G U I D O C A P O Q U A D R I (1836-1896)

 

Un empolese nella guerrra di indipendenza del 1859

 

 

 

 

 

Un articolo di Giulia Grazi

 

 

Qualcuno ha avuto l’opportunità di conoscere dei propri bisnonni, come è successo ai miei nipotini . Ai miei figli non è capitato . Io poi, al momento della mia nascita non ho trovato vivente neppure un semplice nonno, tutti già deceduti ; figurarsi i bisnonni . Il mio (bis)Nonno Guido in particolare, nato esattamente 107 anni avanti a me, se n’è dipartito quasi mezzo secolo prima del mio apparire al mondo, un abisso di tempo, e di quali tempi poi, così forieri di novità e cambiamenti !

Malgrado questo Guido Capoquadri, morto nel 1896 e che nemmeno mia madre ha conosciuto, è ancora per me una persona di famiglia ; sarà il suo ritratto nell’ingresso che quotidianamente quanto inconsciamente lo richiama ad ogni reiterato passaggio, le sue molteplici fotografie sparse per la casa, la conoscenza delle sue lettere ai familiari che tanto illuminano sulla personalità di un uomo, i reiterati racconti di mamma sul suo carattere, i suoi eventi, i suoi affetti… un insieme di apporti e suggestioni insomma ha fatto sì che se un bel giorno si decidesse a scambiare quattro chiacchiere con me dalla sua cornice, io sarei pronta a conversarci familiarmente e con tanti argomenti, appropriati e accumunantici, già pronti e spontanei .

Sicuramente altre notizie avrebbero potuto scaturire dalle tante altre sue carte, probabilmente disperse pur dopo che i suoi figli , che per il padre avevano una venerazione, le avevano religiosamente conservate così come ogni altro suo ricordo . Persino le sue pantofole, accuratamente incastonate in un cuscino tuttora esistente, e i suoi tocchi amorevolmente incartati in una scatola, denotano una postuma dedizione e un attaccamento non comune . Per non parlare di un suo paletot , conservato tuttora in un armadio, rivoltato e ridotto a misura di bambino, che fu utilizzato religiosamente per varie generazioni di infanti, me compresa .

Temprato dalla mancanza del padre e dall’indifferenza capricciosa della madre che tanto lo ferì, si fece strada nella vita con maggior successo dei fratelli, penso per doti e meriti personali, e, fra di essi , in particolare fu attaccato a Giuseppe , detto zio Beppe, anch’esso magistrato, forse il più affine dato che avevano per giunta sposato due sorelle , Virginia e Cesira Del Vivo .

Il matrimonio di Guido con nonna Virginia Del Vivo direi che fosse d’amore, per quanto era possibile a quei tempi, dato che al momento del fidanzamento il futuro suocero Sandro, la pecora nera della famiglia Del Vivo, doveva avere già una cattiva fama di scialacquatore, il suo patrimonio era solo un ottavo o un nono di quello del facoltoso ma prolifico padre Amadeo, le sorelle Del Vivo erano ben sei…Non fu un matrimonio di interesse. Nonno Guido aveva gran belle speranze e una solida professione, ma non poi molti beni al sole anche per la morte prematura del babbo Gaspero . Quando si decise, per compiacere la moglie, a riscattare i beni del suocero, villa di Monteboro e qualche podere (fra cui la declassata villa Setticelli a Brusciana e l’antico Palagetto a Sanminiato Basso che fu di proprietà Buonaparte), ipotecati fino all’osso e malconci, dovette cedere ai fratelli la sua parte delle case di Ponte a Elsa per far fronte alle spese, riservandosi per ricordo il nostro tavolone ottagonale e poco più .

Nonno Guido per la sua professione fu praticamente sempre lontano, anche se a volte seguito dalla moglie e da parte dei figli . Nei periodi di sua assenza, dalla corrispondenza fra marito e moglie che mi rimane traspare un rapporto affettuoso, amichevole e amorevole, premuroso e paritetico. Nello spoglio della sua corrispondenza superstite mi ha colpito come la posta viaggiasse (e arrivasse!) da un capo all’altro d’Italia nel giro di un giorno, immediatamente recapitata.

Oltre a scrivere profusamente, il Nostro era un apprezzato conversatore, sia per la vasta cultura che per la piacevolezza nell’esporre . Nei salotti "molto bene" di Firenze fu rimpianto a lungo quando scomparve repentinamente dalla scena. Imponente e impetuoso oratore, aveva un animo molto sensibile e una salute cagionevole che infatti lo portò presto alla morte. Tenerissimo e presente con i figli, come già detto altrove, pare incanutisse in una notte quando, di difterite, a Roma, morì bimbetto il graziosissimo "zio Cesarino", di cui ci resta solo un giocattolo, un piccolo cavallo di legno, tenuto gelosamente celato, un po’ per ricordo e un po’ per paura di postumi contagi…e una foto scolastica di gruppo, da cui in seguito il pittore Salvetti di Colle Val d’Elsa ricavò un pastello. Fu sepolto a Roma.

Zio Tito, cioè il fratello maschio sopravvissuto a Cesarino, ebbe una venerazione smisurata per il padre, il cui studio rimase intatto per decenni (direi quasi un secolo) e ne serbò tutti i ricordi possibili : carteggi, sentenze, minute di processi, faldoni , cause in stampa..

Il suo curriculum di magistrato fu piuttosto movimentato, specie per i suoi tempi in cui gli spostamenti e trasferimenti non erano poi così agevoli . Dal 1866 al 68 lo troviamo nel Tribunale di Sanminiato,(dal ’68 al ’74 fu anche membro del locale Consiglio Comunale), dall ’69 al ’76 si alternano Pisa, Caltanisetta, Grosseto, Firenze, per passare poi a Roma fino al ’79, quando è Procuratore del re nuovamente a Pisa . Nell’’81 viene demandato a Livorno , dall’’84 all’’88 è in servizio alla Corte d’Appello di Catanzaro, nell’’88 a quella di Torino, nell’’89 nuovamente Catanzaro, nel 91 è ritrasferito a Torino . Nel dicembre ’91 riesce finalmente a rientrare in Toscana, prima come Consigliere di Corte d’Appello, poi di Cassazione. E proprio in tribunale, alle soglie della pensione, fu precocemente troncato da morte improvvisa per attacco cardiaco a nemmeno 60 anni di età .

All’inizio della sua professione, fu conosciuto come "il più giovane Magistrato d’Italia" e fu in seguito insignito delle onorificenze di Cavaliere della Corona d’Italia e di Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro. Come suo zio materno Ferdinando . Ma non si deve credere che a quei tempi queste investiture fossero concesse con prodigalità , faciloneria e intrallazzi vari come oggidì.

A Catanzaro Guido, moglie e figli compresi, strinse quel particolare legame di amicizia con la famiglia dei suoi colleghi magistrati Scalfaro , che durò generazioni e di cui ho parlato altrove.

Guido e parte della famiglia erano da pochi giorni a Torino quando vi morì Don Bosco, evento che li coinvolse e affascinò evidentemente tanto da trasferire la devozione per questo Santo a tutte le generazioni susseguenti ; ne sono state conservate foto coeve, reliquie, santini, biografie…Tuttora per la casa spuntano immagini di Giovanni Bosco da ogni parte, e mia mamma si premurava che non viaggiassi mai sfornita di una qualche sua effigie o preghiera come "benedizione".

Guido nasce a Ponte a Elsa, da antica famiglia sanminiatese di un qualche lustro, nelle cosiddette "case Capoquadri" (fra le quali quella del cugino giureconsulto Cesare che ivi era nato e cresciuto, per risiedervi poi solo saltuariamente) vicino al Molino che i suoi antenati avevano gestito, abitazioni di tipo alto-borghese con tanto di stemma settecentesco apposto . Poco più che ventenne partì volontario per la cosiddetta seconda guerra di Indipendenza nel ‘59 . Mi sono spesso chiesta come un nipote di due ministri di provata fede granducale, essi viventi, potesse azzardare una tale alzata d’ingegno . Poi ho ripassato un po’ la storia, anche quella non "ufficiale" propinataci, e me ne sono capacitata : ancora nel ’59 pareva che ci fosse spazio per la sopravvivenza del Granducato di Toscana, in una sorta di federalismo fra gli stati del centro-sud. Di questa focosa iniziativa "risorgimentale" ci resta una sua foto in uniforme militare, un vero dagherrotipo, e copia di un manifesto , a Unità raggiunta, che ricorda e commemora tutti i non molti partecipanti empolesi alle guerre di indipendenza.

Congiuntamente con i suoi tre fratelli fece erigere una Cappella mortuaria Capoquadri nel cimitero della Bastia in Ponte a Elsa, dove alla sua morte inizialmente fu sepolto . In seguito però i suoi figli resero idonea a questo scopo la cappella di Monteboro e vi trasferirono le salme dei loro genitori Guido e Virginia, che qui riposano definitivamente insieme ad altri posteriori componenti della famiglia. Dall’aldilà ne saranno contenti, perché amarono molto questa casa per la quale fecero tanti sacrifici anche economici, per restauri, consolidazioni, ammodernamenti…vi fecero anche molti spropositi, quali la sostituzione delle antiche porte, interne e esterne, cinquecentesche in legno massello con vetratine policrome allora assai in voga ma assolutamente stonate ! Parce sepultis.

Ma Guido non poté godersi a lungo Monteboro né vedere la prosecuzione della sua famiglia con i figli almeno sposati . In compenso ebbe la soddisfazione di partecipare al fidanzamento di Tito con la figlia del suo collega magistrato Tommasi Del Boscia, nobile e facoltosa famiglia . La convinzione di Tito per questa scelta non mi è sembrata decisa e consapevole (dalle lettere alla futura sposa si intravede una sorta di smarrimento per il suo carattere già labile e irrequieto), comunque per assecondare il padre avrebbe fatto questo e altro, e con tutto il cuore.

Suo zio ex-matre, il pittore Vincenzo Lami , fece a Guido un gran ritratto a olio a figura intera, togato, che però qualche diecina di anni fa fu rubato . Ora ne resta uno del pittore Salvetti, a mezzo busto, commissionato postumo e copiato da una fotografia.

Per la sua attività forense e tribunalizia non gli mancarono certo fonti di ispirazione familiare : oltre la doppia cuginanza col Guardasigilli Cesare Capoquadri , ebbe come prozio il Vicario Pietro Lami . Suo nonno materno Giuseppe Lami fu Gonfaloniere e legale, i suoi zii materni (Paolo, Niccolò e Ferdinando Lami) furono rispettivamente Avvocato, Ministro di Grazia e Giustizia e Magistrato, e il proprio fratello Giuseppe Magistrato anch’esso.

Un altro fratello invece, Angelo , fu Gonfaloniere e poi Sindaco di Empoli.

Un ulteriore personaggio di un qualche interesse nella vita del Nostro fu uno zio acquistato, certo Gaetano Taddei, amministratore delle tenute Granducali, ambizioso , arrivista e…festaiolo . Come del resto lo fu il padre di Guido, Gaspero ( che lui però non conobbe essendo nato postumo ) , rampante commerciante e imprenditore, intraprendente affarista, proprietario terriero, uomo facoltoso e brillante, dalla indimenticabile e ampollosa quanto bella e decorativa grafia rococò . Peraltro di agevole lettura, qualità che non venne trasmessa al figlio : gli scritti di nonno Guido, particolarmente ostici, mi hanno fatto penare parecchio e molti sono rimasti "inesplorati".

Gaspero fece un "buon matrimonio" con la distinta e ambiziosa Anna Lami, detta in famiglia "nonna Annina", non dotata però di grande avvenenza a giudicare dai ritratti pervenutici, e nemmeno di senso materno . Rimasta vedova poco più che trentenne con tre figli piccoli (Angelo, Fabio e Giuseppe) e ancora incinta di Guido , dette presto segni di irrequietezza e insofferenza ai pressanti vincoli familiari. Un bel giorno ebbe un colpo di fulmine (dalla finestra del suo palazzotto a Ponte a Elsa !) per un ufficiale francese di passaggio col suo battaglione. Non pose tempo in mezzo e lo seguì in Francia, destando sdegno nella famiglia e un rancore mai sopito nei quattro infanti abbandonati . Tornò dopo qualche anno (rifiutata? nostalgica?) e, forse a disagio nel vecchio contesto familiare e paesano, si risposò a Sanminiato con l’anziano Pietro Giagnoni . Per Guido in particolare, il più piccolo, questo snaturato comportamento fu una ferita irrimarginabile, un trauma mai superato che per rivalsa, forse, determinò quel singolarissimo e ansioso attaccamento alla sua famiglia e ai figli in particolare.

Malgrado il successo personale nella carriera di Magistrato, e prima di avvocato, ebbe un animo mite, sensibile, delicato e una sorta di sentimentalismo a fondo triste.

La traccia indelebile del suo dolore per la morte del figlio Cesarino (a quei tempi purtroppo la mortalità infantile era frequente e quindi accettata con maggior sopportazione ; non fu così per Guido), un affetto tenerissimo per i figli, punto autoritario (spendi…divertiti…curati…), la disperata nostalgia per la famiglia e apprensioni quasi ossessive nelle forzate lunghe separazioni per motivi di lavoro, denotano una fragilità e una vulnerabilità apparentemente in contrasto con un tipo di carriera che richiedeva determinazione e freddezza.

Di struggente tenerezza sono le sue righe che riguardano gli animali : dal cane Morino al cavallo Bigio non si contano i suoi accenni a quelli che considera quasi componenti della famiglia . Ancora prima di avere letto la sua corrispondenza, sapevo per via orale di questa zoofilia antelitteram, che del resto si sta trasmettendo ereditariamente almeno fino alla quinta generazione !

Non altrettanto gradita in famiglia un’altra eredità che incombe tuttora, risalente però a suo babbo Gaspero che ne morì a poco più di 50 anni, cioè quella dei problemi cardiaci : di cuore precocemente, oltre a Guido, moriranno tutti i suoi fratelli e molti nipoti .

 

 

 

 

 

 

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