, e, a nomina avvenuta (anno 1700), FLORIO richiede al nipote il versamento di una "tangente" a remunerazione del favore fatto. Il prelato si rifiuterà di versarla se non, e solo parzialmente, quando il nonno è in punto di morte e in relativa miseria. Per vendicarsi CAMILLO, un altro nipote di FLORIO, ucciderà DON GIULIANO nel 1708. Non sarà Don Giuliano l’unico sacerdote della turbolenta dinastia ad avere storie dai risvolti quantomeno oscuri. Pochi ancora si sono occupati della storia complessa dei Buttelli, io ne sono incuriosita, ma sono decisamente solo agli inizi.

Quasi certamente FLORIO BUTTELLI e la famiglia vivevano al CASALINO, sicuramente vi viveva buona parte dei loro discendenti. E’ un gruppo di case poco distante dalla chiesa di BADI: si dice che prima degli ultimi restauri era ancora visibile la palla del campanile bucherellata da CONSALVO, un nipote di FLORIO che, uscendo di casa alla mattina con lo "schioppo" la usava … come tiro a segno.

CASALINO era un casolare con cortile interno ormai distrutto, ma i Badesi più anziani ancora ricordano una serie di affreschi che lo ornavano, la cui presenza era davvero notevole per un piccolo paese di montagna come Badi. I CARNESECCA all’epoca risiedevano prevalentemente a MASSOVRANA (all’epoca MANS SOVRANA) che è il nucleo storico più antico di BADI, anch’esso non molto lontano dalla chiesa.

 

 

 

 

 

 

 

LA FAMIGLIA DI PELLEGRINO CARNESECCHI DA BADI EMIGRA IN TOSCANA

 

 

 

Troviamo un Pellegrino Carnesecchi che dovrebbe essere il medesimo vicino a Monteriggioni (Siena ) a coltivare un podere molto povero

un lavoratore davvero tenace in lotta con una terra dove non resisteva nessuno

 

 

***

PODERE MOLINUZZO

 

Fin dai documenti di fine Cinquecento il Molinuzzo appare strettamente collegato alla famiglia Barbucci, con Andrea nel 1581, Antonio nel 1592 e Armenio di Antonio, proprietari anche del Castellare, per passare poi intorno al 1650 agli Amidei di Quercegrossa padroni dell’omonimo podere e dell’osteria, che estendono così le loro terre nel territorio di Monteriggioni fino alla Staggia.

Il secolo successivo, nel 1720, avviene la cessione dei beni Amidei alla signora Francesca Ugolini in Arrighi e alla sua morte il Mulinuzzo viene acquistato dalle Monache della Madonna nel 1730 con tutte le sue terre "con alquanti mori".
Le monache immediatamente lo rivendono ai fratelli Pavolini per scudi 850 ma subito appare proprietario il Fondi del Castellare che entra nell’affare. I Fondi lo mantengono un quarantennio per cederlo poi a Lorenzo Franchi e da questi ai Vannini.

Facile per chiunque comprendere l’origine di questo podere il cui nome ci indica che sul posto, o poco distante sul corso della Staggia, doveva sorgere un piccolo fabbricato adibito alla macinazione dei grani della fattoria del Castellare. Oggi, del vecchio mulino non vi sono resti e in quel piano alluvionale domina una grande costruzione poderale su due piani, proprietà della fattoria del Castellare. Sede di una sola famiglia è stato nel passato abitato da miseri coloni che fino all’Ottocento vi dimoravano in piccoli nuclei di 3/5 componenti al massimo poi, a seguito di importanti anche se disordinati ampliamenti eseguiti negli anni, che facilmente si leggono sull’edificio, oltre alla probabile acquisizione di nuove terre coltivate, vi si trovano famiglie numerose di dieci e passa persone.

Nel 1644 il podere viene così descritto: "Il podere chiamato Mulinuzzo posto nello stato di Siena e comune di Quercia Grossa con terre lavorative, arborate e sodive, et anco parte boschive con querce da ingrassare maiali con casa per il padrone e lavoratore, al quale confina il Magnifico Fabio Fondi, il Sig. Amidei, il fiume della Staggia, Stefano Richetti, et il Botro chiamato di Val di Spogna, et in oltre beni di esso ms. Francesco Barbucci cioè del podere della casa overo della Cornacchia, et altri". Un elenco degli antichi coloni che vi hanno abitato è quasi impossibile stilarlo dato il loro alto numero, e che il Molinuzzo sia stato un podere difficile nei secoli precedenti lo dimostra la breve permanenza di tutte le famiglie ad esclusione di Pellegrino Carnesecchi che vi resse per circa 15 anni dal 1830. Famiglie tutte formate da modesti nuclei di 4/6 persone. I più antichi abitatori Enea di Betto e Andrea Muzzini o Mazzini nel primi due decenni del Seicento.

 

DAL SITO

http://www.ilpalio.org/mulinuzzo.html

 

 

***

 

 

PELLEGRINO DOVREBBE ESSER RIENTRATO A BADI GIUSTO IN TEMPO PER FARSI CENSIRE NEL 1847 QUANDO AVEVA 45 ANNI

 

 

 

LA FAMIGLIA DI GIACOMO DI PELLEGRINO CARNESECCHI EMIGRA IN PORCARI NEL 1870

 

 

 

 

 

 

ANNO 1856 UN LORENZO CARNESECCA DI BADI ASSASSINATO IN VIAGGIO

 

 

La presenza dei Carnesecchi a Badi nel 1856 e' anche attestata da questo episodio :

L'uccisione per rapina di Lorenzo Carnesecca di Badi , provincia bolognese , per mano del compagno di viaggio Giuseppe Fabri sempre di Badi

 

 

 

 

 

 

 

il governo pontificio e lo stato romano documenti preceduti da una ... - Pagina 256

di del governo delle romagne

... ni che si trovava egli nell' estremo grado di indigenza, e che nell' associarsi
col Carnesecca neppure aveva il denaro occorrente per mangiare, ...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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