STORIA DEI CARNESECCHI

 

 

Pietro Carnesecchi un simbolo di liberta’

 

 

 

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......Segui la lettura della sentenza del secondo condannato a morte. e poi i due vennero condotti in sagrestia per subire la degradazione. Carnesecchi passo' in mezzo a una folla di grandi personaggi quasi tutti da lui conosciuti che lo guardavano con interesse misto a disprezzo. anche in questa occasione volle far sfoggio di superiorita' agli eventi e a un gentiluomo di vista corta che si sporgeva per guardarlo <<Non vi affaticate tanto per vedere questo ricamo >> disse gentilmente , alludendo alla veste d'infamia con la quale era stato coperto << ecco che ve la mostro con comodita'>> e al proprio compagno di sorte fu sentito dire : <<Padre , noi andiamo vestiti a livrea come se fussi di carnevale>>

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................. Al momento di lasciare il carcere Carnesecchi non pronuncio' parole di circostanza ,ne' lascio' ricordi personali ; soltanto quando fu sul punto di muoversi verso il luogo dell'esecuzione, scorgendo che la minaccia di pioggia era cessata per il tempo che gli restava da vivere si tolse il ferraiolo per donarlo ai confortatori. Apparve allora elegantissimo, come se si recasse a una gran festa con indosso un vestito << tutto attillato con la camicia bianca ,con un par di guanti nuovi e una pezzuola bianca in mano>> . Fra i presenti si rinnovo' l'ammirazione che al cronista dell'autodafe' della Minerva aveva fatto esclamare << pulcherrimus erat aspectu et magnum nobilitatis signum ostendebat >> 

 

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 Fama di Pietro Carnesecchi

 

 

 

 

 Inserimento di Garibaldi a Rio

Quando Garibaldi arrivò a Rio de Janeiro, si sapeva solo di lui che era stato oggetto di una condanna morte per contumacia, per aver partecipato ad un'insurrezione mazziniana, e questo valeva tutti i passaporti presso la comunità repubblicana. Ma non si sapeva che era stato Luigi Canessa, di Marsiglia, a indicarlo come rappresentante della Giovine Europa, che l'incontro a Taganrog con Cuneo non era mai avvenuto, e tanto meno l'incontro con Mazzini a Genova. Nelle sue Memorie, Garibaldi è poco preciso in merito, ma oggi la ricostituzione di quegli anni è abbastanza sicura.10 Il prof. Romano Ugolini da una spiegazione alla distorsione dei fatti : la necessità più tardiva, di consacrare il mito di un giovane eroe che sarebbe stato coinvolto ed iniziato nelle teorie mazziniane già dal 1833, sarebbe portatore di un messaggio, e così in grado di imporsi a tutti quelli che già avevano un ruolo nella comunità degli esuli. In effetti, arrivando a Rio de Janeiro, Garibaldi non trova un terreno vergine.
Il prof. Scirocco sostiene che "il bandito condannato per il moto di Genova, già personaggio, uomo-immagine, dei rivoluzionari per la rinuncia a cercare il perdono delle autorità, potrebbe trovare rifugio sicuro più vicino alla patria, per esempio a Costantinopoli, dove è vissuto a lungo. Si muove verso l'America per una scelta precisa, non come un esule sfiduciato, ma come un patriota ardente che vuole continuare a dare la sua opera per il trionfo degli ideali nazionali."11 Non coincidano i giudizi di Ugolini e di Scirocco, poiché Scirocco cede qualcosa al mito di Garibaldi, mentre Ugolini da per molto più casuali gli eventi di Marsiglia e la partenza, dovuta anche ad un epidemia di colera a Marsiglia e dintorni. Ma quello che conta è che in quel momento Garibaldi scopre la sua vocazione, ed anche il suo talento : ha individuato nelle idee di Mazzini un viatico per se e nei mazziniani un ambiente che lo accoglie, lo porta, lo riconosce.
La condanna a morte di Genova è l'atto di nascita di Garibaldi, l'incontro con Luigi Rossetti, con Cuneo, poi con Zambeccari l'inizio del suo protagonismo politico e militare, ed è quanto a noi interessa.12

I compagni, gli aiuti

Luigi Rossetti (sopranome Olgiati) lo accoglie a braccia aperte e immediatamente scocca tra i due una scintilla che Garibaldi stesso descrive efficacemente nelle sue Memorie. "Gli occhi nostri s'incontrarono, e non sembrò per la prima volta, com'era realmente. Ci sorridemmo reciprocamente, e fummo fratelli per la vita, per la vita inseparabili".13 Nel 2000, Tabajara Ruas ha dato alle stampe il suo bel "Garibaldi e Rossetti"14 ed ha contribuito egregiamente alla migliore conoscenza di questa nobile figura. Va fatto poi costante riferimento all'opera monumentale di Yvonne Capuano su questo punto e molti altri. 15
Vi sono altre forti personalità sul posto, tra gli altri Giuseppe Stefano Grondona. I rapporti tra i due non saranno mai semplici. Anche di lui Garibaldi si ricorda nelle Memorie. Il Grondona è qualificato da Garibaldi di "genio quasi infernale". Questo ligure, antico giacobino, è stato compagno di lotta di Giacomo Mazzini, è arrivato a Rio intorno al 1815, espulso per le sue idee nel 1823 e riammesso nel 1834 dal regime più liberale di Pedro II. Benché sia più legato all'idea della rivoluzione universale che a quella italiana, si mette in contatto con Mazzini e si fa arrivare le pubblicazioni della Giovine Italia che traduce, creando con mezzi propri una Società Filantropica italiana. Garibaldi in un primo tempo lo agevola, entra in una loggia locale della Massoneria per inserirsi nell'ambiente (Grondona è massone) alla famosa loggia "Asilo de la Vertud". Ma Garibaldi si considera investito direttamente da Mazzini, poiché lo è da Canessa, e si crea subito una difficoltà con Grondona. In breve, Garibaldi deve imporsi su Grondona, e non glielo perdonerà mai. Sarà per questo che Grondona non riuscì mai a tornare in patria ?
Tornano invece, nel 1839, altri personaggi presenti nella congrega di Rio de Janeiro, e sono le loro relazioni alla polizia che ci illuminano su molti fatti, tra testimonianza forzata e delazione. Vincenzo Raimondi, Gian Battista Folco, soprattutto Cesare Corridi, che aveva come sopranome Pietro Carnesecchi, e potrebbe essere anche lo stesso di Michele Lando. Lui presterà il sopranome di Carnesecchi a Grondona, già indiziato dalla polizia, quando tornerà in Italia. Chi dei due si sarà veramente nascosto sotto il nome di Carnesecchi? I pareri non concordano.
Una considerazione sulla questione dell'età dei partecipanti alla Giovine Italia. Noi siamo abituati a vedere i nostri eroi rappresentati come grandi vecchi, consideriamo la loro l'età: nel 1835, Mazzini ha 30 anni, Garibaldi ne ha 28. Zambeccari, che è già un grande scienziato, ne ha 33. Giovan Battista Cuneo (sopranome: Farinata degli 0berti) è nato a Oneglia nel 1809, ha 26 anni, ne aveva 24 quando è stato costretto all'esilio. (Sarà uno dei pochi a morire in Italia e nel suo letto, a Firenze, nel 1875, dopo essere stato eletto deputato nel 1849 ma avere scelto di tornare a vivere in America Latina). Il genovese Luigi Rossetti, direttore con Cuneo del giornale "O Povo" muore invece in combattimento nei pressi di Viamao il 24 novembre 1840, poco più che trentenne. Quasi una squadra di ragazzi, diremmo oggi, di giovani teppisti, a appena buoni per una rivoluzione di farrapos... Rossetti è arrivato a Rio nel 1827, Cuneo nel 1835, con Pietro Gaggini, orologiaio, anche lui condannato per i fatti di Genova del 1833, ed abitano assieme. Ambedue hanno un buon grado di cultura : Rossetti ha studiato legge, Cuneo ha il talento del giornalista e dello scrittore. Per aiutare Garibaldi ad imporsi, ed in particolare a superare l'handicap culturale che può darla vinta a Grondona che organizza contro di lui un vero e proprio sabotaggio, Cuneo crea, nel marzo 1836, un giornale che intitola proprio "La Giovine Italia". Il suo scopo è di preparare attività sovversive in Italia.

 

 

 

 

 

Da Leila di Fogazzaro

 

 La signora parlò subito del gran dispiacere di don Aurelio per non aver potuto alloggiare Massimo e neppure andargli incontro alla stazione. Raccontò che si era preso in casa, da due giorni, un infermo, un povero reietto, un venditore di bibbie protestanti, che a Posina era stato malmenato a furor di popolo e cui nessuno voleva ospitare.

"Poveretto!" esclamò la signora. "E' un tipo! Un tipo!" E rise di un riso breve, tosto represso perché la pietà prevalse al senso del comico e alla voglia di sfogarlo.

"E' un certo Pestagran" diss'ella, "ma qui gli hanno posto nome Carnesecca perché nei suoi discorsi, che sono sempre lirici, nomina spesso Carnesecchi. Egli si rifà, del resto. Una volta chiamava "pesci" i suoi concittadini di Lago: pesciolini, anguille, pesce popolo, marsoni, qualche volta gamberi. Adesso li chiama pescicani."

Ella continuò a parlare del disgraziato Carnesecca con un umorismo placido e fine, che divertì Massimo e non gli lasciò indovinare in lei un'assidua visitatrice pia dell'infermo. S'interruppe tre volte, per incontri diversi, prima all'uscita della selvetta di castagni, poi nel verde grembo fiorito che i meli e i noci ombreggiano, dove le donne di Lago hanno il lavatoio e la maestà delle pendici silenziose incombe sull'idillio. Prima una vecchia miserabile, poi un povero sciancato trattennero la signora per raccontarle guai. Ella stessa fermò una fanciullina scalza, sudicia, che portava un canestro. Parlò a ciascuno affabile, dolce, chiamandolo per nome, chiedendo di altre persone, di malati, di lontani. Alla fanciullina disse una parola di rimprovero.

Aveva saputo da un uccelletto certe cose! Congedati con bontà i poveri, riprendeva a pennelleggiare la figura e le varie gesta eroicomiche di Carnesecca, intercalandovi di tempo in tempo un "poveretto!" come a soddisfazione della coscienza che le rimordesse di questo umorismo poco cristiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal sito .............................http://www.domusgalilaeana.it/Esposizioni/mostragiugno95/rimandi/eppur.html

 

EPPUR SI MUOVE

NUMERO UNICO

PUBBLICATO A CURA DEI SOCIALISTI-ANARCHICI PISANI

 

EPPUR SI MUOVE

Così proruppe, come protesta della verita' torturata, dlla bocca di Galileo, la ribellione del pensiero scientifico contro la prepotenza incivile del dogma: In cotesto grido dell'anima, abiurante l'abiura che i tormenti strapparono alle labbra del martire, c'è come la sintesi della storia.
E qual sintesi, tutta di genio e d'eroismo da un lato , di ferocia e di viltà dall'altro.
(....)

RETTILI NERI
Che cosa fate?
No, no. E' inutile! E' inutile che vi adattiate maschere nuove :
Anche sotto le nuove maschere, noi, vi conosciamo.
Si, vi conosciamo. siete sempre quelli che rubbavate le offerte ai numi!
(...)
Dove un raggio di luce, dove un raggio d'amore, si affaccio' per brillare sulla deserta ingannata e oppressa umanita', voi, o eterni fabricatori d'infamie correste per soffocarlo.
I secoli si accavallarono ai secoli, come le onde del mare; le vicende, seguirono alle vicende, come le nubi del cielo;voi, cambiaste come il camaleonte, pelle e colori; ma una sola fu la costra fede, una la vostra tattica: l'impostura.
Una sola, non mai mutata la vostra natura: ingordigia e perfidia.
No!
Il vento dell'oblio, non crediate abia disperso le ceneri degli eroi del pensiero.
No!
Le ceneri di Arnaldo, del Moro, del Campanella, del Bruno, del Savonarola, del Carnesecchi e di cento altri, non sono disperse.
No, insensati, no!
Quelle ceneri si addensano, si aggirano tempestose, preparando il ciclone dell'ultima e definitiva disfatta.
(...)
La cuccagna, è quasi al tramonto.
Non per nulla Dante, ha cacciato i papi, ancora vivi, capofitti nelle bolge dei simoniaci!
Ed ora, tornate a spolverarci sul viso, le tele bizantine e tibie e teschi intermati?
Spudorati!
Il popolo, il vero popolo, il popolo veggente e volente, vi guarda indignato e grida col poeta:

O date pietre a sotterrarli, ancora, Nere macerie delle Touilleri !...

On Comitato
per le Onoranze a Galileo -- Pisa

Alla libera voce di popolo, salutante oggi in Pisa, la gloria di Galileo, si unisce -pur da lontano- il modesto saluto d'un credente nella forza vittorioso del pensiero.
Ma le insidie alla libertà della scienza mutaron forme e strumenti di tortura; e cessando d'esser monopolio dei preti, la inquisizione al pensiero non scomparve tuttavia dalla civiltà moderna.
Ditelo questo, a gran voce, voi almeno, che vi dichiarate amici della libertà.
E lasciate che in questa apoteosi del genio, sfolgorante sulla barbarie del passato, penetri un raggio di futuro redentore.
Dite alla maestà del popolo, che la eresia sociale ha oggi i suoi torturati- come ieri li ebbe quella scientifica e religiosa.
(...)
Rivendicate al pensiero la libertà - libertà vera, per tutti.
Questo è il solo monumento degno della grandezza di Galileo.

Milano, li 26 Giugno 1897

Vostro
PIETRO GORI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sabato, 5 Febbraio 2000

Giordano Bruno, il ribelle che si ribellava a tutto
Caro Montanelli,
Fra qualche giorno cadrà il quarto centenario del supplizio di Giordano Bruno e la Chiesa pronuncerà la riabilitazione di Giordano Bruno. Era ora che vi si decidesse. Credo però che di questo grande filosofo, incarnazione della "Libertà di Pensiero", il cosiddetto uomo della strada - categoria alla quale anch'io appartengo - sappia ancora poco. Potrebbe lei farcene un ritrattino e consigliarci quali opere di lui si debbono leggere?

Romolo Dirighetto, Roma

Caro Dirighetto,
Di Bruno, sul piano della dottrina cattolica che ne determinò la condanna da parte del Sant'Uffizio, ha già parlato giovedì sul Corriere, con grandissima competenza, Armando Torno. Se del personaggio e dello scrittore Bruno - di cui qualcosa posso dirle anch'io - lei vuole conservare l'alta opinione che mostra di averne, le consiglio di non leggerne nulla.
Dopo essermi più volte provato a farlo, io non sono mai riuscito ad andare oltre le prime due o tre pagine della sua prosa disordinata, enfatica e lutulenta. I suoi esegeti sono concordi nel dire che, anche se Bruno era un uomo di cultura, non l'aveva digerita, e che nel suo pensiero c'era un po' di tutto, alla rinfusa, ma di suo ben poco. Quanto al personaggio, ecco la scheda autobiografica che compilò lui stesso per i suoi ascoltatori londinesi: "Amante di Dio, dottore della più alta Teologia, professore di cultura purissima, noto filosofo, accolto e ricevuto presso le prime Accademie, vincitore dell'ignoranza presuntuosa e persistente...", e via di questo passo.
Non ho mai capito perché si fece frate e scelse l'ordine più severo, quello dei Domenicani. Il suo carattere era quello di un ribelle a tutte le regole, di uno "sciupafemmine" come dicono dalle sue parti (era di Nola) sempre in caccia di gonnelle. Infatti poco dopo gettò la tonaca alle ortiche, e cominciò a girovagare in tutta Europa in cerca di cattedre e di pergami da cui predicare. La sua oratoria era simile alla sua prosa: gonfia di aggettivi e d'immagini, aggressiva e violenta specie contro la Chiesa: tanto che i calvinisti di Ginevra, credendo che fosse dei loro, lo invitarono a tenere un corso. Ne approfittò per denunciare gli errori e gli strafalcioni teologici in cui essi cadevano, e ne fu contraccambiato con l'espulsione dalla città.
Gli amici (qualcuno ne aveva) lo persuasero a rivestire il saio, e stranamente la Chiesa glielo concesse. Lui la ripagò facendosi propagandista del pensiero copernicano - rielaborato a modo suo - che la Chiesa condannava come eretico.
Stavolta il Sant'Uffizio perse la pazienza, se lo fece consegnare dai gendarmi di Venezia, dove si era ultimamente rifugiato, e lo sottopose a processo.
Nell'interrogatorio del Grande Inquisitore Bellarmino, Bruno non difese le sue posizioni, anzi le rinnegò come false, confessò tutti i suoi peccati, e chiese di essere riaccolto in grembo alla Chiesa.
Fu quando si trovò issato sul patibolo di Campo de' Fiori, cioè quando ormai non aveva più nulla da perdere, che Bruno si pentì di essersi pentito e pronunciò contro la Chiesa la sua ennesima requisitoria condita di orrende bestemmie.
No, Bruno non fu un eroe del Libero Pensiero, come un Carnesecchi o un Ochino, di cui non raggiunse l'altezza morale e intellettuale. Era soltanto un ribelle che si ribellava a tutto per il suo carattere egocentrico e protervo.
Con questo - intendiamoci - non intendo affatto giustificare il supplizio a cui fu condannato e su cui era tempo che la Chiesa facesse atto di contrizione.
Voglio soltanto dire che, di tutti quelli (e furono tanti) da essa accesi in quei tempi calamitosi, il rogo di Giordano Bruno è fra quelli che m'indignano di meno. Esso illumina della luce più cupa, e quindi più pertinente, lo squallido paesaggio dell'Italia della Controriforma: un prete e un gendarme intenti ad arrostire un ribelle privo anche del conforto di una Causa a cui intestare il proprio sacrificio

 

Questa lettera definita da molti lettori "infame " scateno' al tempo una rabbiosa serie di lettere di reazione

 

  

 

 

 

 

 

 

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