G. d. S. Vestigia nel Tempo”

Maria Luisa Fantoni , Alessandra Ceccherelli , Roberto Cellai

 

 

 

Studiando queste cartine sorprende la localizzazione di alcune delle proprieta' Carnesecchi nel Reggello:

Sorgono molti interrogativi sui tempi di acquisizione anche considerando la contiguita' di talune di queste proprieta' con quelle dei Duranti di Nese che farebbe pensare a proprieta' molto antiche se e' vero che esiste un legame parentale tra di loro molto precedente al 1300 ( spartizioni ereditarie )

 

 

 

 

 

da Guido Vannini : la curia del castiglione , storia archeologica di un insediamento e di un territorio feudale. Eclissi di una società, alle origini dell’europa moderna

 

 

 

 

Castelvecchio di Cascia

 

Due case coloniche occupano il sito del Castelvecchio sulla sommità della boscosa collina situata circa 2 km a sud-ovest della pieve, sulla sinistra della strada che da Borgo a Cascia scende a Montanino; le due case conservano il significativo toponimo di Cascia Vecchia. Oltre al toponimo l’elemento più interessante di questa collina è l’aver constatato come al limite del pianoro, sul lato nord, esiste ancora un tratto di circa 50 m di cinta muraria in pietre saldamente cementate, e, all’estremità di questo, il basamento di una torre angolare quadrata. Inoltre, sul versante meridionale, framezzati da alcune terrazze, si trovano altri pezzi di muri dello stesso tipo, nonché tratti dell’antica strada a tornanti di accesso al castello. I ruderi sono attualmente in fase di completo disfacimento.


Il castello era sorto probabilmente dall’incastellamento di una corte e, ancora, tra XIII e XIV secolo il distretto castellano è nominato nella documentazione con il nome di Corte di Cascia, come si rileva dal toponimo di due chiese esistenti nella zona: San Siro de curte Cascie e Santo Stefano de curte Cascie, elencate nel Decimario fiesolano del 1301.

Il castello di Cascia, menzionato per la prima volta nel 1066, è ricordato nei documenti del Basso Medioevo come Sant’Andrea a Cascia dal nome del santo titolare della chiesa interna alle mura. Nel 1134 il castello è il luogo di stipula di una vendita del Monastero di San Vigilio a Siena; nella stessa serie di vendite alcune sono stipulate nel Castelnuovo di Cascia

 

 

Castelnuovo di Cascia

 

Del Castelnuovo, sorto in prossimità della Pieve di Cascia, è visibile parte dell’antica struttura urbanistica nel nucleo abitato di Sergenti; si conserva infatti la conformazione della cinta muraria sulla quale sono state addossate le case. Nel 1102 apparteneva, per la metà, al vescovo di Fiesole. Nei secoli successivi probabilmente è stato smilitarizzato e ridotto a villa poiché non se ne trova traccia nella documentazione scritta.

 

 

San Siro a Cascia


Le informazioni storiche su San Siro sono piuttosto scarse: l’intitolazione ad un protomartire caro ai Bizantini parrebbe indicare un’origine molto antica del sito. Il popolo di ”San Silio de Sancto Novo” è nominato nel Libro di Montaperti del 1260, nelle Decime degli anni 1274-75 e 1301-3; compare anche negli elenchi della Decima del 1301, conservata presso Archivio Vescovile di Fiesole, ma con la denominazione di Poulus Sancti Syri de curte Cascie, a rimarcarne forse l’appartenenza al distretto amministrativo del castello di Sant’Andrea a Cascia (il Castelvecchio della documentazione medievale).

Architettura
Il complesso architettonico è frutto di diversi interventi. Le forme della torre campanaria indicano chiaramente che essa fu costruita a scopo difensivo ben prima della chiesa, fra VII e VIII secolo. Solitamente, i campanili sorgono nella zona absidale degli edifici religiosi: la torre di San Siro invece svetta a destra della facciata, il che suggerisce che un’originaria struttura militare sia stata riconvertita in torre campanaria solo al momento dell’erezione della chiesa, cinque secoli dopo.

La chiesa risale al XII secolo, come indica l’arco tamponato scolpito a bassorilievo all’ingresso, sul lato di ponente. L’edificio, a navata unica, fu realizzato in filaretto di pietra arenaria e subì consistenti rimaneggiamenti nel corso del XVIII secolo, come dimostra la forma delle aperture sulla facciata. Nello stesso periodo fu anche invertito l’orientamento che oggi, a differenza delle chiese di zona, corre lungo l’asse ovest-est: nella facciata si indovinano ancora i resti del tamponamento dell’antica abside, così come, sul lato opposto, si scorgono tracce della chiusura dell’ingresso.

Tutto il complesso architettonico di San Siro è stato sottoposto nel 1995 ad un incauto intervento di consolidamento e restauro.

 

 

 

La Carta dei Capitani di Parte Guelfa e' del 1500 inoltrato . Comunque si noti la contiguita' dei possessi Carnesecchi con quella dei Duranti ( probabilmente di Nese ) contiguita' che troviamo anche a Ostina

 

 

 

 

I RESTI DEL CASTELNUOVO IN POSSESSO DI LUCA CARNESECCHI NEL 1427

 

 

RITROVAMENTO DI ALCUNE TORRI MEDIEVALI NELL'ABITATO DE "I SERGENTI":

NOTIZIE STORICHE E DESCRIZIONE DEI REPERTI

 

 

Ricerca del gruppo archeologico : Gruppo ricerca e studio vestigia del passato.

Anno 1987

 

 

Ricerca sul Castelnuovo di Cascia : Riconosciuta una porzione di esso nel vecchio caseggiato de " I Sergenti " a nord ovest della Pieve di Cascia.

Torri in pietra di primitiva munizione a cassero sono ora frammiste a casucce fatiscenti .

Visibili ancora nel primo 900 tratti di mura castellare a ovest …..

 

( Maria Luisa Fantoni )

 

 

 

Nel 1200 erano di proprietà dei Cacciaconti, famiglia senese di grandi proprietari del Chianti e di Siena.

Nel 1245 vari Patarini di Firenze e Prato, condannati dal tribunale ecclesiastico, fuggirona dalla città e trovarono rifugio e protezione nella casa di Guido Cacciaconti nel popolo della Pieve di S. Piero a Cascia. Da Firenze furono inviati dei frati Domenicani per cercare di riportarli all'ortodossia.

Nel Giornale "Il Valdarno " del 1896 il preciso storico e giornalista " Nestore " riferiva come nel casolare dei Sergenti, vicino alla Pieve di Cascia, in una tinaia di proprietà Giovannoni, si vedessero ancora le mura della casa residenza dei Cacciaconti, risalente al XIII secolo.

Nel Catasto della Repubblica Fiorentina del 1427 l'antico casolare dei Sergenti fu dichiarato come "Casa da Signore" di sua medesima proprietà da Luca Carnesecchi.

Nelle Piante di Capitani di parte Guelfa riguardanti il piviere di Cascia della seconda metà del XVI secolo, detto casolare risulta di proprietà Bigazzi. Dette notizie sono state riprese da una conferenza,tenuta a Cascia dal Sig . Ivo Becattini, instancabile ricercatore di archivi e studioso dell'antica storia del Valldarno , e appariranno in un suo libro di prossima pubblicazione.

Abbiamo raccolto nei dintorni la tradizione, orale di un "castello dei Sergenti" che altri chiamavano "case torri dei Sergenti". che avevano carattere di ostello. di sosta per chi era in viaggio. Questo presuppone la presenza nelle vicinanze di una strada importante.

Effettivamente in ricognizioni effettuate due anni fa abbiamo ritrovato il tracciato di una strada importante (già citata,dal Tracchi nel libro 'Dal Chianti al Valdarno: ricognizioni archeologiche in Etruria ' ) e che anchea noi sembra di epoca romana. Abbiamo ritrovato i resti del basamento dì un ponte della stessa età.che si trova poco a monte del medievale pontec -mulino di Carmela e proprio di fronte al mulino di Camerino (vedi schizzo topografico) ; il tutto è ancora oggi ben riconoscibile. La strada proviene dalla direzione di S.Gíovenale (vicino acui si trova un altro antico ponte),corre sulle balze prospicienti la -riva sinistra del Resco fino ai Tallini, scende ai resti del ponte e poi risale verso la località Bronzone sita circa 200 metri ad Ovest dei Sergenti; qui le tracce non sono ben visibili, ma probabilmente continua verso Nord riallacciandosì al tracciato detto "viaccia" che dal Cino va verso S.Tea e Mangino.

Questa strada è da identificarsi con la Cassia Vetus, cioè la strada di comunicazione più importante dal periodo romano a tutto il Medioevo nelle nostre zone, dove ricalca almeno in parte un precedente tracciato etrusco.

La via Consolare Cassia congiungeva Roma con Luni, attraverso Bolsena, Chiusi, Arezzo e Fiesole passando dagli altopiani del Pratomagno : questa è la Cassia Vetus. Successivamente nel 123 D.C. l'imperatore Adriano fece costruire un nuovo tracciato leggermente più corto che congiungeva Chiusi con Fiesole passando dal Chianti: questa è la Cassia Nova o Cassia Adrianea.

Il casolare dei Sergenti si trova in una zona di rilevante interesse storico e archeologico, infatti oltre a quanto già esposto possiamo citare la vicinanza della Pieve di Cascia con l'annesso "castello nuovo" (oggi è la canonica?) citato da fonti antiche; lo stesso campanile della Pieve, secondo elementi apparsi nel recente restauro, sarebbe stato in origine una torre; il. ritrovamento di tombe di età romana sulla strada che da Cascia va verso S.Tea, dove esiste anche una chiesetta con frammenti di fregi di edifici precedenti messi in opera nelle mura; il ritrovamento di manufatti in pietra scheggiata di età preistorica e di frammenti di vasellame di varie epoche nei campi intorno alla Pieve e prospicienti i Sergenti. I resti di un'altra. torre si trovano in un -fabbricato sulla strada che porta verso S.Siro. Lo stesso campanile della chiesa di S. Siro e una torre riattata a tale scopo e-che in antico si trovava nel retro dell'edificio, essendo la facciata originale dallaparte opposta a quella odierna (si vede ancora un portale della tipologia preromanica). Abbiamo avuto anche notizia che,reperti di epoca etrusca provenienti da questa zona sono esposti nei musei di Oslo e di Quebec, però non siamo riusciti a controllarne la veridicità. Comunque questo potrebbe essere un ulteriore filone di studío e di ricerca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 DESCRIZIONE DEI REPERTI

 

Una torre in pietra (lettera..A del disegno) attualmente addossata a costruzioni più recenti, presenta ancora sulla parete est una ferìtoia intatta ed un'altra tamponata ma ben evidente. Guardando all'interno di una cantina adiacente (probabilmente la tinaia Gíovannoni di cui parla "Nestore", come già detto) nella parete sud è ben visibile un portale in pietra (ora tamponato) con architrave sagomato e sormontato da una semiluna. Entrando in una cantina adiacente, in direzione sud, a circa. dieci - quindici passi di distanza da questo portale. ne esiste un altro simile,ora tamponato, visibile soltanto dall'architrave in giù, che. immetteva in un'altra torre (lettera C del disegno). A questa sì accede da un'altra cantina con apertura sulla strada per Figline, passando sotto un avancorpo di recente costruzione; a destra si entra subito nel piano terreno della torre, dove sono riconoscibili feritoie sul lato est, e finestrelle sulle altre pareti; dalla cantina una scala porta sotto la torre dove esiste un locale quasi completamente nel sottosuolo con volta a botte e lastricato con pietroni. Lungo la scala è visibile il basamento della torre formato da grosse pietre in parte scalpellate per far girare le scale.

Risalendo all'esterno, a circa 30 passi di distanza dalla torre A in direzione ovest, si vedono i resti di un'altra torre in pietra (lettera B del disegno) ampiamente rimaneggiata che ora costituisce il corpo centrale di un gruppo di vecchie case.

Nella parete sud è con difficoltà riconoscibile una feritoia tamponata, la parete opposta è quasi completamente coperta da un corpo avanzato costruito recentemente.

A nostro giudizio queste torri risalgono al 1000-1100 con portali del 1200 e successivi rifacimenti e adattamenti. Potrebbero essere o case torri isolate-oppure far parte di una struttura fortificata di maggiore importanza.

Per un'indagine più completa, oltre naturalmente ad avvisare gli organi competenti, sarebbe molto utile poter guardare all'interno delle altre vecchie case e della vicinissima villa, cosa che purtroppo non è stata finora possibile.

Egualmente possiamo dire per l'edificio con resti di torre sulla strada che porta a S.Siro, sul lato destro, che esternamente presenta sulle pareti Ovest e Sud elementi che indicano la presenza di una antica torre, ora ampiamente rimaneggiata e alla quale è stato appoggiato un contrafforte in pietra che copre gran parte di ciò che è visibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il casale dalle cinque porte

Al tempo delle nostre ricerche individuare la torre B , nel contesto architettonico del castellare a I Sergenti non fu davvero facile . Appariva la nostra torre come serrata ,soffocata nell'ampia facciata di una cascina di cui costituiva il corpo centrale . Le immagini allegate non permettono di capire facilmente tuttavia con uno sforzo notevole si puo' distinguere tra i segni di un infinita' di rimaneggiamenti quello citato ,ossia l'aggregazione , meglio, l'addossamento di due robusti corpi in pietra alle fiancate della torretta medievale .

Nella prima foto ( in parete nord ) la torretta centrale e' completamente mascherata da un corpo sporgente , di moderna fattura e sono visibili invece le costruzioni laterali aggiuntive .

Nella seconda foto ( parete sud ) si verifica il contrario : si distingue molto bene infatti la struttura centrale dell'edificio , nella sua tipica squadratura ,rude ed essenziale , di casa torre del medioevo .

E' proprio questo cioe' la parete sud l'ambito prospettico piu' interessante della costruzione ed e' anche la facciata d'ingresso del casale.

A memoria d'uomo , almeno intorno agli anni trenta , vi si aprivano cinque porte .

Intorno agli anni 60 quando ancora conservava la funzione di casa colonica , io ricordo che al lato sinistro di una ripida scala si affacciavano le porte della stalla.

Infatti qui erano ricoverate delle vacche , e gli abitanti dei dintorni si recavano la sera dopo la mungitura a rifornirsi di latte .

L'usciolino appena visibile alla dstra delle scale immetteva dall'aia in un locale chiamato da tempo immemorabile " la stanza del macello vecchio ". Era ampio quanto due stanze del piano sovrastante . Nessuno ricorda piu' la ragione di quel nome .

Rimane pero' il ricordo delle "figure rosse" visibili fino agli anni 50/60 del secolo scorso.

Negli anni in cui il gruppo archeologico Le Vestigia svolgeva le sue ricerche a I Sergenti la tradizione degli abitanti ricordava il grande castello con una cinta che racchiudeva anche la pieve . Ed ancora caduto il castello nelle lotte fra i potenti , la sua trasformazione in un ostello da parte di gente dedita ai commerci ( i Carnesecchi ? )

Questo ricordo cosi antico affidato alla tradizione si concilia con la presenza di un antica strada.

La strada che da valle saliva verso l'altipiano reggellese passava proprio di li dal castellare . Per questa si saliva verso gli alpeggi ed i boschi , fonti di sostentamento per gli uomini , e altresi si raggiungevano i santuari ed i luoghi mistici sparsi sulle alture , come pure per sentieri secondari si accedeva ai varchi montani verso il Casentino ( vallata che da sempre tenne fiorenti commerci con le genti valdarnesi )

E' possibile quindi che il traffico su questa via ,negli anni che vanno dalla seconda meta' del duecentento alla prima meta' del trecento , fosse notevole.

Intorno al fortilizio smilitarizzato nasceva un nuovo villaggio

E' allora ammissibile che il castellare "smilitarizzato" si prestasse a una funzione nuova . Che quella scabra torre rimaneggiata ed ampliata dai due robusti corpi pietrosi murati alle fiancate potesse divenire una stazione di sosta .Cioe' quella che il ricordo popolare tramandava come " Casa degli ostellieri"

Una casa dove il viandante poteva mangiare ,bere, riposare. E dove far riposare i cavalli e porre al riparo i carri con le merci .

 

La costruzione e' ora ,sapientemente ristrutturata , un lussuoso albergo per agriturismo. A riprova che talvolta la storia si ripete.

 

Maria Luisa Fantoni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dagli studi della dottoressa Valentina Cimarri ( archeologa ) sappiamo ,come abbiamo gia visto , che i possessi Carnesecchi comprendevano una casa nel Castelvecchio ed una vigna a ridosso

Forse i Carnesecchi ( come anche i Castellani ) erano originari del Castelvecchio

Maria Luisa Fantoni aggiunge che evidentemente questi possessi sono databili almeno alla rovina del castello poiche' nessuno avrebbe avuto interesse a comperare qualcosa in un luogo disabitato : quindi l'eventuale insediamento dei Carnesecchi ivi e' databile ante la rovina della corte fortificata

Le carte dei Capitani anche se tarde mostrano insediamento Carnesecchi intorno alla chiesa di Sant'Andrea

 

Sappiamo come fossero insediati nella zona della chiesa di San Siro ( come abbiamo visto in antico fortificazione )

Sappiamo altresi come i Carnesecchi avessero diversi possedimenti a Ostina e dintorni

 

A questo proposito :

 

IN DEFINITIVA EMERGE UNA SITUAZIONE DI QUESTO TIPO A CUI AL MOMENTO NON E' POSSIBILE LEGARE UNA DATA

MOLTI DI QUESTI POSSESSI RISALGONO PERO' ALMENO AI PRIMI DECENNI DEL TRECENTO

SOLO STUDIANDO CON PIU' ATTENZIONE IL NOTARILE SI POTRA' FORSE STABILIRE DELLE DATE

 

 

QUELLO CHE COLPISCE ( NON CHE QUESTO DEBBA SIGNIFICARE PER FORZA QUALCOSA ) E' LA DISPOSIZIONE DI ALCUNE PROPRIETA' CARATTERIZZATE DALLA VICINANZA CON ZONE FORTIFICATE

 

 

 

E' da notare che nell'articolo che segue Mariano di Stefano non viene individuato dalla dottoressa Cimarri come uno dei Duranti di Nese o di San Piero Scheraggio o Duranti Carnesecchi come dice il Richa

E' da notare la vicinanza di alcuni suoi possessi con quelli dei Carnesecchi

 

 

Famiglie fiorentine e loro possessi a Cascia nel 1427

Articolo della dottoressa Valentina Cimarri Calussi

 

Fin dalla fine del secolo XIII alcune importanti famiglie fiorentine giocarono un ruolo fondamentale nelle vicende politiche, economiche e sociali del plebato di Cascia. All'inizio del Quattrocento, quando la popolazione del luogo era ancora concentrata negli insediamenti di mezzacosta e nei fertili piani di sedimentazione fluvio-lacustre prospicienti il torrente Resco, il piano di Cascia ospitava i nuclei abitativi di maggiore consistenza ed accanto ad abitati ed a castelli ancora fortificati, i fiorentini avevano impiantato numerose case sparse sul territorio sedi di altrettanti poderi gestiti a mezzadria.

In base alle portate del Catasto nel 1427 è possibile affermare che la zona circostante l'abitato di Cascia avesse, ed ancora nel 1512, un indice di appoderamento medio-basso, con una punta percentuale massima per il popolo di S. Andrea a Cascia (73) ed una minima per quello di S. Michele a Caselli (0). Se confrontiamo il valore medio calcolato per il Valdarno superiore, 68, con quello del plebato di Cascia, 54, ci rendiamo conto in effetti come l'area dovesse essere, per quanto concerne l'impianto di strutture su podere, in una situazione di marginalità. Inoltre, fatta eccezione per i poderi di proprietà cittadina, i valori catastali e l'uso nelle portate di diminutivi - poderetto, poderuzzo - dimostrano che si trattava di entità medio-piccole più frequentemente appellate come casa con terra d'intorno. In molti casi i poderi erano costituiti da pezzi di terra diversamente dislocati a seconda della natura e del grado di fertilità del suolo; non è infrequente infatti che gli appezzamenti pertinenti un unico podere si trovassero ubicati in popoli diversi, come è verificabile ad esempio per i possessi di Luca di Luca Carnesecchi. D'altro canto anche la proprietà strettamente comitatina risultava essere molto parcellizzata e legata ad una struttura agraria parzialmente arcaica confermata anche dalla concentrazione degli abitanti nei villaggi di mezzacosta. Per quanto concerne poi la situazione patrimoniale le classi bassa e media costituivano quelle numericamente maggiori (54,6% e 26,3%); il 14,6% era rappresentato da miserabili mentre pochissimi (4,5%) erano gli agiati. In genere nelle prime due classi fiscali possono essere comprese le varie categorie dei coltivatori dipendenti - dai mezzadri agli affittuari fino ai braccianti ed ai salariati - mentre le due classi più alte tendono a coincidere con i coltivatori proprietari e gli artigiani. D'altra parte va ricordato che in questo contesto statistico non compare la categoria più ragguardevole dal punto di vista del censo, quella dei proprietari cittadini, accatastati in città in quanto residenti a Firenze. I poderi ad alta rendita catastale, concentrati nel fertile piano di Cascia, nei popoli di S. Andrea, S. Siro e S. Tommaso e nel fondovalle tra Ruota e Cetina, appartenevano infatti esclusivamente a cittadini, mentre nell'area pedemontana erano ubicati i beni dei piccoli proprietari.

Questa situazione non era solo dovuta a particolari condizioni del suolo, dove toponimi come Cetina testimoniavano recenti messe a coltura e bonifiche sull'Arno, ma anche alla prossimità delle arterie stradali di fondovalle che irradiavano da Firenze e polarizzavano nelle vicinanze della città beni e insediamenti. Questo estendersi a macchia d'olio dei possessi cittadini nel contado intorno a Firenze, pose Cascia ed i suoi popoli in un'area di confine dove, accanto alla frammentazione dei possessi, si aveva una scarsa penetrazione cittadina nelle aree pedemontane ed una arretratezza di circa un secolo, nello sviluppo della mezzadria.

Prendiamo a titolo di esempio il caso del popolo di S. Michele a Caselli dove nel 1512 non era segnalato alcun podere di valore catastale. Dalle stime di Conti, il popolo di Caselli risultava avere l'imponibile medio, per nucleo familiare, più alto di tutto il piviere di Cascia (84), un numero elevato se si pensa alla media del plebato ferma su 50 fiorini. Ed infatti su quattordici nuclei familiari solo uno era miserabile, sei poveri, cinque mediani e due agiati, constatando di fatto che la metà della popolazione risultava di livello medio-alto. Viene da sè che tutti i beni situati nel popolo di S. Michele a Caselli fossero di proprietà comitatina, come è risultato dallo spoglio delle portate del popolo, discordando decisamente dai dati medi che vedevano la proprietà cittadina penetrata in Valdarno superiore del 61%. La situazione di Caselli dimostra infatti un processo di sviluppo ben diverso in aree che, sebbene fertili e produttive, occupavano posizioni marginali rispetto alla città. A confermare l'affermazione il fatto che i popoli più prossimi al fondovalle, come S. Andrea a Cascia, presentassero una situazione diversa. Infatti, come abbiamo detto, vi si concentravano le proprietà cittadine e l'indice di appoderamento era abbastanza alto rispetto alla media del piviere. Le terre localizzabili nel popolo di Caselli erano, in prevalenza, nel 1427, di proprietà dei Landini e dei discendenti dei Bastardi da Castiglione, signori del castello di Poggio alla Regina. Ed infatti i due agiati segnalati da Conti in questo popolo erano Bartolomea di Geri di Iacopo dei Bastardi e Pace e Stefano di Landino. L'analisi della portata catastale di donna Bartolomea ci permette di vedere e descrivere una struttura agraria parcellizzata composta da più pezzi di terra pertinenti ad un'unica abitazione, dislocati in luoghi diversi, ma di consistente valore catastale: centoventotto fiorini. La presenza di un lavoratore, Meo di Simone, nominato nel documento, fa pensare ad una conduzione molto vicina a quella di tipo poderale anche se non siamo in presenza di un nucleo compatto di possessi attorno alla casa che era inoltre solo per metà della stessa proprietaria e non era abitata da mezzadri. Molto superiori invece i valori catastali dei poderi appartenenti a cittadini; uno dei poderi di Cascia di Bindo d'Andrea dei Bardi era stimato duecento quarantasette fiorini, mentre quelli in Piano di Bernardo e Vieri di Bartolo di Bindo dei Bardi, settecentottantasei e duecentoventicinque fiorini, e uno al Borgo duecentonovantacinque. Gi stessi valori catastali sono riscontrabili nei poderi dei Carnesecchi, Foraboschi e Castellani. Uno dei poderi di Bartolomeo di Baldassarre Foraboschi, nel popolo di S. Andrea a Cascia era stimato quattrocentosessantasei fiorini; un altro al Borgo duecentotrettantasette; il podere dove la famiglia di Bartolomeo abitava, con casa da signore, nel popolo di S. Lorenzo a Cascia, duecentocinquanta fiorini; simile valore (duecentotredici fiorini) per un podere con casa da signore sulla piazza di San Lorenzo a Cascia appartenuto a Nora di Gherardo Foraboschi.

E' probabile che questa tendenza dipendesse anche dalla presenza sul territorio del plebato di Cascia dell'associazione comunitaria dei 'Quattro Popoli' costituita dal consorzio di piccoli proprietari; questa communitas nacque probabilmente con lo scopo precipuo di tutelare gli interessi dei piccoli allodieri presenti forse in numero elevato fin dal XIII secolo. Inoltre la stessa conformazione prevalentemente montana del territorio non deve aver favorito l'impianto di strutture poderali, ma la persistenza di piccole parcelle divise fra diversi proprietari. C'è però una tendenza che si può evidenziare: i beni dei comitatini di fascia medio-povera sono localizzabili prevalentemente in montagna e rappresentati da terra boscata e pastura, mentre cittadini e nobili del contado prediligono le aree di mezzavalle più fertili e popolose, dove, nella prima metà del Quattrocento, si registra un certo popolamento a case sparse.

 

Le principali attività economiche ed i poderi ubicati nelle zone più fertili erano di proprietà di famiglie fiorentine almeno fin dalla seconda metà del XIV secolo, quando Cascia, non più zona di confine tra i contadi di Firenze ed Arezzo, aveva raggiunto una certa tranquillità territoriale. I beni più strettamente circostanti la pieve, tra questa ed il fondovalle, in direzione di San Giovenale a sud-est ed in direzione delle Serre a sud-ovest erano concentrati nelle mani di sei famiglie, residenti in città: Foraboschi, Carnesecchi, Bardi, Castellani, Strozzi ed Altoviti.

La situazione patrimoniale è il risultato di una cristallizzazione dei possessi innescatasi nel secolo precedente - e di cui sono testimonianza numerosi registri di imbreviature notarili - che vedeva poderi ed appezzamenti di terra passare di padre in figlio senza sostanziali modificazioni o smembramenti. Ne sono un esempio i beni degli stessi Castellani. Le compere effettuate da Vanni di Lotto Castellani alla metà del XIV secolo ed incrementate dal figlio Michele, a partire dagli anni 60, concentrate nel popolo di San Vito all'Incisa e lungo il corso dell'Arno tra Ruota e Cetina, sono riscontrabili nei possessi dei figli e dei nipoti. La torre dei Bandinelli, sull'Arno, di fronte al castello di Incisa, viene acquistata nel 1367 da Michele di Vanni Castellani per 1320 fiorini; nel 1427 la troviamo registrata nel campione di Giovanni di Michele come casa posta sopra il ponte di Lancisa luogho detto la torre Bandinello. Nel 1364 lo stesso Michele acquista un podere a Panicale, nella corte di San Giovanni, per 75 fiorini, nel 1378 vi acquista una casa; podere e casa sono registrati, nel 1429, tra i beni di Francesco e Margherita, pupilli di Matteo di Michele di Vanni Castellani deceduto in quell'anno. Negli stessi anni Michele Castellani acquista da Jacopa di Bartolomeo Foraboschi alcuni beni alle Serre, tra i quali un podere; tra i beni di Matteo di Michele nel campione del Catasto è registrato un podere alle Serre l.d. Chasaccio a I Gerozzo de' Bardi, a II rede di Casciano, a III rede di Baldassarre Foraboschi. Dal documento risulta che, come i beni di Michele erano passati al figlio Matteo così quelli confinanti di Jacopa Foraboschi erano passati al figlio Baldassarre e pervenuti infine nelle mani del nipote ser Bartolomeo di Baldassarre. Le stesse considerazioni possono essere fatte per i beni di piccoli proprietari locali. Il campione registrava tra i confinanti un tale erede di Casciano; di fatto un tale Casciano da Cascia è più volte citato tra i proprietari di beni confinanti quelli acquisiti dai Castellani nella zona di Cascia nella seconda metà del XIV secolo. Inoltre Filippo di Stefano Casciani - dal nome del nonno era derivato probabilmente un cognome - allibrato e residente in Firenze possedeva ancora nel 1427 due poderi in Chiesimone, presso le Serre ed un podere a Cavallaia confinante con i beni di Giovanni di Simone Altoviti. Tra i suoi beni Giovanni Altoviti registra un podere alle Serre l. d. Chiesimone, con casa da signore e da lavoratore che fu di Casciano a I Chiesimone, a II Casciani, a II Landino di Chele, a IV Gerozzo Bardi, a V Foraboschi; pertanto una parte dei beni di Casciano erano passati agli eredi ed una parte, almeno un podere, risultano essere stati alienati.

Queste consolidate linee di tendenza radicalizzate poi ulteriormente nei decenni successivi del Quattrocento - ne è testimonianza il catasto del 1479 - ci permettono di affermare che dalla situazione patrimoniale registrabile nel Catasto del '27 non differisse sostanzialmente quella solo ipotizzabile per il 1422 se non per passaggi di proprietà interni ai nuclei familiari. Senza dubbio la stessa fu la struttura della società locale nella quale il Trittico fu accolto.

A tale proposito vediamo adesso più da vicino la divisione dei possessi fondiari ubicati a San Giovenale (fig. 1). Nel 1422 la chiesa di San Giovenale era annessa a quella di San Tommè ad Ostina e gli abitanti del luogo facevano pertanto parte del popolo di San Tommè che nel 1427 contava 43 fuochi e 213 abitanti. Tra queste famiglie solamente due, quella di Donato di Giovanni e quella di Antonio di Biagio detto Righatto, erano residenti nel luogo detto a San Giovenale. Donato di Giovanni da San Giovenale possedeva una chasa chon due peççi di terra, uno peçço avignata e l'altra lavoratìa posto in luogho detto a San Giovenale chonfinata da primo via, da sicondo Mariano di Stefano forbiciaio, da terço Baldo di Bartolomeo, da quarto Antonio di Cristofano, da quinto Piero di Nuto; rende l'anno una soma di vino e dieci staia di grano e uno quarto orcio d'olio. Anche Rigatto possedeva una chasa nella quale habita pro non divisa posta nel popolo di San Tommè d'Ostina luogho detto San Giovenale cui a primo e secondo via, a iii Monna Gloria donna che ffu di Cristofano di Bartolomeo Rinuççi et iiij <beni> di Domenico di Sandro. I confinanti di Donato e Rigatto non risultano essere residenti a San Giovenale. Solo due sono rintracciabili: Mariano di Stefano forbiciaio e Baldo di Bartolomeo di ser Baldo entrambi allibrati e residenti in città.

Mariano di Stefano era forbiciaio a Firenze, ma con molta probabilità originario del popolo di San Tommè d'Ostina; infatti, oltre ad un podere con casa da lavoratore ed un pezzo di pastura ubicati a Santa Tea ed un podere a Mercatale, nel popolo di Sant'Andrea a Cascia, tra l'altro confinato con i beni di Vieri di Bartolomeo de' Bardi, egli possiede ben tre poderi nel popolo di San Tommè. Due sono ubicati sul torrente Resco e caratterizzati dalla presenza di una casa da lavoratore e pezzi di castagneto; il terzo, sebbene non sia specificato, potrebbe essere quello di San Giovenale valutato 128 fiorini. Questi beni permettono a Mariano un discreto tenore di vita tanto che può permettersi di mantenere non solo la famiglia nucleare - composta da monna Nanna e da due bambine piccole Nese e Maria - ma anche sua madre Nicolosa e due cugine in età da marito Nanna e Sandra. Ha inoltre un buon numero di debitori che distinge in buoni e cattivi, sia fiorentini che cascesi.

Baldo di Bartolomeo di ser Baldo, di anni 36, possedeva a San Giovenale la casa avita: una chasa posta nella legha di Cascia popolo di San Tommè d'Ostina piviere di Cascia luogho detto a San Giovenale chon più masserizie per suo uso. La proprietà, stimata 212 fiorini, comprendeva anche più pezzi di terra ubicati ibi prope. Oltre alla moglie Checha e a cinque figli, Baldo manteneva la madre Maddalena e la nonna Nicolosa. Il marito di Nicolosa, ser Baldo, omonimo del nipote, aveva rogato su questo territorio alla fine degli anni '60 del XIV secolo ed era peraltro uno dei notai che curarono gli acquisti di Michele di Vanni Castellani in quest'area del contado.

Tra i confinanti di ser Baldo si trovava Simone di Vanni, nipote di Michele Castellani che possedeva a San Giovenale un podere con casa da signore e da lavoratore, forno e aia composto da vigne, boschi e terre lavoratìe per 80 staia secondo i seguenti confini: da I via, da II Cristoforo di Michele, da III e IV Baldo di ser Bartolomeo di ser Baldo. Questa proprietà, registrata al Catasto per mano del fratello Jacopo, insieme ad altri beni ubicati alla destra dell'Arno, ed al patronato della chiesa di San Giovenale - come specificato nella visita pastorale del vescovo Benozzo Federighi del 1436 - era pervenuta a Simone Castellani nel 1422 in seguito alla morte del padre Vanni (fig. 2 e 3).

Il podere ubicato invece sulla sinistra è registrato tra i beni della chiesa di San Giovenale (fig. 4): si tratta di un podere al lato della chiesa di staiora diciotto di terra tra buone e chattive con poche viti e pochi ulivi confinato a I via, a II rede di Domenico di Sandro, a III Manno di Giovanale, a IV rede di Berto Carnesecchi. Quest'ultima porzione è, con ogni probabilità, uno dei quattro pezzi di terra, registrati nel 1427 nel campione dei beni di Simone, Giovanni ed Antonio di Paolo di Berto Carnesecchi, uniti al podere con casa da lavoratore che i tre fratelli possedevano lì vicino, ma alla destra del torrente Resco nel popolo della pieve di Cascia, ad Olena.

A San Giovenale possedeva inoltre un altro membro di questa famiglia, Giovanni di Niccolò di Matteo Carnesecchi. Quattro dei suoi poderi sono localizzati nel popolo di San Tommè a Ostina, uno propriamente ad Ostina, due in Pianuglia ed uno a San Giovenale secondo i seguenti confini: a I Antonio di Biagio, a II rede di Domenico di Sandro, a III torrente Pilano, a IV rede di Biagio Tuglini.

Questa era la situazione patrimoniale dell'area circostante la chiesa di San Giovenale a cavallo del terzo decennio del Quattrocento. La presenza tra i proprietari terrieri del luogo di membri di due famiglie fiorentine - i Castellani ed i Carnesecchi - ci permette di introdurre a questo punto una veloce ricognizione sull'incidenza della proprietà cittadina e di verificare, all'interno del plebato di Cascia, quali siano state le aree da questi maggiormente colonizzate.

Per quanto concerne i figli dell'erede di Berto Carnesecchi questi avevano altri due poderi nella zona di Cascia ubicati nel popolo di San Siro: al Crocicchio, con alcuni pezzi di terra dislocati nel popolo di San Tommè ad Ostina ed a Scarpuccia dove, oltre alla casa da lavoratore, possedevano una casa da signore per i loro trasferimenti in contado. A San Siro, lungo la via, si trovavano alcuni pezzi di terra lavoratìa di Manetto di Zanobi Carnesecchi ed un podere, in località Chasciano, di Bernardo di Cristoforo Carnesecchi.

La fetta più consistente dei possessi familiari era però nelle mani di Luca di Luca Carnesecchi con appezzamenti di terra e vari poderi nei popoli di San Tommè d'Ostina, San Siro, Sant'Andrea e San Pietro a Cascia. Una chasa chon un peçço di vigna posta nel popolo di San Tommè d'Ostina legha di Chascia Valdarno di sopra a i e ij via a iij il detto Lucha a iiij la detta chiesa e in parte rede di Domenico di Sandro (...); un podere a San Seri luogo detto la Chasa Nuova con casa da lavoratore, confinato con i beni degli eredi di Paolo di Berto Carnesecchi, comprensivo di un pezzo di terra a Lischeto, nel popolo d' Ostina, circondato dalle proprietà dei figli di Paolo, di Giovanni di Niccolò Carnesecchi e di Piero e Lapo del Tovaglia, due bottegai di San Niccolò i cui beni in contado erano concetrati nel popolo di San Bartolomeo del castello di Viesca del quale erano forse originari. Nel popolo di San Tommè Luca possedeva inoltre un podere con più pezzi di terra ad altissimo valore catastale, 398 fiorini (fig. 5); un podere ad Ostina con casa da lavoratore ed aia; un podere a Tramboresco con pezzi di terra sconfinanti nel vicino popolo di santa Maria a Faella; un pezzo di terra a Barberino ed uno a Pianuglia. Nel popolo di San Siro invece aveva una casa a San Siro, sulla strada, con vari pezzi di terra, due poderi ed un poderetto in Pian San Giovanni confinati con i beni dei suoi parenti. Al Poggio possedeva un podere confinante con i beni di Gerozzo de' Bardi, mentre un podere ubicato nel fondovalle, nelle Vallenibbi, era compreso tra un fossato ed i beni dell'erede di Baldassarre Foraboschi. Con i Foraboschi e con gli eredi di un tal Vieri pollaiolo, confinavano alcuni pezzi di terra ubicati a Morcignano nel popolo di Sant'Andrea a Cascia pertinenti un podere al Borgo di Cascia. Inoltre all'interno di questa circoscrizione Luca Carnesecchi possedeva una vigna nelle coste del castello vecchio di Cascia, ubicata lungo il fossato della struttura difensiva, ed una casa che stava per cadere sulla piazza comunale di quest'ultimo insediamento, sulla quale si affacciavano anche alcuni edifici di proprietà di Antonio di Niccolò Castellani i cui avi erano nativi del castello. Nel popolo della pieve aveva tre pezzi di terra ad Olena ed uno alla Casella, presso Cocollo, circondato da vie e adiacente gli appezzamenti di terra che donna Bartolomea di Geri dei Bastardi da Castiglione - sopra ricordata - aveva ereditato dalla famiglia del marito. Un parente di Bartolomea, Pandolfo, allibrato come nobile del contado, ma decaduto, inoltre era stato molti anni, per debiti, lontano dal contado di Firenze e aveva svolto l'attività di albergatore ad Incisa, presso l'albergo di Niccolò di Michele Castellani, chasa atta albergho colloggia e stalla dirimpitto che, nel 1427, rendeva al figlio di quest'ultimo, Antonio, oltre 285 fiorini.

Principalmente ad Incisa, Cascia e nei popoli di San Miniato alle Serre e Santo Stefano a Cetina Vecchia - dove è tuttora ubicata la fortezza che da loro prese il nome - i Castellani avevano la concentrazione dei loro possessi in contado. Gli esponenti della casata con gli interessi più consistenti nella zona erano Antonio di Niccolò di Michele Castellani, Messer Matteo di Michele di Vanni Castellani (deceduti il primo nel '27 ed il secondo nel '29) ed i sopra ricordati Giovanni di Michele di Vanni, fratello di Matteo, e Simone e Jacopo di Vanni.

I beni di Giovanni di Michele, allibrato per 3152 fiorini, rappresentati in prevalenza da poderi, erano ubicati tra Cetina, Ruota, Cancelli e Leccio; nell'area che più strettamente ci interessa Giovanni possedeva un pezzo di castagneto nell'Alpe di Cascia nel popolo di San Martino a Pontifogno. Simone e Jacopo oltre al podere di San Giovenale ne avevano altri in Pian di Tegna, a Magnale, ad Altomena e a Cetina. Antonio invece, allibrato con un imponibile di 2247 fiorini, possedeva un podere nel popolo di San Tommè d'Ostina in luogo detto Rio di Luco confinato con le rede di Matteo de' Bardi.

Sebbene anche questi membri della famiglia fossero a buon diritto nell'élite cittadina, Messer Matteo di Michele era il più ricco ed il più influente politicamente, con un imponibile di 14034 fiorini, in parte derivati anche dalle rendite di alcuni poderi cascesi. Per la maggior parte concentrati alle Serre, Messer Matteo aveva un podere a Mercatale, nel popolo di Sant'Andrea - frutto di un acquisto effettuato da suo padre nel 1377 - stimato 198 fiorini così confinato: a I via, a II Vanni d'Agnolo da Cascia, a III Simone de' Bardi, a IV Stefano di Niccolò Donati, Miniato di Matteo e Michele d'Agnolo, a V Pagholo e Lucha Carnesecchi. I confini descritti sono peraltro riscontrabili anche nel campione di Stefano di Niccolò Donati purgatore fiorentino. I beni di Matteo ubicati alle Serre erano contigui ad alcuni possessi del più influente fiorentino dell'epoca, allibrato per ben 101422 fiorini: messer Palla di Noferi Strozzi titolare in quest'area di tre poderi con case da lavoratore a Viesca e di tre poderi con case da lavoratore e palagio disfatto a Prulli, stimato 1097 fiorini.

Per concludere il quadro delle famiglie fiorentine interessate dal punto di vista fondiario alla zona, ai poderi di Carnesecchi, Castellani e Strozzi bisogna aggiungere quelli di Foraboschi e Bardi.

La famiglia dei Foraboschi, discendente dagli Ormanni, appartenuta tra XII e XIII secolo all'aristocrazia consolare, era, dopo il 1282, ma già nel periodo guelfo, in fase di declino principalmente a causa del suo mancato inserimento nell'influente mondo delle Arti maggiori; nei primi anni del Quattrocento l'esponente più in vista della casata, messer Bartolomeo di Baldassarre, aveva nella zona di Cascia - con i fratelli Ormanno e Bonsignore - tutti i suoi possessi - pezzi di terra e poderi - sebbene il patrimonio fosse stato indebolito, a partire dal secolo precedente, con alcune vendite fatte ai Castellani, come ho già avuto modo di precisare. Secondo quanto risulta dalla denuncia catastale abitavano per buona parte dell'anno in contado dove si dilettavano a seguire personalmente le attività e le rendite dei loro poderi non disdegnando i lavori manuali. Il podere principale, stimato 250 fiorini, con casa da signore dove habitiamo e con una colombaia (fig. 6) - che sappiamo fornire 50 paia di colombi domestici l'anno - era ubicato nel popolo di San Lorenzo a Cascia e confinato con la via e con i beni di monna Nora di Gherardo Foraboschi proprietaria di un podere con casa da signore sulla piazza di San Lorenzo a Cascia (fig. 7). Degli altri undici poderi di messer Bartolomeo quattro erano ubicati nel popolo di San Miniato alle Serre; due nel popolo di Sant'Andrea, al Borgo, con case da lavoratore; due a Cancelli; uno ad Incisa; uno in Pian San Giovanni presso la chiesa di San Siro; uno a Santa Tea con casa da lavoratore. Avevano inoltre un mulino sul Resco presso Viesca, due case triste, date a pigione, nel castello vecchio di Cascia e due fattoi da olio: uno a Cancelli ed uno a Caselli (fig. 8) nel popolo della pieve già documentato nel 1342. La coltivazione dell'olivo era in questi anni in forte incremento; Bartolomeo stesso l'aveva incentivata nei suoi possessi, specialmente lungo il Borro di Socini, nel podere di Santa Tea che risulta caratterizzato dalla presenza di alquanti ulivi. A questo tipo di attività i Foraboschi aggiungevano terre da pastura, ubicate nel popolo di San Niccolò a Forli, e terre boscate sul Pratomagno. Un altro aspetto importante dell'economia locale quattrocentesca era costituito infatti dai prodotti montani; le terre ubicate sul Pratomagno erano in parte destinate alla pastura, in parte terrazzate e coltivate a segale, ma principalmente tenute a castagni sia da palina che da frutto. Le castagne seccate e macinate erano impiegate nella panificazione, o consumate fresche, lessate e arrostite; inoltre sia le castagne che la farina erano commercializzate sui mercati o scambiate con farina da pane bianco che difficilmente si produceva nelle zone montane. Il castagno era poi utilizzato come materiale da costruzione, per la legna, una parte dei castagneti infatti era tenuta a ceduo, e per il carbone prodotto da epoca imprecisabile sulle pendici di Massa Nera.

Tutto questo avevano ben compreso Bernardo e Vieri di Bartolo di Messer Bindo de' Bardi che possedevano un sedicesimo dell'Alpe di Cascia ubicato lungo il crinale e delimitato dal torrente Resco, unito a quattro grossi poderi situati nel fertilissimo piano di Cascia: uno in Piano, lungo la via che portava alla pieve lavorato da un tale Luca con i suoi figli, un tempo residenti nel castello di Cascia dove possedevano la casa; uno al Borgo; uno a Santa Tea ed uno alla Torre in Piano con più pezzi di terra, stimato oltre settecento fiorini, del quale si conserva la bellissima casa da signore (fig. 9), lavorato da Pagolo d'Andrea di Durante del popolo di Caselli. Sebbene Bernardo e Vieri avessero i beni più cospicui, altri membri della famiglia erano proprietari di poderi a Cascia. Bindo d'Andrea di messer Bindo de' Bardi aveva un podere a Cascia con casa da lavoratore, terra vignata e ulivata, stimato 246 fiorini confinante con il Borro di Socini ed i beni della pieve; un podere con casa da lavoratore nel popolo di Sant'Andrea, sulla piazza del Borgo, unito a più pezzi di terra a Mercatale e fornito di un casolare disfatto e di un fornello da mattoni ancora in uso confinato con gli eredi di Casciano ed i beni dei Foraboschi nel popolo di San Lorenzo. Possedeva inoltre un lotto edificabile nel castello vecchio di Cascia ed un peçço di terra con vigna e castagneto con una terça casa da tenere terra nel popolo della pieve nel luogo conosciuto come Corte Castiglioni, dal nome dell'antico distretto castellano del Castiglione di Poggio alla Regina, ubicata lungo il fosso di Botti.

Il più volte nominato Gerozzo di Francesco Bardi possedeva due poderi nel popolo di Sant'Andrea in luogo detto Chiesimone, uno di cospicuo valore, 342 fiorini, l'altro più piccolo, 85 fiorini, tanto che lo definisce poderozzo, confinato con i beni degli eredi di Niccolaio, Simone e Antonio di Niccolaio de' Bardi, costituiti da un podere in Chiesimone ed uno a Colombare nel popolo delle Serre prossimo ai beni dei Foraboschi. Guido di Agnolo Bardi aveva un podere con casa nel popolo della pieve, mentre i beni di Stoldo e Giovanni di Matteo de' Bardi erano ubicati nel popolo di San Tommè: in Rio di Luco infatti i due fratelli avevano tre poderi ad alta rendita catastale, 262, 340 e 346 fiorini. Tutti i poderi elencati di proprietà cittadina erano condotti a mezzadria ed avevano rendite abbastanza diversificate concentrate sulla produzione di frumento, segale, vino, olio e carne di maiale.

In conclusione alcuni aspetti che emergono dai dati esposti devono essere puntualizzati ed evidenziati. Cascia paese ed il popolo di San Pietro segnano una linea immaginaria di confine oltre la quale, in direzione del Pratomagno, non si spingono i possessi fondiari dei cittadini, fatta eccezione per l'Alpe dei Bardi. Pertanto nei popoli montani di Caselli, Forli, Pontifogno, come abbiamo visto, sono ubicate le proprietà dei piccoli borghesi locali o dei decaduti nobili del contado. I beni delle emergenti casate cittadine sono concentrati nei fertili piani di Cascia, sulle balze che degradano verso l'Arno, più produttive e prossime alle arterie di comunicazione di fondovalle ed al grande mercato granario di Figline. All'interno di questo quadro è possibile inoltre tracciare una suddivisione geografica dei possessi; si può infatti affermare che ogni famiglia abbia tendenzialmente cercato di circoscrivere i propri beni concentrandoli in nuclei abbastanza compatti. Vediamo i Castellani infatti prevalentemente colonizzare l'area prossima all'Arno con beni ad Incisa, Cetina, Ruota, Le Serre e poi a Cascia e San Giovenale. I Foraboschi insediarsi nell'area di San Lorenzo a Cascia; i Bardi occupare tutto il Piano di Cascia fino al Rio di Luco ed i Carnesecchi, infine, la fascia compresa tra il Borgo, San Siro, Ostina e San Giovenale. Le rimanenti terre erano infine spartite tra piccoli proprietari e tra gli enti religiosi locali: la pieve, alcune parrocchiali e l'ospedale di San Lorenzo a Reggello. Da questa generale frammentarietà non differiva molto, come abbiamo visto, l'area di San Giovenale dove figuravano nel 1422 i beni della chiesa di San Giovenale, le proprietà di residenti agiati e di nativi ormai stanziati ed allibrati definitivamente in città ed i grandi poderi di due famiglie fiorentine: Carnesecchi e Castellani. Quest'ultimi, oltre ad essere patroni della chiesa, non dovettero avere un ruolo marginale nella vita sociale della piccola comunità e niente ci vieta di pensare che proprio nel 1422, Simone e Jacopo Castellani, divenuti alla morte del padre Vanni, patroni della chiesa e principali proprietari della zona, abbiano voluto donare alla comunità, per celebrare l'entrata in possesso, il Trittico.

 

 

 

dati su il Catasto del 1427 fornitimi dalla dottoressa Cimarri

 

Come da promessa le invio quanto in mio possesso. Per quanto riguarda i Carnesecchi le mie prime attestazioni scritte riguardano il XV secolo e nello specifico il Catasto del 1427. ASF, Catasto, Bobina 146 (registro 79): Bernardo di Cristofano c. 574; Berto di Zanobi, c. 85; Giovanni di Niccolò, c. 231; Luca di Luca, c. 295; Matteo di Zanobi, c. 50; Mattea di Luca di Luca, c. 516; Simone di Pagolo, c. 81; Zebaina di Zanobi, c. 34. Con possessi nel piano di Cascia ed in particolare ad Ostina, San Siro, e Sant'Andrea a Cascia dove Luca di Luca di Ser Filippo Carnesecchi possiede una casa in rovina sulla piazza del comune all'interno del castello. Possesso che risale ab antiquo ( originari del castello? chi può dirlo ).

 

 

a Cascia dove Luca di Luca di Ser Filippo Carnesecchi possiede una casa in rovina sulla piazza del comune all'interno del castello. Possesso che risale ab antiquo 

 

 

 

 

 

 

 

 

nella portata del 1427 di Nanni di Pagno detto Lupatto ( del popolo di San Silio a Cascia ) egli dichiara di possedere

........Item aliud petium terre boschate positum in dicti lucho , confinatum a I fossatus ab aliis heredum Luce ser Filippi

popolo sancti Silii de Cascia , loco dicto in piano di San Giovanni

Il confinante e' Luca di Luca Carnesecchi

 

 

 

 

 

 

 

 

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