Dai Taldi da Cortona ai Vasari di Arezzo

 

Nel corso dei tempi la circolazione delle maestranze costituisce un fenomeno attraverso cui si verifica la diffusione delle tecniche e del gusto anche nel settore di produzione fittile. Dalla Valdichiana giungono in Arezzo vari artigiani tra cui Giorgio di Lazzaro Taldi da Cortona che in questa città esercitò l’arte di vasaio in una casa con fornace di sua proprietà posta in contrada da Berardi a Perini (attuale via Mazzini). A metà del Cinquecento Giorgio Vasari, in relazione all’attività del nonno che si era cimentato nello studio degli antichi vasi aretini, ricorda che questi ritrovò i modi del colore rosso e nero de’ vasi di terra che insino al tempo del re Porsenna i vecchi aretini lavorarono. Et egli che industriosa persona era, fece vasi grandi al torno d’altezza d’un braccio e mezzo, i quali in casa sua si veggono ancora. Dicono che, cercando egli di vasi in un luogo, dove pensava che gl’antichi avessero lavorato, trovò in un campo di terra al Ponte alla Calciarella, luogo così chiamato, sotto terra tre braccia, tre archi delle fornaci antiche, et intorno a essi di quella mistura e molti vasi rotti; degl’interi quattro […] (G. Vasari 1558, II, pp. 183-184).

A causa della sua attività Giorgio fu chiamato Vasari, perdendo l’originario casato Taldi. Giorgio (†1507) ebbe molti figli tra i quali solo Lazzaro (†1529) esercitò l’attività paterna, continuata fino alla terza generazione dal nipote Bartolomeo. Un bastardello di annotazioni e di ricordi di famiglia, che accomuna le tre generazioni di questa famiglia di vasai, comincia con le prime registrazioni fatte da Giorgio di Lazzaro il 29 dicembre 1461; ma solo dal 1471 egli si qualifica come Giorgio di Lazaro vasaro ed è probabile che a partire da questo periodo il cognome Vasari subentra al precedente. Le scritture continuano dall’anno 1506 per mano del figlio Lazzaro. Infine, dal 1530, l’ultimo erede artigianale di questa famiglia aretina, Bartolomeo di Lazzaro, conclude le registrazioni sul manoscritto con le proprie annotazioni (Carte Vasari I-XXXVI, c. 4, 19 novembre 1971, Archivio Vasariano, Arezzo, Museo di Casa Vasari).

Un registro del Notarile antecosimiano dell’Archivio di Stato di Firenze contiene un atto rogato il 13 dicembre 1495 in cui compare Georgio Nenci vasario civibus aretinis testibus (N. Baldini 2005, p. 320). Si tratta di un povero artefice morto nel 1499 che campava la vita facendo girare il tornio, fabbricando vasellami e adoperando il pennello. Negli obituari della Fraternita dei Laici il 24 luglio 1527 è registrato Antonio di Giorgio vasaio sepolto in vescovado, mentre il 31 agosto dello stesso anno è documentato un secondo Antonio di Giorgio Vasaio sepolto nella Pieve. Si tratta di un caso di omonimia; difatti nello stesso periodo viveva e lavorava ad Arezzo un secondo Antonio figlio di Georgio Nenci vasario, diverso da quell’Antonio di Giorgio Vasari, padre dell’architetto, pittore e biografo, che svolgeva l’arte del treccolo o mercivendolo.

Nell’autobiografia di Giorgio Vasari,

ill. 1. Giorgio Vasari, autoritratto.

 

contenuta all’interno delle sue Vite, pietra miliare della storiografia artistica, l’illustre aretino ricorda di aver acquistato una casa principiata in Arezzo, con un sito da fare orti bellissimi nel borgo di San Vito, nella migliore aria della città (G. Vasari 1558, IV, p. 708): posta nella suddetta contrada (oggi via XX Settembre), fu comprata per 700 fiorini d’oro, come attesta la quietanza della rata del 7 settembre 1541.

Il rapporto di amore ed identificazione di Giorgio Vasari con la propria casa aretina emerge da una lettera inviata nel 1553 a Bernardo Minerbetti, vescovo di Arezzo in Firenze, in cui afferma: I sassi et i mattoni di casa mia si rassodano insieme nel sentire ch’io torno; et le casse et i granai […] più vuoti che pieni, pigliano ardire, sapendo, che torna colui, che gli tien’colmi et pieni del desiderio loro (N. Lepri; A. Palesati 2003, p. 17).

Nel corso del Cinquecento Vasari acquisisce, per sé e per i suoi familiari, ingenti quantità di beni fondiari individuabili in una vasta area tutt’attorno alla sua città d’origine, Arezzo, a cui continuano ad appartenere le radici e la storia del casato. Essa rimane per Vasari, per attenersi al confronto con le bibliche esperienze di Abramo, da cui egli sembra condizionato, una sorta di radice mesopotamica e di terra promessa insieme, alla quale sono finalizzate opere, fatiche, eccessi e rinunce. Altre proprietà verranno ad accorciare le distanze tra Arezzo e la città granducale, Firenze, luogo del combattimento e della gloria, del ripiegamento al potere mediceo e della massima gratificazione professionale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 ill. 2. Giorgio Vasari e aiuti, Allegoria della città di Arezzo, Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento, 1561 ca. (da U. Muccini 1990). Così Vasari descrive al principe Cosimo I De Medici il quadro che riguarda la sua città natale: […] quello è Arezzo con il fiume del Castro che gli passa per mezzo, ed entra nella Chiana che gli è accanto; da una parte, come la vede, li ho fatto Marte armato, che tiene l’insegna di quella Città, la quale è un cavallo nero sfrenato, per essere Città armigera, e nello scudo, dove è la croce d’oro in campo rosso, è l’arme del popolo di quella Città; da quest’altra parte ci ho fatto Cerere con di molte spighe in mano, e con una falce da segale, mostrando l’abbondanza di quel paese. […] A tutte le Città ci ho fatto un putto con un pastorale in mano, per distinguerle dalle terre: ma a questa ci ho fatto un pastorale, e una spada, denotando che il vescovo Guido da Pietramala governò la Città e così nello spirituale, come nel temporale (G. Vasari 1819)

 

I possedimenti di Vasari si aggiungono l’un l’altro a coprire buona parte della distanza tra Valdichiana e Valdarno Superiore. Le modalità con cui realizza questo ambizioso progetto appaiono accuratamente studiate dall’aretino, così come nel tempo le strategie di acquisto e l’estensione dei vari appezzamenti, mentre l’amore per la terra e il piacere del rapporto personale e immediato con essa, da realizzazione compiaciuta di uno stereotipato beatus ille oraziano e dallo struggente desiderio di un proprio orto da filosofare, diviene, prima cruccio e compassione per i campi, che l’artista immagina lo vadano cercando e gli implorino presenza quand’egli è lontano; e poi, quasi un’ossessione che lo obbliga a riservarsi ogni pur minima decisione relativa ai possedimenti e a determinarne con atto notarile le colture e finanche il numero e il sesso delle bestie da allevare (N. Lepri; A. Palesati 2003, pp. 9-10).

Queste brevi note (pubblicate dallo scrivente nel "Bollettino Brigata Aretina Amici dei Monumenti", a. XL (2006), n. 83) nascono dall’intento, non la pretesa, di riuscire a delineare con maggiore dovizia di particolari l’origine del casato Vasari di Arezzo; un’illustre famiglia che ha il suo massimo esponente nel poliedrico pittore, architetto e biografo Giorgio Vasari (1511-1574).

 

 

 

 

 

 

 

bibliografia essenziale

1558

G. Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori, scultori e architetti, Firenze presso i Giunti, 1558, IV voll., (a cura di L. e C. Ragghianti), Milano, 1978.

1819

G. Vasari, Spiegazione delle pitture del gran salone del Palazzo Vecchio di Firenze fatta in forma di dialogo da Giorgio Vasari pittore e architetto, Firenze, 1819.

1990

U. Muccini, Il salone dei cinquecento in Palazzo Vecchio, Sesto Fiorentino, 1990.

2003

N. Lepri; A. Palesati, Fuori dalla corte. Documenti per la biografia vasariana, Montepulciano, 2003.

2004

N. Baldini, La bottega di Bartolomeo della Gatta. Domenico Pecori e l’arte in terra d’Arezzo tra Quattro e Cinquecento, Firenze, 2004.

L. 2006

V. Minocchi, Appunti sull’arte ceramica ad Arezzo: il Cinquecento, "CeramicAntica", a. XVI (2006), n. 9, pp. 42-57.

 

 

 

 

 

 

 

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