Ricordo di Pietro Municchi della Bastia

 

Da una ricerca della dottoressa Giulia Grazi

 

"In Dio confidar molto e lavorar forte".

 

Durante il Granducato di Leopoldo II assursero al governo e all’amministrazione della Toscana almeno tre personaggi provenienti dall’empolese, che furono altresì preziosi amici e collaboratori personali del sovrano . Il quale era un assertore convinto della meritocrazia ; nessuno dei tre infatti, salvo una differenziata estrazione sociale, poteva vantare un’ascendenza particolarmente illustre o aristocratica o facoltosa, che potesse aver loro spianato la strada . Si tratta di Niccolò Lami, Cesare Capoquadri e Pietro Municchi . Quest’ultimo, più dimenticato dai posteri, merita una seppur breve menzione.

Discendente da una famiglia di origine aretina, nacque il 29 ottobre 1783 a Barbialla (S.Miniato), ma crebbe e risiedette alla Bastia, sopra Ponte a Elsa. "Non copia di censo avìto, né chiarezza di stirpe" : suo padre era solo un onesto amministratore dei beni fondiari di famiglie facoltose, ma "non lasciò inosservati nel suo primogenito i segni di un ingegno svegliato oltre la consuetudine dell’età" e lo affidò alle cure del dotto e illuminato Ilario Capoquadri, Priore de La Bastia. Il quale ne intuì le potenziali attitudini, che seppe spronare, valorizzare e seguire benevolmente . E "alle affettuose sollecitudini di siffatto maestro l’indole bennata del giovinetto Pietro ottimamente rispose". Don Ilario è lo stesso religioso che di lì a pochi anni curò l’educazione del pontaelsese già citato, Cesare Capoquadri, destinato a diventare Guardasigilli. I due giovani compaesani strinsero poi un forte legame di stima e familiarità, come testimoniò anche il cordoglio espresso pubblicamente da Cesare alla morte dell’amico.

Pietro a 14 anni fu mandato a Firenze, perché attendesse allo studio dell’Architettura nell’Accademia delle Belle Arti, con esercizi speciali per la professione di Perito Ingegnere.

Era versatile e geniale : nel 1806 "Pietro Municchi di Bastia presso Empoli" verificò e divulgò un nuovo metodo per "far le mine", cioè per spezzare i macigni.

Terminati i corsi, iniziò la sua attività di ingegnere, consulente in questioni di agronomia, perito estimatore, agrimensore, amministratore, studioso di economia . Gli morì prematuramente il padre, circa nel 1811, e lui rimase col peso della famiglia ( in particolare con tre sorelle minori ), tanto che all’inizio dovette adattarsi a offrire i suoi servigi alle case illustri di cui il genitore era stato amministratore. Ma già nel 1818 aveva a Firenze un fiorente e rinomato studio, grazie alla sua incorruttibile e scrupolosa probità e alle sue molteplici competenze. Fin dal 1812 aveva sposato Virginia Ulivieri, premurosa compagna di vita e in seguito madre dei suoi numerosi figli.

Nel 1829 fu cofondatore della Cassa di Risparmio di Firenze, nella quale in seguito ebbe numerose cariche come sindaco revisore, nel Consiglio di amministrazione ecc.

Nel ’31 curò la divisione patrimoniale di Vincenzo Salvagnoli e fratelli.

Nel ’32 fu accolto nell’Accademia dei Georgofili, ove emerse per varie sue opere, tra le quali una importantissima, e tuttora attuale, sul rimboschimento "Necessità della conservazione dei boschi, sull’opportunità di coltivarne dei nuovi, e sui mezzi per giungere a questo duplice scopo". Coerentemente con questi principi, nei suoi possessi aretini, La Cicogna e Lusignano Cafaggio, impiantò vaste pinete e boschi di varie essenze. Dopo altri importanti incarichi fu nel 1836 nominato soprintendente delle Reali Possessioni, fino al 1854, quando passò alla riorganizzazione completa e radicale dell’amministrazione, con particolare realizzazione dei lavori di bonifica in Val di Chiana e Maremma. In merito alla prima, a lui si ricorse per una straordinaria revisione dell’amministrazione economica e idraulica. Il risanamento delle Maremme fu un suo ciclopico impegno. Grazie in buona parte a lui "Cecina e Vada, già inospitali solitudini, covo di cinghiali e nido di rettili velenosi, tornano a far parte della Toscana famiglia". A bonifica compiuta, vi fece costruire ben 283 case, e addirittura di sua mano è il disegno di una Chiesa. Sia la Chiesa di Vada che di Cecina, terminate entrambe circa a metà del secolo, contengono tele del valente pittore empolese Vincenzo Lami (1807-1892), fratello del guardasigilli Niccolò già rammentato. Iniziativa del conterraneo Municchi ? Più di vent’anni dopo questo artista veniva richiesto da un figlio di Pietro, Luigi, di fare il ritratto del padre (a memoria, perché era già defunto) e della madre ancora vivente, Virginia.

Nel 1841 era stato tra i promotori del primo Congresso degli Scienziati italiani a Pisa.

Uomo di cultura, le sue relazioni spiccano per chiarezza e proprietà di linguaggio, per quella "accortezza di pensiero e di frase che è frutto dello studio delle lettere".

Si conservano due sue biografie redatte post mortem :

Di lui, all’Accademia dei Georgofili, lesse un elogio Raffaello Lambruschini nel dicembre del 1854, pubblicato negli Atti dell’Accademia nel 1855, e poi nel 1872 nel libro di Lambruschini e Rigutini "Elogi e biografie".

E anche Luigi Venturi scrisse "Notizie biografiche del Cav. Pietro Municchi Soprintendente Generale delle R.R. possessioni" – Firenze 1855 .

Ebbe ben sei figli maschi e una femmina, fra i quali alcuni si evidenziarono in qualche modo, adeguandosi all’avvento del regno sabaudo : Giuseppe Giovanni si dette alla vita delle armi partecipando alle battaglie di indipendenza e successivamente alle campagne contro il cosiddetto brigantaggio . Morì a Firenze nel 1909, a riposo col grado di Maggiore Generale.

Carlo Francesco (1831-1911) nel ’61 fu al Ministero della Giustizia, poi fino al ’70 Procuratore generale di Firenze . In seguito resse le Prefetture di Torino, Napoli, Palermo e Milano, per essere infine nominato Senatore nel ’93, e conte nel ’97 per concessione reale. Suoi discendenti lasciarono la villa familiare della Bastia all’Ordine Domenicano, e da decenni questo bel fabbricato è sede di un asilo .

(Precedentemente anche il Granduca nel 1838 aveva voluto inserire Pietro nell’Albo d’oro della nobiltà sanminiatese , e lo aveva insignito del cavalierato dell’Ordine di S. Stefano e di quello di S. Giuseppe).

Leopoldo II nutrì una illimitata stima ed affetto per il Municchi, e lo portava spesso con sé nei suoi sopralluoghi per la Toscana, oltre ad affidargli la piena amministrazione di molta parte dei suoi possessi privati. Nei suoi diari lo cita continuamente : "il sapiente Pietro Municchi…", "l’abilissimo conte P.M….", "persona contro della quale nessuno poteva muovere eccezione di mancanza di esperienza…","l’abile ed incorruttibile perito agrario..", "l’esperto…", "Pratico, consumato ed elevato pensatore…", "..consigli del maestro Pietro Municchi..", "..vi andai col saggio P.M…", "Uno dei migliori nostri, un grande conoscitore di campagna, il saggio P.M. soprintendente alle possessioni dello Stato…".

E il Granduca ricorda con commozione anche la sua morte, avvenuta il 18 nov. 1854 : "Il 15 novembre da me venne…malsicuro sulle gambe…infermò il 16, soggiacque il 17. Io piansi con molti l’uomo che possedeva la stima, la fiducia, l’amor di tutti. Temeva Dio, amava il principe e il paese suo, conosceva impiego, molto faceva, non divagava, era alli amici amico vero . Di oscuri natali, semplice di costumi, coll’opra di stimatore era salito in fama di scienza, alle perizie sue stavano il venditore e il compratore. Io ritenni per insegnamento la bella massima che lo avea guidato tutta la vita "In Dio confidar molto e lavorar forte".".

 

 

 

 

 

 

Scegli la pagina   …………………VAI ALL'INDICE GENERALE