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Anno 1260 sconfitta di Montaperti 

 Il 4 settembre 1260 nei pressi del castello di Montaperti , dopo una giornata di cruenta ed alterna lotta , i Fiorentini popolani e guelfi furono sconfitti

Addirittura tra gli 11 nomi conservati

 

 Il 26 febbraio 1266 presso Benevento le milizie di Carlo d’Angiò sconfissero quelle di Manfredi di Svevia. Nella rete di forze che agivano in Italia si inseriva stabilmente una nuova componente . La presenza angioina divenne subito una variabile determinante nei mutevoli rapporti di forza tra gli schieramenti guelfo e ghibellino. Ma pose anche un problema politico più radicale. La ridisposizione dei poteri nella Penisola implicò un confronto fra culture politiche assai differenti. I sovrani angioini importavano dalla monarchia francese un modello di rapporti tra principe e città che, con adattamenti locali, costituì una traccia funzionale nel regno meridionale . ( Dr De Vincentiis )

 

 La nomina papale di Carlo I nel 1267 a paciaro generale e conservatore della pace in Toscana conferì al sovrano angioino la legittimazione istituzionale per inserirsi con decisione nei conflitti interni alle città della regione. Sotto la minaccia dei guelfi esiliati, accampati davanti a Firenze con ottocento cavalieri angioini, e la pressione dei guelfi interni, la notte tra il 17 e il 18 aprile i principali ghibellini fiorentini uscirono dalla città: la mattina seguente i guelfi esiliati rientrarono in Firenze.( Dr De Vincentiis )

 

 

 

Da Pasquale Villari pg 439

 

Dopo la cacciata di Giano della Bella i Grandi parvero un momento tornati padroni della citta'; ed il loro animo .........

E poi quelli fra di essi che erano tenuti meno faziosi , vennero dichiarati di popolo , per indebolire cosi il loro partito

 

 

 

I tentativi magnatizi di abbattere

 

 

Inizi del trecento al 1343

 

 

Il processo di selezione dell’élite cittadina, infatti, era terminato nel primo decennio del Trecento, e l’esito finale era stato la formazione di un’oligarchia sufficientemente stabile e forte da dominare Firenze sino agli inizi degli anni Quaranta. ( dr Vieri Mazzoni )

Gli studi di Marvin B. Becker hanno definito la composizione sociale di questa oligarchia e ne hanno descritto l’evoluzione storica. Secondo lo storico americano gli uomini che allora dirigevano la città provenivano essenzialmente da tre diversi strati sociali: dal popolo grasso, i cui esponenti erano legati al mondo delle corporazioni e di conseguenza all’industria, alla finanza ed al commercio, ed ancora dagli scioperati e dai magnati, gruppi entrambi identificabili, sia pure con le dovute eccezioni, come un ceto di rentiers. Come è stato osservato, solo i popolani iscritti ad una corporazione potevano esercitare gli uffici cosiddetti dei Tre Maggiori, ovvero la Signoria, composta da Gonfaloniere di Giustizia e Priori delle Arti, ed i due Collegi che, in modo stabile almeno a partire dagli anni Venti, ne affiancavano l’attività con funzioni consultive, ovvero i Dodici Buonuomini ed i Sedici Gonfalonieri delle Compagnie. Dall’esecutivo così formato erano rigorosamente esclusi i grandi, i quali però avevano il diritto di ricoprire altri incarichi di notevole prestigio e di importanza vitale, quali le ambascerie, gli istituti militari, le commissioni fiscali, l’amministrazione delle comunità sottomesse. Di fatto un numero ristretto di cittadini, valutabile in poche centinaia di individui, svolgeva le cariche di maggior rilievo, e controllando in tal modo le leve del potere decisionale gestiva le rendite del Comune e ne indirizzava la politica interna e quella estera.

Il patriziato alla guida della città, comunque, non era una casta chiusa ed impenetrabile, come dimostrano le aperture nei confronti delle famiglie tradizionalmente ghibelline e dei casati magnatizi, e come indica la graduale cooptazione tra le sue fila dei migliori elementi inurbati dal territorio, giunti talvolta – invero in pochi casi – sino ai vertici delle istituzioni . Era questo un aspetto cruciale dell’azione di governo dei regimi cittadini, anche di quelli precedenti, che avevano sempre cercato di rafforzarsi estendendo l’area del loro consenso pur lasciando inalterato, per quanto possibile, l’equilibrio tra le forze che li sostenevano. In definitiva era la stessa logica che ispirava i provvedimenti di riconciliazione con i bianchi ed i ghibellini ribelli – oltre ad opportunità di natura economica di cui si darà ragione tra breve – a suggerire l’assimilazione dei nuovi immigrati nelle strutture politiche comunali, riconoscendo così lo sviluppo ed i mutamenti della società fiorentina dovuti all’incremento demografico ed ai flussi migratori, fenomeni questi attivi ed in crescita almeno sino all’inizio del Trecento . L’aumento dei detentori di diritti politici, sebbene quantitativamente contenuto e strettamente controllato dagli esecutivi, era destinato però a rendere ancor più difficoltosa la ripartizione degli uffici, ovvero il motivo principale delle rivolte e sollevazioni dei grandi nonché delle liti e delle discordie tra le maggiori famiglie di estrazione popolare – i "popolani possenti e oltraggiosi" ricordati con acrimonia da Giovanni Villani .

La necessità di garantire un’ordinata distribuzione delle cariche ed al contempo di mantenere i rapporti consolidati tra i vari gruppi politici spinse il regime oligarchico a modificare il sistema elettorale sperimentando un meccanismo in grado di unire ad accurati criteri di scelta dei cittadini eleggibili un modello casuale di composizione delle magistrature, necessario per evitare pericolose concentrazioni di potere. Nel 1328, dopo la fine della signoria del Duca di Calabria, la Signoria formò una commissione speciale con il compito di elaborare una metodica che ovviasse a tali esigenze, ed il risultato del suo lavoro fu l’introduzione dello scrutinio, approvato solennemente in quello stesso anno da un Parlamento. Il nuovo sistema era articolato in quattro fasi principali: la prima (reductio o recata) era la stesura di tre liste di nominativi, una delle quali preparata allora ed in seguito dai Capitani della Parte Guelfa; la seconda (squittinio o scrutinio) era la votazione dei nominativi degni di esercitare gli uffici del Comune effettuata dai membri in carica delle più importanti magistrature cittadine; la terza (imborsazione) era la deposizione di cedole recanti i nominativi approvati in alcune borse, ognuna delle quali relativa ad un singolo ufficio; la quarta (estrazione) era il prelevamento casuale dalle borse dei nominativi che avrebbero composto il nuovo ufficio, una volta terminato l’incarico degli ufficiali uscenti . La realizzazione dello scrutinio fu l’esperienza più alta della Firenze repubblicana nel campo delle pratiche elettorale, nonché il successo più duraturo del regime che lo adottò, poiché doveva essere utilizzato per ben due secoli, sino all’avvento del ducato mediceo in età moderna. ( dr Vieri Mazzoni )

 

 

Il Becker, però, ha individuato nella politica fiscale il motivo principale del crollo del governo oligarchico. Il regime aveva cessato di bandire nuovi estimi a partire dal 1315, dimodoché nei decenni successivi le risorse finanziarie del Comune provenivano quasi esclusivamente dalle imposte indirette, ovvero le gabelle sulle merci e sul transito, e dai prestiti forzosi, le cosiddette prestanze, che gravavano sui cittadini detentori di diritti politici . Un sistema tributario del genere era legato ovviamente al buon andamento dell’economia fiorentina, che determinava il gettito delle gabelle, ed era soggetto ad un continuo inasprimento a causa dell’incremento della spesa pubblica, ormai costante dall’inizio del Trecento ed aggravato dai costi delle guerre . E proprio l’esigenza di allargare sia l’area del consenso, come detto, che il numero dei sottoscrittori delle obbligazioni del debito pubblico aveva spinto gli oligarchi ad ammettere tra le sua fila come nuovi cittadini gli immigrati dal territorio, garantendo loro l’accesso alle magistrature ( Il ceto dirigente fiorentino in quegli anni corrispondeva di fatto al numero dei sottoscrittori ) . Il difficile equilibrio tra entrate ed uscite del Comune tuttavia si spezzò alla fine degli anni Trenta, allorché l’intera economia cittadina entrò in crisi inaugurando il periodo che Gene A. Brucker ha definito "the decade of disaster" . Le conseguenze non si fecero attendere: nei primi anni Quaranta le rese delle gabelle crollarono e la Signoria si trovò nell’impossibilità di imporre nuovi prestiti alla cittadinanza, al punto che le Arti Minori e gli artigiani che in esse si riunivano dichiararono ufficialmente di non essere in grado né di pagare le tasse dovute al Comune, né di finanziare altre prestanze . Contemporaneamente si verificarono i primi fallimenti della lunga serie che avrebbe presto coinvolto le maggiori compagnie bancarie e mercantili fiorentine, mentre l’enorme somma pagata a Mastino della Scala per comperare Lucca veniva perduta a causa dell’intervento dei Pisani che occuparono la città . ( dr Vieri Mazzoni )

 

 Alla metà del Trecento, dopo l’esperienza della breve signoria del duca d’Atene, il comune aveva ancora una posizione ambigua. Riconosceva come compatibile con la propria organizzazione politica e la propria tradizione una presenza signorile temporanea e condizionata da patti di dedizione; ma rifiutava come illegittima l’autorità che, solo pochi anni prima, la comunità stessa aveva concesso al duca d’Atene con la dedizione del settembre del 1342.

 

 

 

 

 

 

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  ing. Pierluigi Carnesecchi La Spezia anno 2003