Quanti Giotto di Bondone?

 

 

 Ricerca del dr. Paolo Piccardi

 

 

 

Chiunque si trovi ad esaminare le imbreviature di Ser Giovanni di Buoninsegna da Rignano (ASF Notarile Antecosimiano 9491), si sorprenderà nel notare i due atti allegati.

 

Il primo, alla carta 73r., porta la data del 30 Maggio 1306, viene rogato a Firenze, in borgo San Lorenzo e vede Aringhus Giroldi di Mediolano, ma abitante a Siena, impegnarsi a rimborsare un prestito a "Giocto qd. Bondonis de Senis".

 

Il secondo, alla carta 73v., è del 2 Giugno 1306 e vede "Giotto fil. qdam Bondonis de Senis" in qualità di teste all’atto del pagamento, da parte dei cittadini di Siena, della quota da loro dovuta a Moruvello dei marchesi di Malaspina, al tempo capitano generale delle città di Firenze, Siena, Lucca, Prato e San Gimignano.

 

 

La particolarità dei due documenti sta nel fatto che ambedue riportano chiaramente: Giotto filium quondam Bondone de Siena

 

 

 

In un primo momento è anche possibile ipotizzare un "lapsus calami" del notaio, che poteva essere rimasto impressionato dalla visione della rivoluzionaria pittura di Giotto, che, proprio nel 1306, era rientrato a Firenze dopo aver terminato la decorazione della Cappella degli Scrovegni a Padova ed aveva dipinto il Crocifisso di San Felice in Piazza e, probabilmente, anche la Madonna di Ognissanti e il Crocifisso di Santa Maria Novella. Ma è improbabile un errore simile in due documenti distinti a giorni di distanza.

 

Dobbiamo quindi convincerci che esisteva un Giotto figlio di Bondone anche a Siena, anche se non sentivamo il bisogno di un terzo intruso, dato che già avevamo la disputa fra un Giotto nato a Firenze e un altro nato nel Mugello, che scoppiò più violentemente nel 1882, quando Giosuè Carducci impose l’erezione di un monumento a Giotto nella piazza di Vicchio, suscitando l’opposizione di Jodoco del Badia che ne sosteneva l’origine fiorentina. Più recentemente si sono aggiunti i dubbi di Federico Zeri sulla fiorentinità del pittore e, più che altro, sul suo apprendistato compiuto presso Cimabue.

 

Per cercare di capire quale dei tre sia il Giotto di Bondone pittore, ripercorriamone le vicende, iniziando dalle leggende legate alla sua nascita e al suo apprendistato con l’esaminare i documenti certi giunti fino a noi, separando i fatti documentati dalle fantasie, compresa quella che narra del pastorello che fu notato da Cimabue mentre disegnava su di una pietra nelle campagne del Mugello e cercando di capire come è nata.

 

 

Le leggende sulla nascita e i primi anni di Giotto di Bondone

 

La data di nascita di Giotto non è documentata, quindi può essere solo desunta basandosi sui racconti dei contemporanei e sulla datazione delle sue opere. Giovanni Villani, nelle sue "Istorie fiorentine", scrisse che Giotto morì l’ 8 Gennaio 1336 (ab incarnazione, quindi 1337 secondo l’uso moderno).

 

Dopo di lui, Antonio Pucci, un fonditore di campane, ma più che altro un popolare poeta, pose in versi la storia di Firenze, ispirandosi al Villani e, giunto alla data della morte di Giotto, aggiunse "all’ età di 70 anni".

 

Giovanni Villani era nato nel 1280 e il Pucci nel 1310, pertanto ambedue avevano avuto la possibilità di vedere Giotto di persona e si può pensare che Antonio Pucci si sia basato più sulle caratteristiche somatiche del pittore che non sull’ età reale, della quale all’ epoca si perdeva presto il computo.

 

Se prendiamo per vero quanto asserito dal Pucci, Giotto sarebbe nato nel 1267, ma i critici d’arte propendono per una datazione più tarda.

 

Agli inizi del 1400, uno studioso di Dante, di cui non sappiamo il nome e che pertanto viene denominato "L’Anonimo Commentatore di Dante", scrisse i suoi commenti a margine di un manoscritto della Divina Commedia. Giunto al Canto XI del Purgatorio, alla terzina:

 

Credette Cimabue nella pittura

tener lo campo, e or ha Giotto il grido,

Si' che la fama di colui e' scura.

 

Così postillò:

 

Giotto similmente fu dipintore, et maestro grande in quella arte, tanto che, non solamente in Firenze d’onde era nato, ma per tutta Italia corse il nome suo. Et dicesi che’l padre di Giotto l’avea posto all’arte della lana, et ogni volta ch’egli n’andava a bottega si fermava et ponea alla bottega di Cimabue. Il padre domandò il lanajuolo con cui avea posto Giotto com’egli fosse; risposegli, egli è gran tempo ch’egli non c’era stato: trovò ultimamente ch’elli si rimaneva co’ dipintori, dove la natura sua il tirava, ond’egli, per consiglio di Cimabue, illevò dall’ arte della lana, et poselo a dipingniere con Cimabue

 

Schwarz ha minuziosamente commentato questa annotazione e ha dimostrato non solo che mai gli studiosi di Dante anteriori all’ Anonimo avevano scritto che Cimabue fosse stato il maestro di Giotto, ma che in realtà, prendendo a pretesto il fatto che Giotto avesse superato Cimabue, Dante intendeva sottolineare come nelle arti il progresso fosse continuo e costante, che i discepoli mettevano a frutto gli insegnamenti dei maestri per superarli e che, pertanto, vana era la superbia di una maestro, il quale doveva sapere che il suo livello sarebbe stato inevitabilmente superato da uno o più discepoli. Non a caso i versi vengono pronunciati nel girone dei superbi da un miniatore, Oderisio da Gubbio, autocelebratosi in vita e adesso conscio di essere stato superato. Nell’ ambito della poesia, Dante aggiunge che Guido Cavalcanti aveva superato Guido Guinizelli e che ambedue saranno presto superati da un poeta più eccelso. Forse alludeva a se stesso, ma non lo scrisse.

 

Per Dante, che Cimabue fosse o meno il diretto maestro di Giotto aveva poca importanza, mentre importava il fatto che lo avesse preceduto temporalmente e che l’allievo avesse superato il maestro. D’altra parte, come vedremo in seguito, a Firenze erano numerosi i pittori, uno dei quali addirittura amico di famiglia di Giotto e frequenti sono i contratti di apprendistato di quell’ epoca, tuttora conservati presso l’archivio di Stato di Firenze..

 

Il successivo racconto sulle origini di Giotto fu opera di Lorenzo Ghiberti, il quale nei suoi "Commentarii", scritti verso la metà del XV secolo, per la prima volta si inventò di sana pianta quella storia dell’ infanzia di Giotto, che viene descritto come figlio di un pover’uomo, di nome Bondone, che viveva a Vespignano nel Mugello, dove certamente non aveva potuto ricevere alcuna istruzione. Al contrario, doveva pascolare le pecore e, nel frattempo, si distraeva disegnandole su una lastra di pietra. Passò di lì Cimabue e, notando il disegno del ragazzo, andò a parlare col padre. Rendendosi conto che Bondone non poteva offrire al figlio altro che una vita miserabile, lo prese con sé.

 

In questo racconto Lorenzo Ghiberti enfatizzò il fatto che dal giovane pastorello sarebbe sbocciato l’eminente artista, non perché Cimabue avesse potuto insegnargli grandi cose, ma perché il ragazzo possedeva già tutto in sé, in quanto il genio trova sempre la maniera di affermarsi.

 

Per scoprire quali furono i motivi reconditi che spinsero Lorenzo Ghiberti ad inventarsi questa fantasiosa origine di Giotto, dobbiamo scavare nel lato oscuro della sua personalità: il Ghiberti, celebrato orafo e scultore, vincitore del concorso per le porte d’oro del Battistero sbaragliando concorrenti quali Brunelleschi, Donatello e Della Robbia, si vergognava terribilmente delle sue umili origini, che tenne sempre nascoste, fino a quando fu costretto a rivelare, davanti all’ autorità giudiziaria, che suo nonno era un umile contadino della Val di Sieve. Neppure in tale occasione ne pronunciò il nome. Accomunando le sue alle umili origini di Giotto, Ghiberti traeva conforto nella sua convinzione che il genio trovava il modo di manifestarsi in qualsiasi contesto sociale e culturale fosse vissuto.

 

Dopo un altro secolo Vasari pubblicò le sue celebri "Vite" e, a così grande distanza di tempo dal periodo in cui visse Giotto, non poteva far altro che riprendere pedissequamente quanto già scritto dal Ghiberti. Ma che anche il Vasari avesse dei dubbi sulla veridicità del racconto del Ghiberti è dimostrato dal fatto che, mentre nella prima stesura del 1550 la biografia di Giotto inizia con l’esaltazione di Bondone come bravissimo contadino e addirittura artefice dei suoi ferri del mestiere, nell’ edizione del 1568, detta Giuntina, questa parte viene completamente eliminata.

 

Sgombrato così il campo dalle storie di fantasia ed affidandoci esclusivamente sui documenti pervenuti fino a noi, veniamo al tema centrale del problema: dove è nato Giotto? Poiché il pargolo aveva ben poche possibilità di influenzare la scelta del luogo dove nascere, sarà più opportuno occuparci del padre prendendo in esame i documenti relativi ai vari Bondone vissuti a quel tempo.

 

 

 

 

I tre Bondone

 

Contrariamente a quanto potremmo essere portati a credere, il nome Bondone non era inusuale. Ai primi del XIV secolo la Chiesa non era ancora riuscita, come avverrà poco dopo, a convincere i genitori ad assegnare ai figli nomi di Santi, alla cui cristiana condotta il fanciullo avrebbe potuto attingere esempio. I nomi imposti ai figli erano quanto mai fantasiosi Per fare solo pochi esempi, un notaio cui era stato dato nome Frutto pensò bene di chiamare il figlio Buonfrutto, troviamo un altro notaio di nome Formaggio, una signora chiamata Belcolore e potremmo continuare a lungo.

 

Di Bondone ce n’erano almeno tre a quell’ epoca: uno nato nel Mugello, uno a Firenze e il terzo, menzionato nei due documenti allegati, che visse nel senese.

 

 

Il Bondone del Mugello

 

A Vespignano del Mugello è vissuto effettivamente un Bondone, di cui troviamo traccia solo in un manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze (MS II, 218: F. L. Del Migliore Riflessioni e aggiunte alle Vite de’ pittori di Giorgio Vasari Aretino, carta 53) nel quale si parla di una scrittura del 1220 nella quale viene menzionato il "vir preclarus" Bondone di Francesco di Vespignano nel Mugello. Non viene fornito alcun elemento che consenta di rintracciare tale documento, che nessuno poi ha effettivamente trovato. A parte la mancanza del documento originale, è evidente per motivi anagrafici che il Bondone di Vespignano attivo nel 1220 non poteva essere il padre del pittore, nato nel 1267 o anche dopo. Di lui non sappiamo neppure se ebbe figli e con quali nomi, quindi possiamo ragionevolmente escluderlo dal novero dei padri del pittore.

 

 

Il Bondone di Firenze

 

Sul Bondone di Firenze disponiamo di numerosi documenti, che ce lo descrivono come un fabbro abitante nel quartiere di Santa Maria Novella. Viene menzionato per la prima volta nel Libro di Montaperti, che contiene un lungo elenco di uomini che parteciparono alla disastrosa battaglia: "Bondone di Angiolino e suo fratello Rugerotto abitanti nel quartiere fiorentino di San Pancrazio, nel popolo di Santa Maria Novella".

 

Nel 1295 Martino, figlio di Bondone e come lui fabbro, decide di sposare una ragazza, di nome Ricca, figlia di Lore o Loris Manetti, rigattiere. Il padre muore e gli esecutori testamentari, e tutori dei minori si rivolgono al notaio Matteo Beliotti di Fiesole, ma abitante in Por Santa Maria, per fare una ricognizione dell’ asse testamentario e per determinare la dote di Ricca:

 

ASF Notarile antecosimiano 13363 carta 44r: 20 Maggio 1295. D.a Lapa, vedova del Manetti e tutrice testamentaria unitamente a Manetto Manetti, fratello del defunto, e a Lapo Cambi, rigattiere, compilano un minuzioso inventario dei beni, comprendenti due case nel popolo di Santa Maria Novella, nel luogo detto A Trebbio e decidono di assegnare una dote di 300 lire di fiorini piccioli a "Martino Bondonis faber et Bondonem eius pater".

 

Alla carta 48r della stessa filza troviamo il contratto di matrimonio:

7 Giugno 1295 Atto in Firenze nella chiesa di S. Pier Bonconsiglio (fra via Strozzi e via Pellicceria. Venne distrutta in occasione dello sventramento del centro di Firenze). Testi Ugone Cambi speziario, Caruccio Beliotti, probabilmente il figlio ed apprendista del notaio, Lapo Dini rigattiere e Vanni Ducci, tutti del popolo di Santa Maria Novella

 

Martinus faber fil. Bondoni fabri ppli S. Marie Novelle ipsius sui patris l.ie et consensu et ipse idem Bondone faber pater eius et filius q.dam Angiolini simil. et una cum eo Ambo ipsi simil et una fuerer in veritate confessi et contenti et non s.pe.f. solutionis se recepisse et habuisse a Manetto Manetti et Lapo Cambi tutor. testamentarius Benedetti pupilli fil. q.d Loris Manetti rigatt. dante et solvente et de consensu et voluntate d.ne Lape matres dicti pupilli contr. eos pro dicto pupillo in dotem et pro dote d.ne Ricche filie q.d dicti Loris Manetti ux. future dicti martini lib. 300 bonore den. f.

 

Possiamo notare che sia Bondone che il figlio Martino sono definiti "fabbri" ed abitanti nel popolo di Santa Maria Novella. Come nel Libro di Montaperti, Bondone viene indicato come figlio di Angiolino ed alcuni ritengono che Angiolino fosse il nome originario del pittore, forse figlio primogenito, deformato poi in Angiolotto e, quindi, Giotto. Si può notare anche che fra i testimoni di nozze appare Vanni Ducci, un pittore amico di famiglia, che potrebbe essere stato il primo vero maestro di Giotto.

 

Da un altro contratto rogato dallo stesso Matteo di Beliotto possiamo arguire che nel 1301 Giotto aveva già sposato Ciuta e possedeva una propria abitazione, situata sempre nel quartiere di S. Maria Novella, nel luogo detto "Porta Panzani" dove adesso via Panzani incrocia la via dei Banchi, che fu aperta nel 1500 proprio per collegare la porta Panzani con piazza Santa Maria Novella:

 

25 Maggio 1301 Ricco, figlio del Maestro Mugnai e Tura e Giovanni, fratelli e figli di Torello, tutti del popolo di S. Maria Novella, vendono una casa con corte e orto situata nel popolo di Santa Maria Novella in "Burgo de foris a porta Panzani". Confini: 1 via 2. Mercatuccio vinattiere, 3 Giotto di Bondone con un muro fino ad una finestra rimurata di mattoni 4. Ticcio ferraiolo. Compratore Ser Latino Latini notaio.

Notarile antecosimiano 13364 Matteo Beliotti di Fiesole C. 30v

 

Nel 1305, a fini fiscali, vennero descritte le case e le botteghe appigionate, al fine di imporre la tassa sulle pigioni. Il documento è conservato presso l’ Archivio di Stato di Firenze sotto il nome "Estimo I". A carta 43 si legge: "Item aliam domum Giotti Bondonis dipintoris cui a 1. via 2. domine Casine. In qua moratus Bartolus coregiarius de qua solvit libras sex"

 

E’ il primo documento nel quale appare Giotto in prima persona e gli viene attribuita la professione di pittore. Possiamo solo pensare che, dovendosi recare per qualche anno a Padova per affrescare la Cappella degli Scrovegni, Giotto avesse ritenuto opportuno portare con sé la famiglia ed appigionare la casa per il periodo della sua assenza.

 

Nello stesso documento appare il padre Bondone, ancora vivente e proprietario di un’altra casa, confinante con una abitazione appigionata: "Item aliam domum domine Guide uxoris quondam Guardi posite ibidem cui a 1. via 2. Bondonis fabri"

 

Questo documento è importante perché qualifica Giotto pittore e lo unisce al Bondone fabbro, ambedue abitanti nel quartiere di Santa Maria Novella, dissipando qualsiasi ipotesi di omonimia.

 

Se il Giotto che appare nel seguente documento fosse il pittore, "D.na Lapa uxor Giotto" sarebbe stata la sua prima moglie:

 

 

 

Si tratta di una misconosciuta registrazione contenuta nel necrologio di Santa Reparata, che riporta il nome dei morti raggruppati per data. Il frammento riprodotto riporta i nomi dei morti il 28 Marzo di qualsiasi anno. Poiché due righe sotto c’è la data 1310, si presume che Lapa morì prima del 1309.

 

Kuehn, nel suo "Emancipation in Late Medieval Florence, New Brunswick 1982", afferma che in un documento del 23 Dicembre 1311 Giotto viene descritto come emancipato dal padre Bondone, ancora vivente, mentre sarà definito come "del fu Bondone" solo nel 1313.

 

Nel 1313 Bondone era morto, Giotto aveva già dipinto in mezza Italia e, si presume, accumulato una discreta fortuna. A quei tempi i cittadini fiorentini solitamente investivano i loro proventi nell’acquisto di terreni nel contado vicino, in modo da poterne controllare agevolmente la conduzione da parte dei mezzadri.

 

Forse per le frequenti assenze (molti documenti provano che doveva rilasciare procure per sbrigare i suoi affari), o forse perché non era consuetudine di famiglia, Giotto investiva i suoi guadagni facendo prestiti (è del 1314 una sua azione legale per il recupero di un prestito) e, almeno in un caso, nel 1312, affittando un telaio per tessere a Bartolo di Rinuccio del popolo di Santa Trinita. Dovremo arrivare al 1315, quando Giotto aveva più di 40 anni, per trovare un documento nel quale si parla di terre in Mugello di proprietà di Giotto:

 

2 Ottobre 1315 Giotto in lite con Ser Grimaldo da Pesciola per un pezzo grande di terra e tre piu' piccoli a Camporotondo

ASF Notarile antecosimiano 8048 Ser Francesco di Pagno da Vespignano

 

Due documenti, uno del 1318 e l’altro del 1320, vedono Giotto a Vespignano, ma non si tratta di un contratto riguardante beni fondiari, bensì, ancora la volta, la riscossione delle rate di un prestito. Anche in questi documenti Giotto viene indicato come pittore, abitante nel popolo di Santa Maria Novella e figlio di Bondone "fabbro", dissipando quindi definitivamente qualsiasi dubbio residuo.

 

25 Aprile 1318

Millesimo trecentesimo decesimo octavo Indictione prima

(A margine) Cante de Cerreto de fine

Item die predicta. Actum in Burgo Vespingnani, presentibus testibus Lotto Vani dicti loci Iacomino Menatante dicti loci ad hec vocatis et rogatis.

Giottus quondam Bondonis fabris populi sancte marie novelle fecit finem et refutationem et pactum de non ulterius aliquid petendo Cante quondam Magini de Cerreto et eius heredibus de omni eo et tota ea que dicere vel petere posset cum scriptura vel sine scriptura publica vel non publica usque in hodiernam diem quam finem etiam omnibus supra scriptis promisit dictus Giottus eidem Canti semper habere firmam et ratam dictam finem et contra non facere sub pena dupli unde lis incentii et in super dupli pretii ita quod prefatus de omnibus et expensis litis tenetur cum obligatione omnium suorum bonorum presentium et futurorum et pro qua vera fine fiut confessus se habentem a dicto Cante libras vigintiquinque florenorum parvorum et contra renuntians exceptioni non facte finis et nec habuit pro guarantigia et caetera.

ASF NA 7871, Francesco di Buoninsegna di Vespigano, c. 22v

 

03 Febbraio 1320

Millesimo trecentesimo decesimo nono Indictione secunda

(a margine) Pace Bettini de fine de XV

Item die tertio mensis februarii. Actum in domo mei Franchi notarii iamdicti presentibus testibus Lozzo quondam Ser Bindi dicti loci et Cante filio Nutini dicti loci ad hec vocatis et rogatis professus Giotti filius quondam Bondonis fabri populi sancte marie novelle de florentia fecit finem et refutationem et pactum de non uletrius aliquid petendo Paci quondam Bettini de Colle et eius heredibus et bona de quondam debito quindecim florenorum auri quod Cinus quondam Andree de Colle principalis Bettinum et Pace fideiussores pro eo promiserunt dicto Giotto ut plenius continetur scriptura publica facta manibus mei notarii iamdicti ver altgerius notarii florentini quam finem etiam omnibus super suprascriptis promisit eidem et contra non facere set observare et tenere pena dupli unde lis incentii et insuper dupli pretii ita quod prefatus de omnibus et expensis litis tenetur cum obligatione omnium suorum bonorum presentium et futurorum et pro qua fine et omnibus superscriptis fuit confessus dictus Giottus se a dicto Paci recepisse quindecim florenos parvos auri de quibus.

ASF NA 7871, Francesco di Buoninsegna di Vespigano, c. 38r

 

In allegato ho ordinato cronologicamente i documenti fin qui rinvenuti riguardanti Giotto e la sua famiglia, dalla quale si potrà notare che i possedimenti in Mugello compaiono solo quando Giotto aveva raggiuntò una certa età, onori e ricchezze.

 

Il Bondone di Siena

 

Riprendiamo i due documenti del 1306 allegati dai quali è iniziato questo racconto.

Se il Giotto citato nei due documenti fosse il pittore, l’attribuzione della cittadinanza senese sarebbe sorprendente e potrebbe far scorrere fiumi di inchiostro. Pare che qualche studioso sia caduto nel tranello, anche perché indotto nell’ errore da colleghi burloni, mentre sembra assodato che si tratta di un puro caso di omonimia, del quale scrisse in un un breve saggio Nicola Ottokar pubblicato in "Studi comunali e fiorentini" (Firenze, La Nuova Italia 1948 pag 139-141),

 

Nicola Ottokar scrisse di essersi imbattuto in una petizione che alcuni proprietari senesi di mulini situati "confinibus comitatus Florentie in flumine Arbie" presentarono ai Priori del Comune di firenze il 10 Ottobre 1326 (ASFI Provvisioni 23 c. 15).

 

Tali proprietari erano stati tassati da una "Gabella novitur facta super mulitura".

 

Tramite tale petizione, i cittadini senesi protestavano contro questa tassa che ritenevano applicabile solo ai fiorentini e non a loro, che macinavano esclusivamente grano e biade di cittadini senesi. Chiedevano pertanto di essere esonerati in perpetuo dal pagamento di tale tassa.

 

I mulini in questione appartenevano in parte a Spinello de Cerretanis ed i suoi consorti, cittadini senesi e in parte a un certo Ciampolus domini Cerretani de Cerretanis e a Franciscus Cionis Magalotti.

 

Fra gli "Ambaxiatores Communis Senarum" presentatori di tale petizione figura "Giottus Bondonis".

 

Sorpreso dall’ attribuzione a Giotto di Bondone della cittadinanza senese, Ottokar chiese a Mario Salmi di pubblicare un articolo sulla Rivista d’Arte ma, prima della stesura dell’ articolo, venne avvisato che già nel 1897 il Davidsohn aveva rinvenuto i due atti notarili del 1306 rogati da Ser Giovanni di Buoninsegna e che aveva liquidato il senese come un puro omonimo.

 

Così raffreddati i suoi entusiasmi dall’ autorevolezza del Davidsohn, Ottokar non approfondisce la cosa e termina il breve articolo scherzando sulla scampata brutta figura.

 

In realtà il Davidsohn, aveva pubblicato nel "Repertorium fur Kunstwissenschaft XX 1897 pag. 374-377" un breve saggio intitolato "Die Heimat Giottos", mai tradotto in italiano, nel quale commentava il rinvenimento da parte di Jodoco del Badia di un documento del 7 Giugno 1295 in cui viene nominato "Martinus faber fil. Bondonis faber populi S.e Marie Novelle" e suo padre "Bondone faber f. q. Angiolini". Da "Angiolini" faceva derivare Angiolotto e, quindi, Giotto (e non da Ambrogiotto, come altri ritengono). Si tratta dei due documenti che abbiamo già esaminato in occasione del matrimonio di Martino, fratello di Giotto.

 

Per due pagine e mezza delle tre pagine che compongono il suo breve saggio, il Davidsohn si interroga sul luogo di nascita di Giotto, se nella parrocchia di San Pancrazio del popolo di Santa Maria Novella, oppure a Vespignano dove non si può escludere che il fabbro avesse già delle proprietà, accresciute in seguito dagli acquisti del figlio celebrato artista, senza giungere ad alcuna conclusione certa..

 

Solo al termine della sua breve dissertazione sulle origini di Giotto, Davidsohn riferisce dei due atti rogati nel 1306 da Ser Giovanni di Buoninsegna, in merito ai quali scrive solamente poche righe, nelle quali spiega che non bisogna farsi trarre in inganno dalla presenza del nome Bondone quale padre di Giotto.

 

Come si vede, il Davidsohn esclude la cittadinanza senese del Giotto pittore per il solo fatto di aver rinvenuto un documento provante la presenza a Firenze di un Bondone Angelini, da cui Angiolotto e quindi Giotto, ed attribuiva automaticamente a un mero caso di omonimia la presenza a Firenze di un senese, di nome Giotto di Bondone, pur senza aver analogamente rintracciato un Bondone senese.

 

Infatti, nessun’ altra fonte ci illumina sull’ esistenza di un Giotto di Bondone senese.

 

Il Fiumi (Storia economica di San Gimignano, Olschki, 1961, pag. 233) scrive di un Giotto di Ranieri Aliotti (ma anche Giotti) di San Gimignano, che fece il prestatore e il mercante in Lombardia, e questo avvalorerebbe l’ipotesi che sia lui il creditore del milanese Giroldi. Suo figlio Ranieri, sbandito da San Gimignano, fu nominato capitano della guardia de’ fanti del palazzo dei priori di Firenze e seguì le parti del Duca di Atene, dal quale fu creato cavaliere.

 

Il particolare che recide alla base qualsiasi ipotesi che il Giotto senese fosse il pittore è stato notato con prontezza dal dott. Lorenzo Fabbri, curatore dell’ archivio dell’ Opera del Duomo, il quale ha notato che il Giotto senese era già orfano nel 1306 (quondam = del fu), mentre il Giotto pittore viene emancipato dal padre (vivente) nel 1311 e solo nel 1313 verrà indicato come "del fu Bondone".

 

In conclusione, sulla base della documentazione disponibile, possiamo affermare con certezza che Giotto nacque a Firenze, nel quartiere di Santa Maria Novella, dove la presenza di suo padre Bondone, che esercitava il mestiere di un fabbro, è documentata fin da prima della nascita di Giotto e da dove non risulta essersi mosso per tutta la durata della sua vita. Le prime notizie che collegano Giotto al Mugello sono del 1315, quando Giotto aveva già superato i 40 anni ed era un pittore affermato e ben remunerato.

 

Coloro che, anche in tempi recenti, hanno tentato di dimostrare la nascita in Mugello di Giotto, lo hanno fatto sulla base di tradizioni, leggende, riferimenti toponomastici, ma senza consultare i documenti originali, semplicemente copiando quanto scritto in precedenza da altri.

 

Nel corso di questa ricerca non ho scoperto niente di nuovo, ma sono andato a leggere i documenti originali e li ho trascritti in ordine logico e cronologico. Tali documenti erano già noti, ma non tutti pubblicati in un unico saggio, fra quelli che ho potuto leggere.

 

 

Paolo Piccardi

 

 

 

 

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