STORIA DEI CARNESECCHI

 

 

Note alla pagina 27

 

 

 

 

 

Garibaldi a Ceprano nella locanda Carnesecchi

……..Garibaldi scrisse immediatamente una lettera al Mazzini, in cui lamentava di non poter cogliere il frutto della propria impresa. A malincuore, però, obbedì, lasciando Arce (ed il Regno) la sera dello stesso giorno, pernottando in Ceprano su una panca della locanda Carnesecchi.

 

 

 

 

UNA CURIOSITA !

 

I compagni, gli aiuti

Luigi Rossetti (sopranome Olgiati) lo accoglie a braccia aperte e immediatamente scocca tra i due una scintilla che Garibaldi stesso descrive efficacemente nelle sue Memorie. "Gli occhi nostri s'incontrarono, e non sembrò per la prima volta, com'era realmente. Ci sorridemmo reciprocamente, e fummo fratelli per la vita, per la vita inseparabili".13 Nel 2000, Tabajara Ruas ha dato alle stampe il suo bel "Garibaldi e Rossetti"14 ed ha contribuito egregiamente alla migliore conoscenza di questa nobile figura. Va fatto poi costante riferimento all'opera monumentale di Yvonne Capuano su questo punto e molti altri. 15
Vi sono altre forti personalità sul posto, tra gli altri Giuseppe Stefano Grondona. I rapporti tra i due non saranno mai semplici. Anche di lui Garibaldi si ricorda nelle Memorie. Il Grondona è qualificato da Garibaldi di "genio quasi infernale". Questo ligure, antico giacobino, è stato compagno di lotta di Giacomo Mazzini, è arrivato a Rio intorno al 1815, espulso per le sue idee nel 1823 e riammesso nel 1834 dal regime più liberale di Pedro II. Benché sia più legato all'idea della rivoluzione universale che a quella italiana, si mette in contatto con Mazzini e si fa arrivare le pubblicazioni della Giovine Italia che traduce, creando con mezzi propri una Società Filantropica italiana. Garibaldi in un primo tempo lo agevola, entra in una loggia locale della Massoneria per inserirsi nell'ambiente (Grondona è massone) alla famosa loggia "Asilo de la Vertud". Ma Garibaldi si considera investito direttamente da Mazzini, poiché lo è da Canessa, e si crea subito una difficoltà con Grondona. In breve, Garibaldi deve imporsi su Grondona, e non glielo perdonerà mai. Sarà per questo che Grondona non riuscì mai a tornare in patria ?
Tornano invece, nel 1839, altri personaggi presenti nella congrega di Rio de Janeiro, e sono le loro relazioni alla polizia che ci illuminano su molti fatti, tra testimonianza forzata e delazione. Vincenzo Raimondi, Gian Battista Folco, soprattutto Cesare Corridi, che aveva come sopranome Pietro Carnesecchi, e potrebbe essere anche lo stesso di Michele Lando. Lui presterà il sopranome di Carnesecchi a Grondona, già indiziato dalla polizia, quando tornerà in Italia. Chi dei due si sarà veramente nascosto sotto il nome di Carnesecchi? I pareri non concordano.
Una considerazione sulla questione dell'età dei partecipanti alla Giovine Italia. Noi siamo abituati a vedere i nostri eroi rappresentati come grandi vecchi, consideriamo la loro l'età: nel 1835, Mazzini ha 30 anni, Garibaldi ne ha 28. Zambeccari, che è già un grande scienziato, ne ha 33. Giovan Battista Cuneo (sopranome: Farinata degli 0berti) è nato a Oneglia nel 1809, ha 26 anni, ne aveva 24 quando è stato costretto all'esilio. (Sarà uno dei pochi a morire in Italia e nel suo letto, a Firenze, nel 1875, dopo essere stato eletto deputato nel 1849 ma avere scelto di tornare a vivere in America Latina). Il genovese Luigi Rossetti, direttore con Cuneo del giornale "O Povo" muore invece in combattimento nei pressi di Viamao il 24 novembre 1840, poco più che trentenne. Quasi una squadra di ragazzi, diremmo oggi, di giovani teppisti, a appena buoni per una rivoluzione di farrapos... Rossetti è arrivato a Rio nel 1827, Cuneo nel 1835, con Pietro Gaggini, orologiaio, anche lui condannato per i fatti di Genova del 1833, ed abitano assieme. Ambedue hanno un buon grado di cultura : Rossetti ha studiato legge, Cuneo ha il talento del giornalista e dello scrittore. Per aiutare Garibaldi ad imporsi, ed in particolare a superare l'handicap culturale che può darla vinta a Grondona che organizza contro di lui un vero e proprio sabotaggio, Cuneo crea, nel marzo 1836, un giornale che intitola proprio "La Giovine Italia". Il suo scopo è di preparare attività sovversive in Italia.

 

 

 

Dal sito .............................http://www.domusgalilaeana.it/Esposizioni/mostragiugno95/rimandi/eppur.html

 

EPPUR SI MUOVE

NUMERO UNICO

PUBBLICATO A CURA DEI SOCIALISTI-ANARCHICI PISANI

 

EPPUR SI MUOVE

Così proruppe, come protesta della verita' torturata, dlla bocca di Galileo, la ribellione del pensiero scientifico contro la prepotenza incivile del dogma: In cotesto grido dell'anima, abiurante l'abiura che i tormenti strapparono alle labbra del martire, c'è come la sintesi della storia.
E qual sintesi, tutta di genio e d'eroismo da un lato , di ferocia e di viltà dall'altro.
(....)

RETTILI NERI
Che cosa fate?
No, no. E' inutile! E' inutile che vi adattiate maschere nuove :
Anche sotto le nuove maschere, noi, vi conosciamo.
Si, vi conosciamo. siete sempre quelli che rubbavate le offerte ai numi!
(...)
Dove un raggio di luce, dove un raggio d'amore, si affaccio' per brillare sulla deserta ingannata e oppressa umanita', voi, o eterni fabricatori d'infamie correste per soffocarlo.
I secoli si accavallarono ai secoli, come le onde del mare; le vicende, seguirono alle vicende, come le nubi del cielo;voi, cambiaste come il camaleonte, pelle e colori; ma una sola fu la costra fede, una la vostra tattica: l'impostura.
Una sola, non mai mutata la vostra natura: ingordigia e perfidia.
No!
Il vento dell'oblio, non crediate abia disperso le ceneri degli eroi del pensiero.
No!
Le ceneri di Arnaldo, del Moro, del Campanella, del Bruno, del Savonarola, del Carnesecchi e di cento altri, non sono disperse.
No, insensati, no!
Quelle ceneri si addensano, si aggirano tempestose, preparando il ciclone dell'ultima e definitiva disfatta.
(...)
La cuccagna, è quasi al tramonto.
Non per nulla Dante, ha cacciato i papi, ancora vivi, capofitti nelle bolge dei simoniaci!
Ed ora, tornate a spolverarci sul viso, le tele bizantine e tibie e teschi intermati?
Spudorati!
Il popolo, il vero popolo, il popolo veggente e volente, vi guarda indignato e grida col poeta:

O date pietre a sotterrarli, ancora, Nere macerie delle Touilleri !...

On Comitato
per le Onoranze a Galileo -- Pisa

Alla libera voce di popolo, salutante oggi in Pisa, la gloria di Galileo, si unisce -pur da lontano- il modesto saluto d'un credente nella forza vittorioso del pensiero.
Ma le insidie alla libertà della scienza mutaron forme e strumenti di tortura; e cessando d'esser monopolio dei preti, la inquisizione al pensiero non scomparve tuttavia dalla civiltà moderna.
Ditelo questo, a gran voce, voi almeno, che vi dichiarate amici della libertà.
E lasciate che in questa apoteosi del genio, sfolgorante sulla barbarie del passato, penetri un raggio di futuro redentore.
Dite alla maestà del popolo, che la eresia sociale ha oggi i suoi torturati- come ieri li ebbe quella scientifica e religiosa.
(...)
Rivendicate al pensiero la libertà - libertà vera, per tutti.
Questo è il solo monumento degno della grandezza di Galileo.

Milano, li 26 Giugno 1897

Vostro
PIETRO GORI

 

 

 

 

Note su Dante Carnesecchi

 

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 http://www.anppia.it/ Associazione nazionale perseguitati politici antifascisti Anppia

 

 Negli anni scorsi l'Anppia ha pubblicato 21 volumi con brevi schede
biografiche di persone che hanno un fascicolo intestato a proprio nome nel
Cpc. Il nome di Carnesecchi non compare

Non è citato nei volumi dell'Anppia - credo - perché è stato assassinato nel 1921 dalle forze "dell'ordine". M. R.

 

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 Istituto per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea in provincia di Asti

C.so Alfieri 375 - 14100 - ASTI
Tel. 0141- 590.003 0141-354835
Fax 0141- 592.439
Orario: da lunedì a venerdì ore 9-13;
lunedì, martedì, mercoledì, giovedì ore 15-18.

info@anppia.it

L'Istituto è un Consorzio di Enti locali nato nel 1984 che ha, per statuto, il compito di studiare e raccogliere materiale documentario e bibliografico inerente la storia contemporanea, con specifico riferimento alle vicende del territorio provinciale. Ha altresì il compito di svolgere, nell'ambito delle sue molteplici attività, un ruolo di formazione e di educazione etico-civile basato sui valori espressi dalla Resistenza e recepiti dalla Costituzione repubblicana.

Promuove ricerche in campo storico, socio-antropologico ed economico e mette a disposizione della scuola, degli studiosi e del pubblico i seguenti servizi culturali:

Fornisce inoltre supporti per l'attività didattica nelle scuole di ogni ordine e grado ed organizza corsi di formazione e di aggiornamento per insegnanti.

L'Istituto svolge attività di ricerca anche in ambito regionale in collaborazione con gli altri Istituti provinciali piemontesi; fa parte della rete nazionale degli Istituti della Resistenza associati all'Istituto Nazionale per la storia del Movimento di Liberazione in Italia con sede a Milano.

 

Io devo ringraziare Mario Renosio direttore scientifico di questo istituto la cui competenza ( competenza con la C maiuscola ) e la paziente disponibilita' mi sono state di immenso aiuto Mi sono state fornite indicazioni e mi sono stati dati consigli che non ero riuscito ad avere da altre associazioni e che hanno reso piu' sicuro ed agevole il mio cammino di ricerca sulle vicende di Dante Carnesecchi

 

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 Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Iuso, "Dizionario biografico degli anarchici italiani", 16 tav. fotogr., vol. I, A-G, Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2003, pp. 816, € 80.00

La pubblicazione del primo volume del dizionario biografico degli anarchici italiani (il secondo volume dovrebbe uscire nel mese di giugno) conclude un lungo e scrupoloso lavoro di ricerca archivistica e bibliografica che ha impegnato oltre un centinaio di studiosi, diretti e coordinati da Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Iuso.
Si tratta della prima sistematica mappatura della "base" del movimento anarchico: centinaia e centinaia di biografie di semplici militanti che hanno costituito il tessuto connettivo del movimento, assieme a quelle di militanti più noti e conosciuti quali Malatesta, Berneri, Bresci, Caserio. Un lavoro, quindi, che propone spunti e dati nuovi per la storia dell'anarchismo in Italia e che, contemporaneamente, illumina un aspetto trascurato della storia politica e sociale del nostro paese.
L'opera è edita dalla Biblioteca Franco Serantini (BFS), casa editrice pisana che prende nome dal giovane morto in carcere a Pisa il sette maggio del 1972, dopo essere stato arrestato nel corso di una manifestazione antifascista cittadina, ed è pubblicata col contributo del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. Varie e molteplici sono state le fonti consultate
per scrivere le duemila biografie che compongono il dizionario: dai fascicoli del Casellario Politico Centrale, depositati presso l'Archivio Centrale dello Stato di Roma, agli archivi familiari, a quelli giacenti presso le sedi del movimento libertario italiano, alle testimonianze orali. Le voci biografiche, scelte tra i 26.626 fascicoli riguardanti gli anarchici, conservati nel Casellario Politico Centrale, coprono un arco temporale che va dalla metà dell'Ottocento alla fine degli anni Sessanta del Novecento.
La maggior parte dei "biografati" è nata nel periodo che va dal 1860 al 1899, momento storico nel quale si è misurata la massima fortuna del movimento, vale a dire l'età coincidente con il primo cinquantennio della vita unitaria. L'espansione massima del movimento si ha negli anni 1880-1914. Questo dato è solo uno dei tanti che è finalmente possibile trattare con cognizione di causa relativamente ad una storia sociale, umana e politica nota ma poco conosciuta. Ne segnalo alcuni altri ricavabili grazie alla ricognizione sociografica, storica e politica del Dizionario. Gli anarchici italiani hanno un tasso di emigrazione elevatissimo: il 60% dei "biografati" sono emigrati dall'Italia almeno una volta; i luoghi principali dell'emigrazione sono stati in ordine Francia, Spagna, Svizzera e Belgio, e poi i paesi dell'America Latina, dell'Africa, il Nord America. E ancora: le schedature raccolte dalla polizia sommano un numero impressionante di denunce, ammonizioni, arresti, detenzioni, domicili coatti e altre misure repressive collezionate soprattutto negli anni Novanta dell'800. Interessante e vivido il ritratto della matrice culturale che anima "l'anarchico" di fine Ottocento inizio Novecento: si tratta di militanti pervasi da una fede antiautoritaria, anticapitalistica e socialista, quasi tutti formatisi nell'humus culturale del positivismo e dell'anticlericalismo, rappresentano quell'Italia che non si è arresa alla vittoria istituzionale della monarchia e che rifiuta ogni compromesso politico e sociale, crede nel progresso ma ancor più nell'azione risolutrice prodotta da minoranze agenti. Hanno alle spalle i miti rivoluzionari prodotti dall'Ottocento: il '48, il Risorgimento, La Comune di Parigi. Geograficamente il movimento anarchico ha le sue radici nell'Italia centro-settentrionale. In primo luogo la Toscana col 31%, seguono l'Emilia Romagna 15,5%, la Lombardia 10%, le Marche 7,3%, il Lazio 5,8%, il Veneto 4,7%, il Piemonte 4,6%, la Sicilia 4,2%.
I dati raccolti smentiscono anche lo stereotipo secondo il quale movimento anarchico era socialmente composto di ceti artigianali e piccolo-borghesi. La stragrande maggioranza dei suoi aderenti proveniva dalle fasce sociali più basse, il 64,75% erano lavoratori salariati, il 25% autonomi, l'8% liberi professionisti, il 32% operai dei comparti industriali; debole invece il radicamento nelle campagne, che conferma il dato relativo al volto urbano moderno dell'anarchismo italiano a cavallo tra i due secoli.
Le vite biografate si muovono nell'ambito storico dell'Italia crispina, poi giolittiana, nei moti della settimana rossa che, in piena prima guerra mondiale sembrano consumare la maggiore occasione rivoluzionaria che si presenta al movimento. L'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, provoca un piccolo scossone tra gli anarchici, una parte, minoritaria, si dichiara a favore dell'intervento, alcuni aderiranno, nel primo dopoguerra, al fascismo. In quegli anni, dopo un momentaneo protagonismo, culminato nei moti per il caroviveri dell'estate 1919 e nell'occupazione delle fabbriche dell'agosto-settembre 1920, inizia la crisi del movimento, acuita dall'affermazione del fascismo e della dittatura. Tra il '22 e il '27 vi è la diaspora drammatica degli esponenti maggiori e dei militanti più attivi, gli altri, quelli che non possono espatriare, sono incarcerati, costretti tacere, sorvegliati strettamente dalla polizia politica; si lacera così un tessuto di relazioni e contatti provocando una perdita che non sarà più recuperata. E ancora, sempre le biografie, ci raccontano della lotta contro il fascismo a cominciare dalla partecipazione anarchica al movimento degli Arditi del popolo, alla guerra in Spagna a fianco della repubblica, paese nel quale, durante la guerra civile affluiscono circa 4 mila italiani, di cui 700-800 sono anarchici. Molti muoiono, uccisi non solo dai fascisti e dai franchisti, ma anche dagli stalinisti (è il caso di Camillo Berneri) e questo spiega, in parte, perché non hanno avuto, in seguito, un ruolo determinante nella Resistenza.
Infine, emerge tutta la peculiarità della forma organizzativa che si sostanzia nel carattere federativo e plurale del movimento, nel senso che ogni gruppo e ogni federazione, e persino i singoli militanti, tendono a fare politicamente in proprio, dando vita ad una serie svariatissima d'iniziative, specialmente di carattere editoriale e culturale. Ne risulta una struttura decentrata, costituita da innumerevoli punti attivi, basata su un irriducibile pluralismo fondato sulla pratica dell' "azione diretta".

 

 

ma in questo monento per reperire qualche notizia in più e chissà.. forse pure qualcosa di interessante, potresti informarti se esiste qualcosa su Carnesecchi nel Casellario Politico Centrale.

La busta di Renzo Novatore è la numero 2011. In quegli anni in gli anarchici venivano tutti schedati, e se il buon Dante con la sua nobile azione ha dato così fastidio al potere è molto probabile

che nel Casellario Politico ci sia una busta con il suo nome.

 

 

Per quanto riguarda il Casellario politico centrale, senza dubbio ci deve essere un fascicolo aperto a nome di Carnesecchi, vista la sua biografia. C'e' da supporre di poter trovare molte
informazioni (relazioni di polizia, delazioni, controlli, eventuali arresti ed interrogatori,....) proprio all'Archivio centrale dello stato di Roma.

 

 I documenti conservati nel Casellario politico centrale sono consultabili presso l'Archivio centrale dello stato di Roma (Eur), l'archivio non
fornisce informazioni via e-mail.
Nel mese di agosto è possibile che sia chiuso, conviene telefonare (06 5926204). Si possono richiedere fino a quattro buste per volta, ad orari
fissati, per tre volte al giorno. Fortunatamente sono a disposizione inventari molto precisi in ordine alfabetico, con i relativi riferimenti
dei fascicoli da richiedere.

Le notizie relative al periodo di ferma militare, dalla visita di leva al congedo, sono registrate nel foglio matricolare, che deve essere stato
depositato (almeno per le classi fino al 1915) dal Distretto militare di competenza (La Spezia?) alla locale sezione dell'Archivio di Stato. La
consultazione non dovrebbe porre problemi, se non per il fatto che non ci sono elenchi in ordine alfabetico ma per scaglioni di chiamata. Conoscendo
però la data di nascita si possono evitare eventuali dubbi anche di omonimia.

Mi hanno rimandato all'archivio di Massa

 

 

 

Libri sul periodo

 

 ALCARA Silvana La camera del lavoro della Spezia dal 1901 al 1909 Roma, Ediesse, 144p, 1993

Bianchi Antonio Storia del movimento operaio a La Spezia e in Lunigiana

 

 Il ricercatore che è più informato sulle vicende di Carnesecchi e Raspolini e' Fausto Bucci di Follonica (GR).

 

 

A La Spezia, alla biblioteca civica, dovrebbe esserci la raccolta completa
de "Il Libertario" la cui consultazione potrebbe esserti utile.
Potresti inoltre contattare i vari archivi anarchici sia per rintracciare
la bibliografia, sia per eventuali consigli.
In particolare ti consigliamo di scrivere a:
Biblioteca "Franco Serantini" di Pisa: mail:
biblioteca@bfs.it
Archivio Storico della FAI a Imola: mail:
massimo.ortalli@acantho.it
Archivio "Pinelli" di Milano: mail:
info@eleuthera.it

 

 

 

 

 

 

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 Di seguito sono riportati alcuni eventi significativi in campo politico e sociale che, nel trentennio 1890-1922, si intrecciarono e condizionarono la vita ribelle di Arcola.
Nota: per quanto riguarda certe date associate a particolari azioni compiute da Novatore, ricordiamo che la scarsità di fonti spinge a prendersi qualche licenza sulla precisione cronologica di tali avvenimenti.

1892-1983
Si costituisce il Partito dei Lavoratori sotto la guida di Filippo Turati, di vaga ispirazione marxista e con l'intenzione di organizzare politicamente le classi più povere e sfruttate. Contadini e operai italiani si trovano, in questo periodo, indietro di parecchie lunghezze rispetto agli standard salariali dei loro equivalenti di Francia, Inghilterra e Germania (per fare qualche esempio). All'interno del partito trovano spazio innumerevoli correnti (da quella riformista parlamentare a quella rivoluzionaria passando per quella anarchica) e nel 1893 il nome cambia ufficialmente in Partito Socialista Italiano. Il partito raccoglie da subito grandi consensi nelle masse cosiddette proletarie, impotenti di fronte alla repressione selvaggia e alle disposizioni antisindacali del governo presieduto da Francesco Crispi che, dal canto suo, cercherà di ostacolare in ogni modo il PSI e l'operato dei suoi membri.

1894
Nel tentativo si sedare la rivolta dei cavatori di marmo in Lunigiana, appoggiata dai numerosi anarchici attivi nella zona, il presidente del Consiglio Crispi dichiara lo stato d'assedio e fa emanare le cosiddette "tre leggi antianarchiche" di stampo dittatoriale, molto più severe di quelle emanate in seguito dal fascismo.

1898
A Milano, durante una grande manifestazione di protesta contro i continui rincari sul prezzo del pane, il generale Fiorenzo Bava Beccaris, che ha l'ordine di porre fine ai tumulti, ordina di fare fuoco con i cannoni sulla folla provocando ottanta morti. Il generale sarà in seguito decorato dal re per l'omicida fermezza dimostrata in quell'occasione.

1900
A Monza, il 29 luglio l'anarchico Gaetano Bresci uccide con tre colpi di pistola il re Umberto I, ritenuto simbolo dell'ingiustizia e massimo complice delle numerose repressioni statali a danno del popolo.

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1904
Il governo presieduto di Giovanni Giolitti si dichiara disposto ad elargire concessioni e a collaborare attivamente con socialisti e sindacalisti organizzati e moderati, nel tentativo di creare un clima di dialogo ed armonia fra le parti sociali.
Il 16 settembre si svolge il primo sciopero generale della storia italiana. Coordinato dalle varie Camere del Lavoro presenti sul territorio, l'agitazione è l'esasperata risposta della gente ai ripetuti eccidi di lavoratori (242 morti in tre anni) perpetrati dai regi carabinieri durante scioperi e manifestazioni. Tra gli episodi più gravi sicuramente i fatti di Buggerru, Sardegna, dove il 4 settembre le pallottole statali lasciarono sul terreno tre minatori e numerosi feriti.
Lo sciopero generale si svolge senza grossi incidenti anche per l'ordine di Giolitti di non provocare o caricare i manifestanti. Lo sciopero perde lo slancio dei primi giorni anche per la profonda disorganizzazione delle varie Camere del Lavoro, e così le agitazioni cessano il 21 settembre senza aver ottenuto nessun sostanziale risultato.

 

1906
29 settembre. A Milano nasce la CGdL (Confederazione Generale del Lavoro). La Confederazione riunisce tutte le Organizzazioni di Mestiere e le Camere del Lavoro preesistenti sul territorio nazionale. Lo scopo dichiarato è quello di formare un fronte compatto dei lavoratori, che agisca a livello nazionale in modo organizzato e capillare nell'interesse di tutti. L'impronta generale è comunque di stampo riformista che preferisce il dialogo tra le varie parti sociali, anche se l'ala rivoluzionaria rimane attiva e numerosa ma sostanzialmente isolata.
La CGdL, forte di un apparato direttivo accentrato e burocratico, si assume da quel momento l'organizzazione e la direzione degli scioperi e delle vertenze sindacali, stabilendo in più un rapporto speciale col PSI che, se da un lato si impegna a farsi portavoce in Parlamento delle istanze sindacali, dall'altro si riserva l'ultima parola sull'effettiva valenza politica che avranno tutti i futuri scioperi.
A livello locale, nelle Camere del Lavoro, rimanevano ugualmente elementi anarchici o comunque favorevoli all'intransigenza rivoluzionaria e ad una concezione di sciopero "alla Sorel".

1910
In un'Italia dove la percentuale di analfabeti è del 48,6% i comizi itineranti diffondono le idee politiche e sindacali, mentre le riviste anarchiche e futuriste sono il primo veicolo delle idee più sovversive in campo politico ed artistico. Tommaso Marinetti ha da poco pubblicato il suo "Manifesto Futurista" per l'esaltazione degli elementi primordiali, della bellezza della lotta audace. Tutti elementi che, sebbene trasportati in una visione libertaria e quindi opposta alle teorie di Marinetti e D'Annunzio, non mancheranno negli scritti novatoriani degli anni successivi.

 

1911
Sotto le pressioni di nazionalisti, liberali e cattolici il governo presieduto da Giolitti decide l'intervento militare in Libia. Le pulsioni coloniali dell'Italia saranno soddisfatte al termine di una guerra (18 ottobre 1912) che come risultati principali offrirà 3430 morti, pesanti sacrifici economici per la popolazione e l'inasprimento dei rapporti con le potenze europee. L'eldorado libico tratteggiato dalla propaganda si rivelerà un miserevole "scatolone di sabbia" nel quale gli italiani non riuscirono nemmeno a trovare i redditizi giacimenti di petrolio.

 

1914
"Settimana Rossa".
Durante una provocatoria manifestazione antimilitarista promossa il 7 giugno da anarchici e repubblicani un reparto di carabinieri apre il fuoco sulla folla in subbuglio ad Ancona, uccidendo tre manifestanti. Di conseguenza il 9 giugno è dichiarato lo sciopero generale senza nemmeno attendere l'effettiva delibera di CGdL e PSI. Alla chiusura di numerose attività e alla diserzione delle fabbriche si accompagnano manifestazioni che in molte città sfociano in tumulto e scontri con le forze dell'ordine. Nonostante gli ardori profusi dal socialista rivoluzionario Benito Mussolini, dal repubblicano Pietro Nenni e dall'anarchico Errico Malatesta nell'intento di conventire lo sciopero in rivoluzione contro il governo e la monarchia, le agitazioni cessano quasi ovunque tra il 12 e il 13 giugno. Più che per repressione governativa lo scioperò si esaurisce da solo per la disorganizzazione e la scarsa maturità delle capacità rivoluzionarie dei leaders estremisti, i quali non riescono a radicare nella maggioranza degli scioperanti la volontà di "andare fino in fondo". A tutto si somma la prevalente indifferenza di Confederazione sindacale e Partito Socialista.
Il 28 giugno, con l'assassinio a Sarajevo di Francesco Ferdinando d'Austria, comincia il valzer delle dichiarazioni di guerra che in pochi mesi porterà ad un immane scontro tra Germania, Impero Austro-Ungarico e Turchia da una parte e Inghilterra, Francia e Russia dall'altra. L'Italia, al momento legata agli Imperi Centrali da un trattato, decide inizialmente di non intervenire. Prendono il via nel frattempo trattative segrete con l'Inghilterra.
L'opinione pubblica, il mondo politico e gli ambienti intellettuali sono divisi da accese dispute tra interventisti e neutralisti.

 

1915
Il 23 maggio l'Italia entra in guerra a fianco di Inghilterra, Francia e Russia. Le misure repressive contro dissidenti ed antimilitaristi s'inaspriscono; giornali e riviste sono sottoposti a censura.

1917
In Russia il partito bolscevico di stampo marxista, guidato da Lenin, conquista il potere con un'insurrezione che sfrutta anche la pressione che grava sull'esercito a causa della guerra. Il sistema zarista, abbattuto, è sostituito da una forma di governo basata sui soviet, cioè consigli di cittadini, posti sotto il controllo bolscevico. Il primo effetto di questa Rivoluzione d'Ottobre è l'uscita di scena della Russia dalla guerra. Nel giro di pochi anni l'incapacità dei soviet di gestire effettivamente il vastissimo paese provocherà l'accentramento del potere nelle mani del Partito, in una forte organizzazione burocratico-centralizzata di carattere dittatoriale.

 

1918
L'11 novembre termina quel terribile scontro che sarà ricordato come la Prima Guerra Mondiale. Oltre ai 10 milioni di soldati uccisi (senza contare i civili) la carta politica d'Europa è ridisegnata, decretando la scomparsa dei grandi e secolari Imperi Centrali e l'affermazione di una nuova potenza industriale ed economica: gli Stati Uniti, che grazie alla guerra concluderanno lucrosi affari.
Intanto l'Italia, che nei colloqui di pace siede al tavolo dei vincitori, vede negarsi alcune delle concessioni, soprattutto a livello territoriale, che le erano state promesse al momento dell'entrata nel conflitto. Viene coniato il termine "vittoria mutilata" di cui si riempiranno la bocca soprattutto i nazionalisti, mentre sulle spietatezza economica di Francia, Inghilterra e Stati Uniti nell'infierire sulla sconfitta Germania farà poi leva Adolf Hitler nella sua scalata al potere.

 

1919-1920-1921-1924
"Biennio Rosso", nascita e affermazione del fascismo.
Nell'estate 1919 scoppiano in tutta Italia tumulti per protestare contro la disastrosa situazione socio-economica nella quale versa il paese dalla fine della guerra. I primi a farne le spese sono principalmente contadini ed operai. Proprio questi ultimi, più organizzati ed inquadrati politicamente, si pongono alla guida della protesta dichiarando l'occupazione delle fabbriche e, organizzati in comitati autogestiti sul modello dei soviet russi, assumono il controllo di officine e cantieri. Si formano addirittura reparti di cosiddette "guardie rosse", col compito di presidiare gli stabilimenti e respingere eventuali attacchi delle autorità o delle bande al soldo dei padroni.
Dalla frangia posta all'estrema sinistra del PSI si forma la prima cellula del Partito Comunista nella quale si distingue Antonio Gramsci che teorizza l'occupazione delle fabbriche come punto di partenza per la rivoluzione che finalmente farà piazza pulita dell'odiato Parlamento borghese e della monarchia Savoia.
Intanto tra gli imprenditori, gli agrari e tutta quella che si definisce classe media circola preoccupazione per la pessima piega che stanno prendendo gli eventi, anche perchè sembra che stavolta il proletariato faccia sul serio. L'esempio russo incombe e non si può aspettare che, come sempre, tutto si esaurisca per autocombustione interna.
Nel frattempo l'incallito militante Benito Mussolini, già passato nelle file interventiste durante la guerra, taglia definitivamente i ponti con la militanza socialista di estrema sinistra avendo perso fiducia nel mito della rivoluzione, dell'internazionalismo e del modello marxista. Arroccandosi sempre più nel nazionalismo, Mussolini matura la convinzione che per stare al passo coi tempi e cambiare lo status quo in Italia deve porre fine alla sua aperta ostilità con borghesia, imprenditori ed agrari e sviluppare una serie di valori tradizionali, forti e comuni (Patria, disciplina, orgoglio, militarismo, obbedienza verso determinate figure simbolo) che sappiano cementare il disgregato tessuto sociale post-bellico. Grazie a queste idee che ispirano finalmente ordine, decisioni vantaggiose per la borghesia e una spiccata funzione antisocialista, Mussolini riesce a cavalcare il malcontento di una popolazione esasperata da una crisi profonda e, al contempo, guadagnarsi anche l'appoggio di agrari ed industriali che vedono finalmente nel futuro Duce un possibile fautore del cambiamento sociale a loro favore.
Tra i primi impieghi dei Fasci di Combattimento mussoliniani ci sono senza dubbio servizi di bastonatura e pestaggi ai danni di militanti di estrema sinistra e sindacalisti, così come la distruzione di numerose Camere del Lavoro, soprattutto al Nord.
Nella solita disorganizzazione, nella solita marea di esitazioni e polemiche interne, nella solita sottrazione di forze causata dagli attendisti, si andava concludendo agli inizi del 1921 l'occupazione delle fabbriche.
Svaniva nel nulla l'ultima grande offensiva "rossa" della storia italiana.
In un clima di crescente intimidazione e spacconeria le squadre fasciste si strutturano nel Partito Nazionale Fascista. Dopo essere entrato in Parlamento grazie all'accordo con i liberali, nel 1922 Mussolini ordinò ai suoi seguaci di attuare in forma paramilitare la famosa "marcia su Roma", a seguito della quale il Re Vittorio Emanuele III, attuando uno stravolgimento delle norme costituzionali vigenti, lo incaricò di formare il nuovo governo, che fu di coalizione con i popolari ed i liberali moderati, a cui si opposero le sinistre ed alcuni liberaldemocratici.
Nel 1924 alcuni fascisti (che Mussolini stesso chiamò "teste calde") uccisero l'onorevole socialista Giacomo Matteotti che aveva denunciato i brogli commessi dagli uomini del Duce (così si faceva già chiamare Mussolini) nelle precedenti consultazioni elettorali. Questo provocò la crisi del governo di coalizione e l'uscita di molti partiti dal Parlamento (ritirata sull'Aventino); a quel punto Mussolini sciolse l'opposizioni ed attuò provvedimenti eccezionali che stroncarono ogni dissenso facendo delle vittime illustri tra le quali si ricordano Gramsci, don Minzoni, Gobetti e Amendola.
Era nato il regime.

 

 

 

gli arditi del popolo

Questo movimento, sorto nel 1920 per iniziativa di elementi eterogenei, si sviluppò rapidamente assumendo caratteristiche marcatamente antifasciste ed antiborghesi, e fu caratterizzato da un marcato decentramento autonomo delle organizzazioni locali. Gli Arditi del Popolo assunsero quindi colorazioni politiche talvolta differenti da un posto all'altro, ma sempre li accomunò la coscienza della necessità di organizzare il popolo per resistere violentemente alla violenza delle camicie nere. Gli anarchici aderirono entusiasticamente alle formazioni degli Arditi e spesso ne furono i promotori individualmente o collettivamente; per restare ai due episodi già accennati basti pensare che in maggioranza anarchici furono i difensori di Sarzana e che a Parma, fra le famose barricate erette per resistere agli assalti delle squadracce di Balbo e Farinacci, ve n'era una tenuta dagli anarchici.
Completamente diverso fu l'atteggiamento sia dei socialisti sia dei comunisti (questi ultimi costituitisi in partito nel gennaio 1921). Nonostante la vasta e spontanea adesione di molti loro militanti agli Arditi del Popolo, entrambe le burocrazie partitiche presero le distanze e cercarono di sabotare lo sviluppo di quel movimento. Gli organi centrali del neonato PCd'I giunsero al punto di imporre ai propri iscritti di evitare qualsiasi contatto con gli Arditi, contro i quali fu imbastita anche una campagna di stampa a base di falsità e di calunnie. Intervistato negli anni settanta alla televisione il comunista Umberto Terracini cercava ancora di giustificare quella scelta politica. E ancora oggi noi, come già ottant'anni fa i nostri compagni, vediamo proprio in quella scelta un esempio tipico della volontà comunista di subordinare la lotta antifascista alla coincidenza con le proprie mire di egemonia sul movimento operaio. È evidente che questa dura critica alla politica dei vertici dei partiti di sinistra di fronte alle violenze fasciste non coinvolge i militanti di base, che - anche se su posizioni da noi molto differenti - dettero il loro contributo di lotta e di sangue alla lotta contro il fascismo.
Il disfattismo socialista ed il settarismo comunista resero impossibile una opposizione armata generalizzata e perciò efficace al fascismo ed i singoli episodi di resistenza popolare non poterono unificarsi in una strategia vincente.
 

 

http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/279/16.htm

 

La strage del Diana

a cura di Massimo Ortalli

 

Quella di "bombaroli" è una fama che gi anarchici si portano dietro da anni. E, a quanto pare, non del tutto campata in aria se a darle voce ci sono stati anche dei perfetti cretini, che in olimpica buona fede urlavano, nei cortei studenteschi, a pieni polmoni e con parossistica convinzione: "Bombe, sangue, anarchia". Questo prima del 12 dicembre 1969, perché dopo Piazza Fontana, fortunatamente, si è smesso, almeno per un bel po', di gridare una tale scempiaggine; anche se, puntuali come orologi svizzeri, ogni tanto si affacciano sulla scena della cronaca, individui che si preoccupano di rinverdire questa fama. Forse nel timore che venga finalmente accantonata come uno stupido, vecchio luogo comune. Quale, in effetti è, o almeno dovrebbe essere.
Comunque sia, questa nomea, che ci avviluppa come un tabarro, al pari di quella di sognatori, di utopisti, di romantici cavalieri dell'ideale, di figure tutte di un pezzo, di belve assetate di sangue, di brava gente con la testa fra le nuvole, di individualisti asociali, di sottoproletari ribelli, di piccolo borghesi, di sorpassati mangiapreti, di residui ottocenteschi, di pacifisti tolstoiani, ha una sua ragion d'essere. Infatti, una volta sfrondata dalle foglie del pregiudizio e della superficialità, anch'essa, come tutte le nomee, trae origine da una certa dose di verità. E sarebbe da ipocriti ignorarlo o nasconderlo.
Il
23 marzo 1921 un gruppo di anarchici milanesi, convinto sulla base di informazioni volutamente false, di poter colpire Gasti, il questore di Milano, fa esplodere un potentissimo ordigno all'esterno del teatro Diana. L'esplosione causa ventuno morti e più di centocinquanta feriti, ma ad essa scampa l'obiettivo principale. Gli autori del gesto, da tempo esasperati per la ingiusta detenzione dei redattori del quotidiano Umanità Nova, Borghi, Malatesta e Quaglino, vogliono richiamare l'attenzione sulle condizioni di salute dei tre detenuti. Costoro, infatti, nonostante l'avanzata età di Errico Malatesta, hanno appena iniziato uno sciopero della fame ad oltranza, per protestare contro le pretestuose lungaggini dei tempi processuali. Naturalmente, invece di far nascere un qualsiasi moto di solidarietà nei confronti del vecchio anarchico e dei suoi compagni di galera, il sanguinoso attentato genera un profondo moto di orrore, che si riverbera in nuove accuse e rinnovati, durissimi, attacchi a tutto il movimento anarchico.
Nessuno degli scopi che gli attentatori si sono prefissi viene raggiunto: la borghesia non si fa intimidire, ma diventa ancora più determinata nel combattere "la canaglia rossa"; i fascisti ne approfittano per compiere nuove e più selvagge azioni, quali la distruzione delle sedi di Umanità Nova e L'Avanti!; Malatesta e compagni restano in prigione, oppressi oltretutto da quanto avvenuto in loro nome; centinaia di persone assolutamente innocenti ci rimettono la pelle o l'integrità fisica; Gasti si fa ancora più infame e potente; il movimento anarchico viene isolato e sottoposto a feroci repressioni; l'ideale solidario ed emancipatore dell'anarchismo risulta offuscato, per l'ennesima volta, dalla sanguinosità di un atroce delitto commesso in suo nome. E un gruppo di bravi e generosi compagni disperde le proprie energie e la propria vita nelle patrie galere. Degli esecutori materiali, Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini sono condannati all'ergastolo, mentre Ettore Aguggini si busca 30 anni di galera. Numerosi altri anarchici, pur estranei all'attentato, subiscono pesanti condanne che vanno dai 5 ai 18 anni

 

Non godiamo
del male

di Giuseppe Mariani

Altri fatti che la storia ignora sulla preparazione ed esecuzione della bomba al Diana voglio ora non passare sotto silenzio in quanto che credo ormai giunto il momento di fare intorno a quell'atto un po' di luce, onde sfatare tutte le sciocchezze che su di noi e su di me in particolare, furono dette e ritenute vere.
Prima però di scendere nei particolari di quel tragico fatto ritengo necessario dire subito, anche se nelle spiegazioni successive risulterà maggiormente evidente, che senza l'arbitraria e prolungata detenzione in carcere di Errico Malatesta, l'attentato non solo non sarebbe mai stato fatto, ma neppur pensato.
Quello, forse, che non risulterà a tutti egualmente evidente, per quanto ogni persona onesta lo scorga di primo acchito, è la ricerca da parte delle forze del governo, in combutta con qualche partito politico, di un fatto che servisse loro a demolire il prestigio di un uomo o di un movimento, ostacolanti i loro piani politici. Se le nostre precedenti attività terroristiche lasciano supporre in noi una formazione mentale predisposta ad azioni del genere, abbiamo anche esplicato altre attività che dimostrano tutto il contrario: la nostra partecipazione a tutte le lotte sindacali, alle agitazioni e manifestazioni collettive e alla preparazione della rivoluzione. Nel marzo del 1921 la nostra volontà era galvanizzata non solo dal fatto particolare di Malatesta detenuto e in istato di rivolta con lo sciopero della fame, ma da tutto il fermento politico e sociale del momento di cui, si può dire, noi eravamo il prodotto e l'espressione. La coscienza nostra non era oscurata, ma non è immaginabile fuori da quel particolare ambiente. C'era in noi una volontà operante, che non era solo l'espressione del nostro carattere, ma era anche l'espressione di uno stato di esasperazione. Non sono gli uomini della nostra fede politica né della nostra concezione sociale che godono del male che possono fare ai proprii simili; la rivoluzione che auspichiamo e alla maturazione della quale diamo tutto, anche la vita, esclude che si colpisca a casaccio, facendo delle vittime innocenti. Qualche volta il voler impedire che sia minacciata la libertà e la vita di uno dei nostri può suggerire il ricorso alla forza contro la forza, ma mai una violenza fine a se stessa, per quanto la disperazione possa accecare. Se poi le circostanze, trascendendo volontà e propositi, fanno seminare la morte dove si vorrebbe la pace, non diremo la solita frase con la quale gli storici da strapazzo hanno sempre creduto di giustificare i delitti di tutti i tiranni: " Fate il processo alla storia ". Ma diremo invece, come nel suo interrogatorio ebbe a dire il mio povero compagno Aggugini : " Noi piangiamo sulle vittime del Diana, mentre voi non piangete mai su tutte le vittime che il vostro sistema sociale semina tutti i giorni a migliaia".
E se il coraggio delle nostre modeste autodifese e il fiero comportamento ci hanno fatto giudicare dai prezzolati giornalisti e dai benpensanti per dei cinici, oggi dico a loro quel che pensavo allora: il giorno che avrete il coraggio di riconoscervi degli uomini con tutto il vostro bene e tutto il vostro male come lo riconosciamo per noi, meriterete che si prendano in considerazione i vostri giudizi.

Tratto da: Giuseppe Mariani, Memorie di un ex-terrorista, Torino, 1953.

 

 

il confino e l'esilio

Gli anarchici che, in prima fila nella resistenza al fascismo, si erano esposti generosamente senza calcoli personali o di partito, subirono più duramente degli altri antifascisti (in proporzione alle forze) le violenze squadriste prima e quelle legali poi. All'incendio delle sedi anarchiche e delle sezioni USI, alle devastazioni di tipografie e redazioni, agli ammazzamenti, seguirono i sequestri, gli arresti, il confino... Ai superstiti, perseguitati, disoccupati, provocati, spiati, non restava che la via dell'esilio. Si può dire che nel ventennio fascista ben pochi militanti anarchici (esclusi gli incarcerati ed i confinati) rimasero in Italia e quei pochi guardati a vista ed impossibilitati per lo più anche a svolgere attività clandestina.
Continuano singoli episodi di ribellione a testimoniare, nonostante tutto, l'indomabilità dello spirito libertario. Bastano alcuni esempi.
Il 21 ottobre 1928, l'anarchico Pasquale Bulzamini, a Viareggio, mentre rincasa, viene aggredito da un gruppo di fascisti e ferocemente bastonato. In un caffè, aveva poco prima, deplorato la fucilazione dell'antifascista Della Maggiora. Muore tre giorni dopo, all'ospedale.
Il 7 ottobre 1930, il compagno Giovanni Covolcoli spara contro il Podestà e il segretario del suo paese - Villasanta (Milano) - che lo hanno a lungo perseguitato fino a farlo internare nel manicomio. Riconosciuto sano di mente e rilasciato in libertà, ha voluto vendicarsi contro i suoi tenaci persecutori.
Nell'aprile del 1931, a La Spezia, il giovane anarchico Doro Raspolini spara alcuni colpi di rivoltella contro l'industriale fascista De Biasi per vendicarsi contro uno dei maggiori responsabili dell'assassinio di suo padre, Dante, attivo anarchico, massacrato nel 1921 a Sarzana colpito da innumerevoli revolverate e da 12 colpi di pugnale e quindi - legato ancor prima che morisse ad un'automobile - così trascinato per diversi chilometri). Doro Raspolini muore nelle carceri di Sarzana in conseguenza delle sofferenze e torture inflittegli dai fascisti.
Il 16 aprile 1931, i compagni Schicchi, Renda e Gramignano vengono condannati dal Tribunale Speciale, a Roma, rispettivamente ad anni 10, 8 e 6 di reclusione. Erano imputati di essere rientrati dall'estero per svolgere attività contro il fascismo.

 

http://www.socialismolibertario.it/afascismo3.htm

http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/289/dossier.htm

http://www.ainfos.ca/03/may/ainfos00137.html

 

Nell'aprile del 1931, a La Spezia, il giovane anarchico Doro Raspolini spara alcuni colpi di rivoltella contro l'industriale fascista De Biasi per vendicarsi contro uno dei maggiori responsabili dell'assassinio di suo padre, Dante, attivo anarchico, massacrato nel 1921 a Sarzana colpito da innumerevoli revolverate e da 12 colpi di pugnale e quindi - legato ancor prima che morisse ad un'automobile - così trascinato per diversi chilometri). Doro Raspolini muore nelle carceri di Sarzana in conseguenza delle sofferenze e torture inflittegli dai fascisti

 

 Negli anni scorsi l'Anppia ha pubblicato 21 volumi con brevi schede biografiche di persone che hanno un fascicolo intestato a proprio nome nel
Cpc. Il nome di Carnesecchi non compare, mentre su Doro Raspolini si legge (vol. 15, p. 323): "Nato a Arcola (Sp) il 14.10.1907, ivi residente.
Manovale antifascista. Coinvolto in scontri con fascisti nel luglio 1925, assolto per insufficienza di prove dopo 3 mesi di carcere. Nell'aprile
1931 ferisce gravemente il fascista che aveva ucciso il padre Fioravante nel 1922, arrestato, muore nel carcere di Sarzana il 24.8.1931"
Sempre nel vol. 15, p. 323, si legge a proposito di Fioravante Paolo Raspolini (Arcola, 7.10.1885): "Marinaio, anarchico. Schedato dal 1904.
Ucciso dai fascisti nel 1922."

la voce di Doro Raspolini si può consultare nel secondo volume del Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani alle pagg. 411-412................ Che non posseggo

 

 

 

 

 

 

 

Compare nel sito su Novatore http://www.novatore.it/Una_biografia.htm alla pagina http://www.novatore.it/Archivio%20leggimi/Dante_Carnesecchi.htm

 

Same shit, different days: in morte di Dante Carnesecchi

 

1921. Siamo in Liguria, Italia.

Sono anni difficili, di miseria, e lo scontro sociale non è mai stato così violento come in questo periodo. I socialisti e le forze reazionarie dello Stato hanno monopolizzato la scena di questo scontro sin dall'inizio del secolo, con gli anarchici slegati da entrambe le fazioni, ma sempre in prima fila se c'è da subire la repressione governativa o le critiche isteriche della parte più politicamente (nel senso deleterio) indottrinata del movimento rivoluzionario.
Qualcosa però cambia, all'inizio degli anni '20. Nuove forze si contrappongono sulla scena italiana dove si combatte sempre più apertamente per il controllo del potere, con le avanguardie comuniste e fasciste a giocarsi la battaglia decisiva sotto gli occhi spaventati ed indecisi di industriali, borghesi e politicanti. La convinzione profetica di molti è che ne uscirà vittorioso solo chi userà la massima dose di violenza e determinazione.
Questo più o meno il contesto nel quale si inserisce un dispaccio medico redatto dal presidente dell'ospedale civile di La Spezia, definito in gergo "casa posta in S. Cipriano 21":

[...] do atto che a ore una e minuti cinque del giorno ventotto corrente mese nella casa posta in S. Cipriano n. 21 e' morto Carnesecchi Dante anni 29 - nato a Vezzano Ligure, figlio di fu Giuseppe e di Fontana Lucia - celibe, operaio [...]

Nell'archivio dell'ufficio anagrafe del comune di La Spezia il dispaccio trova ulteriore conferma:

Registro degli atti di morte, n° 110: il Presidente dell'Ospedale ha dato comunicazione al Comune, il giorno 29 marzo 1921, della morte di Dante Carnesecchi di anni 29, avvenuta il 28 marzo 1921.

Il certificato necroscopico riporta laconicamente, come causa della morte:

"ferite multiple da arma da fuoco."

Okay, un poveraccio è stato ucciso a revolverate a La Spezia, magari in una rissa da osteria...dov'è il problema?
Il problema è che quel nome così evocativo, Dante Carnesecchi, non è "il solito poveraccio" e la sua è una storia che nel suo piccolo va narrata, ricordata e tramandata. È parte integrante dell'intera tradizione antifascista, antireazionaria e anarchica italiana.
Il suo nome, ritenuto come sempre ingombrante dai monopolizzatori della storiografia e della cultura "di sinistra" e "di movimento", si va ad intrecciare e a sommare a quello di Renzo Novatore e tanti altri personaggi sterminati come cani per strada; personaggi la cui indomabile carica ribelle sarà poi rimpianta da chi, negli anni successivi, si troverà a maledire la bestiale dittatura fascista e le sue guerre assurde.
Ma torniamo alla nostra storia, che più o meno andò così.
Secondo l'ufficio anagrafe di Vezzano Ligure (La Spezia), atto di nascita numero 46 dell'anno 1892, il 12 marzo nasce Carnesecchi Dante Fortunato Guido. I genitori sono Biagio Giuseppe Carnesecchi (68 anni) e Lucia Fontana (29 anni).
Operaio ragionevolmente molto precoce, presto orfano del padre (1901), possiamo affermare quasi sicuramente che Dante Carnesecchi si sia avvicinato sin dall'adolescenza al pensiero ed alla militanza anarchica, ben radicata in terra ligure e capillarmente diffusa nelle officine e nei circoli culturali. Sebbene non ci siano pervenuti scritti che possano trasmetterci il pensiero di Carnesecchi, abbiamo però alcune pungenti note scritte da Renzo Novatore nel 1920, utili per capire la personalità dell'oscuro militante:

"Dante Carnesecchi è una delle più belle figure dell'individualismo anarchico. Alto, vigoroso, pallido e bruno. Occhi taglienti e penetranti di ribelle e di dominatore. Ha l'agilità di un acrobata ed è dotato di una forza erculea. Ha ventotto anni. E' un solitario ed ha pochissimi amici. L'indipendenza è il suo carattere. La volontà è la sua anima. Nelle conversazioni è un vulcano impetuoso di critica corrodente. E' sarcastico, ironico, sprezzante [ ... ] . E' un anarchico veramente individualista."

Renzo Novatore (vedi qui) aveva già conosciuto Carnesecchi l'anno precedente, che appunto aveva ospitato Novatore, fuggitivo e ricercato per diserzione, in casa sua, ad Arcola.
Insieme i due, accomunati nella stessa visione dell'anarchismo e della lotta sociale, parteciparono ai primi tumulti operai che a suon di scioperi ed occupazioni squassarono in quel periodo buona parte del Nord Italia. I due anarchici, insieme all'amico comune Auro D'Arcola, erano impegnati nei dintorni di La Spezia come oratori itineranti (in motocicletta) con lo scopo di diffondere il seme della rivolta anche nelle frazioni più remote. Durante uno di quei comizi improvvisati, in località Santo Stefano Magra, due carabinieri, sopraggiunti improvvisamente per sgomberare l'assembramento, vennero freddati da tre colpi di pistola sparati da mano ignota. Chi tirò il grilletto? Novatore? Carnesecchi? Un invasato nella folla? Non lo sapremo mai, ma la furia sbirresca che successivamente si abbatterà sul Carnesecchi fanno quantomeno sorgere un dubbio, che potremmo chiamare "vendetta della Legge".
Durante i disordini Dante Carnesecchi appare e scompare continuamente nei punti più critici: lo troviamo, ad esempio, in mezzo al gruppo di 60 sovversivi incazzati che il 4 giugno 1920 danno l'assalto alla polveriera di Vallegrande, riuscendo a sopraffare due posti di guardia. Il sito internet dell'Arma riporta che poi un solo carabiniere (!) asserragliato come estrema difesa all'ingresso dell'arsenale riuscirà a tenere testa al "gruppo di facinorosi" sino all'arrivo dei rinforzi.
Sfuma così il piano dei sovversivi di armarsi, equilibrando le forze in vista dei tumulti che di lì a pochi mesi incendieranno ancora la Liguria e il Nord Italia.
Sfuggito in qualche maniera all'arresto per i fatti di Vallegrande, Carnesecchi è in prima linea quando nel settembre 1920 La Spezia cade nelle mani di comitati di fabbrica organizzati da anarchici, sindacati rivoluzionari e da estremisti del partito socialista che andranno poi a costituire il Partito Comunista Italiano.
Carnesecchi non aveva naturalmente nessun legame con partiti, sindacati e ideologie ma il suo istinto di "anarchico veramente individualista" lo porta lo stesso a partecipare alle occupazioni, alle autogestioni, ai comizi e alle scaramucce con le forze dell'ordine intervenute in aiuto ai padroni.
Sedata la rivolta, si procede agli arresti selvaggi di coloro identificati come "istigatori". In manette finisce anche Dante Carnesecchi, definito "terribile pregiudicato", anche se non sapremo mai se sulla sua testa pendessero davvero 4 mandati di cattura e se la sua abitazione fu davvero trovata piena di armi e munizioni. Questa versione, sostenuta da sbirri e stampa conservatrice locale, è invece smentita dal giornale spezzino "Il Libertario" di Pasquale Binazzi.
Alla fine sei mesi di carcere preventivo toccano lo stesso all'anarchico Carnesecchi che è quindi rilasciato in marzo per mancanza di prove concrete (sic) a suo carico.
Ma la festa dura poco, le libertà individuali sono a grosso rischio nell'Italia di quel periodo, sempre più popolata da imbecilli in camicia nera spalleggiati da imbecilli in divisa pronti a fare pulizia di chiunque si opponesse, soprattutto attivamente, ai loro disegni reazionari.
Il pezzo di storia che vado ora a raccontare impressiona per i parallelismi con alcune situazioni che, negli anni recenti, hanno messo in luce la vena più brutale e inutilmente repressiva delle forze dell'ordine dei cosiddetti paesi occidentali: episodi di gravi prevaricazioni sull'individuo che esce dai ranghi, in una visione distorta del potere e del compito di polizia che sempre più spesso si traduce in un abuso impunemente tollerato da superiori e politici.
Diversi resoconti ci dicono che esistesse allora, a La Spezia, una caserma speciale dei carabinieri situata presso il quartiere Limone, in cui prestavano servizio volontario una dozzina tra i militi più sanguinari e determinati verso la "minaccia rossa" in forza all'Arma. La necessità di richiamare un certo numero di assassini in divisa in quella zona era motivata dall'intensa attività anarchica presente da anni tra La Spezia, Sarzana e Carrara.
Stranamente, di questi provvedimenti così decisi nella lotta all'illegalità sovversiva, non rimane traccia sui siti che ripercorrono la storia dei Carabinieri...
Comunque, la sera del 27 marzo 1921, almeno sette di quei carabinieri-carnefici escono in borghese (ma ben armati) dalla loro caserma visibilmente ubriachi, cantando provocatoriamente inni come "Bandiera Rossa" e lasciando presagire così quale sarebbe stata la preda della loro incursione.
Giunti sul luogo prescelto per l'agguato i militi, continuando a passarsi la bottiglia e a schiamazzare, costringono con le minacce i passanti e chi si è affacciato alla finestra a scomparire in fretta. Sta per succedere qualcosa, è nell'aria.
Più o meno in quel momento Dante Carnesecchi esce da una casa in compagnia di suo zio Azeglio e di un amico, tale Franceschini (ma in alcune testimonianze, come il resoconto fornito dal giornale anarchico "Gli Scamiciati", questa persona non è riportata). La squadra omicida è subito addosso ai tre che realizzano presto la minaccia, ma ubbidiscono ugualmente all'ordine di alzare le braccia e fornire le loro generalità. È in quel momento che, senza preavviso, colui che si era presentato come brigadiere colpisce con uno schiaffo Carnesecchi, mentre gli altri sgherri estraggono dei robusti scudisci e vibrano una serie di colpi allo zio ed all'amico. Dante, che teneva in mano una chitarra, cerca di proteggersi con lo strumento che finisce subito in pezzi: una serie di vergate gli spaccano la faccia, sputa e perde sangue. I tre uomini, in preda ad un attacco così violento, rinunciano a difendersi e cercano di scappare: i sette carnefici sono ebbri di sangue e spuntano coltelli, moschetti e pistole.
Dante, in fuga disperata ma evidentemente già designato come vittima dalla squadraccia, è raggiunto da un colpo di fucile alla schiena. Una volta a terra, i carabinieri gli sono addosso...è la fine. Il suo corpo è martoriato coi pugnali e i revolver, le urla riportate in seguito dai testimoni presenti sono agghiaccianti: "Vigliacco! Voglio spezzarti il cuore con una revolverata !", "Prendi il pugnale, spaccagli il cuore!".
Finalmente qualcuno trova il coraggio di avvicinarsi, gli assassini li minacciano ancora eccitati ma poi se ne tornano alla loro caserma.
Dante Carnesecchi, 29 anni, anarchico-spauracchio per gli onesti cittadini di Arcola, muore poco dopo. Qualcuno afferma che le sue ultime parole furono: "Sono episodi della vita...non è niente...datemi dell'acqua...sto morendo".
Nei giorni successivi l'episodio dell'aggressione è riportato sia dalla stampa conservatrice, ad esempio "Il Tirreno", sia da quella anarchica, "Il Libertario" di Binazzi in primis. Naturalmente i primi calcano la mano sui mandati di cattura ancora pendenti sul pericoloso anarchico, mentre i secondi sdegnosamente rimarcano l'illegittimità dell'aggressione, ricordando con affetto l'ennesimo compagno caduto.
Su tutto, le parole della madre, Lucia Fontana:

"Mio figlio e gli altri obbedirono chiedendo a quei sette [...] chi fossero. Rispose il brigadiere qualificandosi e mio figlio declinò allora il suo nome. A questo punto il brigadiere, saputo che davanti aveva mio figlio, gli vibrò uno schiaffo e tutti i carabinieri incominciarono a colpire con nerbate e pugnalate i tre disgraziati, i quali tentarono di salvarsi con la fuga. Mio figlio venne travolto e gettato a terra dove fu colpito da vari colpi di rivoltella e dì fucile. [...] E' pure falso che mio figlio fosse colpito da mandato di cattura."

E così finisce la storia, anzi, così voleva finisse la Questura che si prese pure la briga di censurare necrologi e manifesti.
Nonostante questo, al funerale affluirono migliaia di lavoratori e militanti anarchici, comunisti, socialisti e operai iscritti alla Camera del Lavoro sindacale e a quella confederale, tutti uniti per l'ultimo saluto a Dante.
Parlarono a turno l'onnipresente Pasquale Binazzi e il segretario della locale Camera del Lavoro. La bara passò tra la folla su di un carro, coperta dalle corone e da un drappo rosso sul quale spiccava, in nero, la scritta geniale "Giù le armi!".
Così, ai tempi del tramonto dello Stato liberale (che non mancava e non manca mai di mostrare la sua brutalità), la scena anarchica e sovversiva italiana perdeva un altro dei suoi elementi più combattivi, istintivi e coerenti: uno di quelli che poi sarebbero mancati a molti quando effettivamente il fascismo alzò la cresta e la libertà divenne un sogno tra le fiamme di una dittatura e di una guerra mondiale.
Same shit, different days: attenzione!

Jules

 

 

 

 

 

 

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